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Lega: l’esercito e l’incapace

La prima è empiricamente clamorosa: la crisi degli immigrati tunisini – poche migliaia, sballottati tra Lampedusa e Manduria – avviene con un leghista sulla poltrona di ministro dell’interno. Se uno voleva la prova scientifica che le sparate in dialetto sul “padroni a casa nostra” (con le non molte varianti che una subcultura da strapaese può immaginare) non fanno una politica, ossia soluzioni praticabili, eccolo servito.

Con insolita ostilità, il Corsera ha affidato a Ernesto Galli Della Loggia un editoriale di rara cattiveria. Per la prima volta il primo quotidiano d’Italia, la voce perenne della maggioranza silenziosa sempre instabile, ha detto alta e forte una verità: la Lega e la Padania sono “un bluff”. Possono “amministrare un comune, non il paese”.

La seconda notizia arriva perciò nel momento più adatto a mettere a nudo la “doppiezza da osteria”, culturalmente di infimo livello, del Carroccio. I suoi deputati hanno presentato il 15 marzo, ma illustrato soltanto oggi, una proposta di legge per istituire gli “eserciti regionali”. Truppe agli ordini dei “governatori”, costituite da “cittadini italiani volontari cessati dal servizio senza demerito con età inferiore ai 40 anni”, a disposizione per calamità naturali, gravi attentati, incidenti alle infrastrutture o ai siti produttivi. Ma anche per “mantenere l’ordine pubblico”.

Sembra la realizzazione di una minaccia potente: disgregare definitivamente il paese tramite l’istituzionalizzazione di “bande armate dialettali”, pronte a marcare i confini, istituire “dogane virtuali” (immaginate un siciliano che va un giro per Arcore quanti rischi può correre, se non è uno stalliere di Berlusconi), a setacciare quartieri e rioni facendo l’esame di “lingua locale” per scovare “gli infiltrati”. Si può anche, per contrasto immaginare i benefici per il turismo prodotti da eventuali eserciti meridionali istituiti mediante “leva locale”, un po’ come avviene per le amministrazioni locali (commissariate e no).

Si dimostra invece l’ultima trovata per far vedere che “siam sempre gli stessi e facciamo sul serio”, anche se stanno mandando giù rospi da paura (la copertura legale di un premier che va a prostitute minorenni, per dirne una) e siedono sui banchi di governo insieme a “attenzionati” per mafia, camorra e ‘ndrangheta.

 

Questa fase politica, sollecitata come non mai dalla crisi economica, sta costruendo giorno dopo giorno una svolta storica. Il governo di fatto – la politica di bilancio, quella che era “la prima legge dello stato” – è già passato nelle mani dell’Unione europea. Agli esecutivi nazionali spetta perciò solo il compito di stabilire, all’interno del proprio territorio, il chi e quanto deve pagare per aggiustare i conti. Per farlo, serve una classe dirigente (non tanto “politica”, quanto “tecnicamente capace”) che pensi europeo e parli italiano. Non una che pensa e parla e rumina in dialetto.

La sortita del Corriere, da questo punto di vista, segna i confini entro cui la Lega di Bossi potrà continuare a vivacchiare: “un tipico partito di sottogoverno”, “al massimo alleato gregario di una forza maggiore”, che “occupa posti al solo scopo di chiedere mance e favori per i propri territori”. Torneranno utili per polverizzare ulteriormente interessi e rappresentanze, inibendo alla radice la possibilità di costruire forza sindacale e politica all’altezza di un avversario che intanto assume dimensione continentale. Potranno amministrare piccoli buget e piccoli territori, con evidente tornaconto elettorale e affaristico. Ma nessuna prospettiva strategica.

 

Le leve del comando effettivo, invece, dovranno essere affidate a quella “classe dirigente super partes” (ma proprio non riescono a tirar fuori una metafora meno abusata di questa?) di cui un Montezemolo o un Draghi vengono già ora indicati come icone sacre. Non criticabili, per “superiori interessi nazionali”.

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