La perquisizione ordinata dal pm Paolo Ielo, in un appartamento a Pofi, un piccolo centro in provincia di Frosinone, ha portato alla scoperto del “tesoro” di Silvio Fanella, il broker ucciso ieri mattina a Roma in un agguato dentro la sua abitazione dove era agli arresti domiciliari.
Gli inquirenti hanno trovato, nascosti in un sottotetto dell’abitazione, 34 bustine contenenti diamanti, 284 mila dollari in contanti e 118mila euro. Nel corso della perquisizione sono stati trovati inoltre 5 orologi preziosi tra cui un Rolex con diamanti incastonati. Come noto i diamanti sono un tassello centrale nei traffici e nel riciclaggio di denaro che hanno visto condannare pesantemente la cricca nera di Gennaro Mokbel e Silvio Fanella (anche se entrambi erano agli arresti domiciliari invece che in carcere).
Restano invece ancora inevase molte risposte alle domande sul commando dei killer che hanno ucciso Fanella. L’unico arrestato, rimasto ferito nella sparatoria, al momento risulta essere Giovanni Ceniti, fino al 2012 militante dell’organizzazione neofascista Casa Pound. Quest’ultima, come nel caso di Casseri a Firenze, si è affrettata a negare ogni relazione e ad affermare che era stato espulso tre anni fa.
Eppure, soprattutto nella Capitale (ma potremmo indicare fatti incontestabili anche a Milano, nel Nordest e in Emilia) appare sempre più difficile negare le connessioni tra neofascisti e le filiere della criminalità organizzata.
Piste nere e criminalità organizzata
Qui di seguito una sintetica ricostruzione fattuale di quanto avvenuto solo nella Capitale negli ultimi anni.
Tra il gruppo di malavitosi che nell’autunno del 2012 a Roma stavano per mettere a segno una rapina a mano armata in una sala Bingo in via Baldo degli Ubaldi, è spuntato un nome già conosciuto quello di Massimiliano Taddeini, fascista, ex militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) e Terza Posizione, soprannominato l’Ala.
I tre sono stati fermati in quanto poco prima dell’irruzione erano stati notati da una pattuglia dei carabinieri della compagnia San Pietro perché erano passati col rosso a un semaforo. I carabinieri li hanno seguiti fino al Bingo e poi li hanno fermati e perquisiti, trovando le pistole cariche. Ora dovranno rispondere di porto abusivo d’armi e ricettazione. Uno dei mezzi sui quali viaggiavano è risultato rubato.
Taddeini, è un noto neofascista che risultava legato a Ciavardini e Fioravanti, aveva militato nei Nar e poi in Terza Posizione. Taddeini era anche molto legato a Nanni De Angelis, il militante dei Nar “morto” in carcere dopo essere fermato dalla polizia, “con cui condivideva tutto. Su questo asse si reggeva sia la squadra di rugby che l’organizzazione di Terza Posizione”.
Taddeini fu accusato e condannato a sei anni di reclusione per associazione sovversiva e banda armata. Scontata la pena è tornato però in carcere nel 1993 quando, dopo una soffiata, i carabinieri trovarono nel suo appartamento sulla via Braccianense un latitante, Antonio Fiorentino, all’epoca ricercato per rapina, porto e detenzione abusiva d’armi.
Il 20 marzo del 2012 tra i quattro rapinatori arrestati per il colpo all’Unicredit di piazza di Spagna avvenuto il 19 dicembre scorso, c’è ancora una volta un ex militante dei Nar: Claudio Ragno. Ragno era entrato nella filiale Unicredit del centro storico con una casacca della polizia municipale. I metal detector della banca erano disattivati e così i rapinatori erano riuciti a portare all’interno una pistola. Claudio Ragno, romano (di zona nord) venne arrestato insieme a Luigi Aronica, Marco Di Vittorio e altri militanti dei Nar nell’ottobre del 1980. Scarcerato, viene più volte arrestato per rapina: nel 1988, per un colpo in banca a viale Mazzini, insieme a un altro militante dei Nar e ad uno degli arrestati per quest’ultimo colpo in banca, Silvano Panciotti. Nel 1994, Ragno viene arrestato insieme ad un altro fascista Massimino Rampelli. Al momento della cattura, i due vennero trovati in possesso di coltelli e materiale per mascherarsi. Rampelli, che e’ privo del braccio sinistro, indossava un giubbotto con un arto artificiale. I due dovranno rispondere di tentata rapina aggravata, porto abusivo di armi e ricettazione. Obiettivo era la banca Popolare di Rieti.
Le frequentazioni di Casa Pound
A conferma delle connessioni tra gruppi neofascisti e ambienti della criminalità organizzata, due esponenti di Casa Pound, il vice-presidente Andrea Antonini e Pietro Casasanta sono stati rinviati a giudizio per aver aiutato nel luglio 2008 tale Mario Santafede, uno dei cento latitanti più ricercati d’Italia, legato alla camorra, latitante dal 2004 e con una condanna a 12 anni per traffico internazionale di stupefacenti.
Santafede si era presentato agli sportelli del ventesimo Municipio di Roma per avere una carta d’identità presentando come garanti proprio Antonini e Casasanta. Di quel municipio, Antonini era consigliere per Casa Pound. “Siamo parte lesa e vittime di un raggiro”, si è difeso Antonini, che ha diffidato i giornalisti «dall’accostare in modo improprio» il suo nome e quello di Casapound alla vicenda. All’epoca, parliamo di due anni fa, il vicepresidente di Casa Pound aveva dichiarato: “Chiunque abbia a cuore un minimo di verità e giustizia non può non ritenere indegno di un paese civile vedermi dipinto sui giornali come una sorta di Bernardo Provenzano prima ancora che sia stato non dico deciso ma nemmeno richiesto il mio rinvio a giudizio’’. Ma adesso il rinvio a giudizio è arrivato e loo stesso Antonini nel 2011 era stato gambizzato da due uomini su una moto.
Il narcotrafficante Mario Santafede risultava avere da anni contatti con l’estrema destra romana e alla fine degli anni ’70 fu condannato a otto anni per droga nel processo contro la Banda della Magliana insieme ad ex esponenti dei Nar come Cristiano Fioravanti, Massimo Carminati o Maurizio Lattarulo, salito agli onori della cronaca per la sua “consulenza” con il Campidoglio.
Il “Water crime front” di Ostia
Tra gli arrestati nell’operazione “Los Moros (2009) con cui la polizia aveva colpito il clan di Carmine Fasciani (il boss del litorale romano) figuravano Silvia Bartoli, la moglie del boss di Ostia, ma anche un certo Alberto Piccari. Quest’ultimo è noto come esponente neofascista dei Nar.
Piccari viene ritenuto un “membro importante” nel gruppo originario dei Nar, alla pari di Gilberto Cavallini, Luigi Ciavardini, Massimo Carminati, Franco Anselmi, Walter Sordi ed altri. Picccari venne arrestato il 23 ottobre del 2001 e accusato di porto e detenzione illegale di armi. Le armi erano in ottimo stato di efficienza. Quando nel dicembre del 2009, i carabinieri lo fermano nel quadro dell’indagine “Los Moros”, si trovano di fronte ad una vecchia conoscenza ma più nell’ambito dei gruppi neofascisti che in quelli della criminalità. Ma le connessioni tra fascisti e criminalità sul litorale romano (quello del progetto Waterfront raccontato nel romanzo “Suburra” da De Cataldo e Bonini) segnano anche un altro tassello: quello tra l’imprenditore nero Gennaro Mokbel (il datore di lavoro di Silvio Fanella ucciso ieri a Roma) e il boss Carmine Fasciani.
Il Ros dei Carabinieri ha infatti accertato “i contatti del Mokbel con Carmine Fasciani, noto esponente della criminalità organizzata romana, dal quale ha ricevuto l´assicurazione di poter svolgere in modo indisturbato la campagna politica nella zona di Ostia”. E’ ampiamente documentato poi il “cameratismo” tra Gennaro Mokbel (il quale, per l’importanza che gli assegnano gli inquirenti merita una parte speciale nella nostra inchiesta) e il killer fascista Antonio D’Inzillo (il Pischello) coinvolto nella sanguinosa resa dei conti dentro la Banda della Magliana, nel traffico di diamanti dall’Uganda e “misteriosamente” morto ma immediatamente “cremato” nel 2008 in Kenya.
I Brokers neri
Nell’aprile del 2011 sempre a Roma viene invece ucciso un altro “broker”, Roberto Ceccarelli, anche lui con frequentazioni a cavallo tra gli ambienti della estrema destra e la criminalità. La pista investigativa su questo omicidio, vede accusati due personaggi piuttosto border line come Attilio Pascarelli e suo nipote Daniele Pezzotti, ma viene ritenuta poco credibile dagli inquirenti. Una parte dell’inchiesta conduce invece all’Egp di Gianfranco Lande, il brokers noto come il “Madoff dei Parioli” ormai noto per aver truffato i vip del ricco quartiere della capitale ed anche lui con un passato in Ordine Nuovo e che aveva al suo servizio un altro fascista ex Nar, Pierfrancesco Vito.
Il cognome Ceccarelli ricorre infatti in almeno quattro conti coperti della seconda lista dei 500 clienti di Lande cui erano affidate le operazioni più scottanti. Ma Ceccarelli è una figura molto complessa vicina anche ad ambienti di estrema destra. Nel 2003 fu infatti coinvolto nell’inchiesta “Capricorno Connection” che ha mandato in carcere una cinquantina di persone specializzate in rapine in varie città d’Italia. Di questo gruppo facevano parte ultrà laziali e romanisti ed esponenti del gruppo neofascista Movimento politico occidentale.
Ceccarelli in qualche modo apparteneva alla categoria dei “brokers neri” come Silvio Fanella. Entrambi sono stati uccisi. Ce n’è abbastanza per una indagine a tutto campo che non finisca nel “porto delle nebbie”.
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Quello che c’è e quello che manca nella cronaca de La Repubblica
Qui di seguito un interessante articolo di La Repubblica di oggi nel quale ritroviamo alcune piste che avevano indicato nel nostro articolo di ieri e nelle inchieste condotte in questi anni sul lavoro sporco dei fascisti del terzo millennio. Un grande giornale che guarda fuori dalla torre d’avorio verso chi fa inchiesta sul campo, è una bella soddisfazione. Se lo si riconoscesse sarebbe meglio. Ci permettiamo di aggiungere alla cronaca di Vincenzi e Zunino un dettaglio che manca nell’articolo. Il 29 settembre del 2010 l’avvocato Piergiorgio Manca – difensore di Marco Iannilli, figura chiave nell’inchiesta sulla cricca Mokbel e a sua volta ferito in un’agguato – era stato gambizzato poco dopo le 20 mentre si trovava nel suo studio in via Ruggero Fauro, in zona Parioli a Roma. Due uomini a bordo di uno scooter hanno raggiunto lo studio e dopo essere entrati gli avevano sparato ad una gamba con un’arma da fuoco. I due erano riusciti a fuggire facendo perdere le loro tracce. E l’inchiesta non ha portato a risultato.
Da La Repubblica di oggi, 4 luglio
Suicidi, affari sporchi e un tesoro scomparso, quella scia di sangue e soldi nella Roma Nera
di Maria Elena Vincenzi e Corrado Zunino
ROMA . L’esecuzione di via della Camilluccia suggerisce, alla squadra mobile di Roma che indaga, due conclusioni. L’omicidio di Silvio Fanella è una faccenda tutta di neri. Ed è una faccenda di soldi. Una montagna. Almeno 60 milioni di euro: il tesoro che “il nero” Gennaro Mokbel, imprenditore-faccendiere di 53 anni, aveva ritagliato per sé nella mastodontica truffa carosello “Fastweb-Telecom Sparkle” e che la Procura di Roma cerca dal 2010 senza fortuna. Il tesoro di cui “il nero” Fanella, lui 41 anni, era stato il contabile e di cui il “nero” Giovanni Battista Ceniti, ieri, era verosimilmente venuto a chiedere conto. Insieme agli altri due killer.
«Sessanta milioni di euro sono un ottimo motivo per uccidere», ragiona adesso un investigatore. Uccidere quell’uomo mette questa storia di fronte a un’ipotesi: chi ha sparato voleva colpire Mokbel e questo cadavere, molto probabilmente, è a lui che parla. Di certo Fanella, che nell’ombra di Mokbel viveva e che verso “l’orologiaio” provava un affetto filiale, non ha fatto l’infame. Per tutta l’inchiesta e poi lungo il processo “Sparkle” non ha mai parlato. Silvio Fanella — condannato a nove anni per la truffa all’erario da 365 milioni, ma presente anche nello scandalo tutto romano dei Punti verdi qualità e amico del mafioso di Ostia Carmine Fasciani — «ha fatto qualcosa da vivo con i soldi di Mokbel che non poteva essere tollerato». Ragionano così, sempre alla mobile. Quei soldi non li ha divisi, li ha tenuti per sé (e per il padre putativo). Già, perché Mokbel, ex terrorista dei Nar, e Fanella, il suo cassiere, erano la stessa cosa. «Quando parla il contabile è come se parlasse il padrone ». Dunque, colpire il primo significa mettere in conto una sfida al secondo. E Mokbel, a Roma, pesa quasi quanto l’altro “nero” che con lui è cresciuto e che si vuole padrone della città criminale o, comunque, garante degli equilibri che la governano. Un nome che molti faticano anche soltanto a pronunciare, Massimo Carminati, l’ex Nar ed ex Banda della Magliana con cui Mokbel, dal giorno in cui è tornato in libertà “per gravi motivi di salute” (giugno 2011) ha riannodato legami che dicono saldi come l’acciaio.
E allora, compresa la cornice, dove bisogna cercare per comprendere il motivo che ha acceso la miccia della punizione? Un investimento sbagliato? Un’operazione di riciclaggio non riuscita? Più facilmente, un’avidità rispetto al resto del “gruppo Mokbel”? È un fatto che, in questa storia, di morti ce ne siano già tre. E che Fanella sia solo l’ultimo. Domenica scorsa è stato trovato suicida il suo avvocato, Antonio Pellegrino. Si era tagliato gola e polsi a casa, e in un primo tempo la notizia non ha avuto altro peso che quello di un dramma privato. La procura, ieri, ha però deciso di aprire un fascicolo per istigazione al suicidio. Fa capire che quel suicidio potrebbe avere un legame con l’agguato mortale dei falsi finanzieri. In questo lavoro a ritroso che gli investigatori stanno realizzando si è messo a fuoco un secondo suicidio. Quello di Augusto Murri, nel maggio 2012, a processo Sparkle appena iniziato: con un colpo di fucile l’uomo si tolse la vita nella tenuta di famiglia nella campagna di Siena. Murri era “lo spallone” del gruppo: portava i soldi di Mokbel in Svizzera e, immediatamente, li riportava in Italia, spesso a Roma, per consegnarli proprio a Fanella, che poi architettava investimenti per ripulirli in cento attività.
Ci sono già tre morti, sì. E ci sono due feriti. Ecco, Giovanni Battista Ceniti, 29 anni, uno dei tre esecutori, grave al Policlinico Gemelli. Il militante genovese a capo della Casapound di Verbania fino (almeno) a 18 mesi fa: le cronache smentiscono le difese affettate del leader dei fascisti del Terzo millennio, Gianluca Iannone, che lo assicura espulso da tre anni. Il secondo ferito è Marco Iannilli, commercialista di 53 anni, faccendiere di Lorenzo Cola, l’uomo ombra del grande capo di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini. Iannilli, ex estremista di destra, era stato picchiato e poi gambizzato da due incappucciati davanti al suo studio. Nel settembre 2010. L’inchiesta non arrivò lontano: non c’erano testimoni, Iannnilli non disse nulla di credibile. Ora anche quell’aggressione prende un’attinenza con l’omicidio di via Gandolfi 19. Il commercialista — gli investigatori hanno trovato traccia nelle carte del processo Sparkle — aveva offerto agli inquirenti dettagli su un flusso di denaro, otto milioni di euro, transitato da Singapore e Hong Kong su un conto di San Marino. Lui, al processo, aveva parlato.
“Il contabile” non c’è più. Come ha ricordato Nicola Di Girolamo, il senatore che Mokbel sprezzantemente chiamava «il mio portiere, il mio schiavo», Fanella «era l’uomo dei numeri, smaltiva tutti i proventi della frode fiscale». Comprava case e gioielli, reinvestiva in negozi. Tornando indietro la mobile ha scoperto che il cassiere aveva rischiato un sequestro. Non molto tempo fa. Un clan lucano voleva punirlo per aver sottratto soldi a un’organizzazione di camorra. Il rapimento non era andato in porto.
Mokbel, l’orologiaio di origini egiziane, significa politica estrema (vantava di aver fatto scarcerare Giusva Fioravanti) e servizi segreti, significa finanziamenti a campagne elettorali di destra e aiuti alla fuga in Libano di Marcello Dell’Utri. Gennaro Mokbel significa, soprattutto, soldi sporchi, sacchi di soldi sporchi. Ieri mattina gli hanno ammazzato l’uomo, “il figlio”, che glieli ripuliva.
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