Un altro bracciante è morto a causa di un incendio divampato poco prima dell’alba nella tendopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), predisposta dalla Prefettura non lontano dalla baraccopoli smantellata il 6 marzo scorso dalla polizia e nella quale vivono 500/600 braccianti della piana, in larghissima parte migranti.
I vigili del fuoco sono intervenuti poco prima delle 6 con una squadra che pure già presidiava il sito (e che avrebbe terminato il servizio proprio oggi). Paradossalmente il rogo ha interessato una delle tende azzurre del Dipartimento del Soccorso pubblico del Ministero dell’Interno, andata completamente bruciata, dentro la quale è stato poi trovato il cadavere di un migrante. A fuoco è andata anche una seconda tenda vicina a quella del ministero dell’Interno, bruciata per metà.
Tra il 2018 e il 2019 nella baraccopoli abbattuta il 6 marzo erano morti bruciati altri tre migranti Moussa Ba, di 29 anni, Becky Moses, di 26, e Surawa Jaith nemmeno diciottenne. Di fronte al fatto che l’incendio mortale sia avvenuto nonostante la baraccopoli precedente fosse stata demolita, che nella nuova tendopoli attrezzata dal Ministero dell’Interno ci fosse anche un presidio del ministero e uno dei Vigili del Fuoco, significa che è il modello scelto a non funzionare. Se non si mette mano alle condizioni inumane di vita e di lavoro dei braccianti/migranti in queste zone ad alto sfruttamento, tragedie come quella di oggi, come abbiamo visto, continueranno a ripetersi. “Questa notte nella “nuova” tendopoli di #SanFerdinando l’ennesimo incendio ha provocato l’ennesima morte.Quando le Istituzioni si muoveranno seriamente per dare seguito ad un Piano per l’inserimento abitativo diffuso?” commenta AbouBakar Soumahoro.
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Ancora morte a San Ferdinando, USB: la peggiore smentita alle vanterie di Salvini, subito il Piano per l’insediamento diffuso
Un altro bracciante è morto questa mattina a San Ferdinando, bruciato vivo in un rogo nella “nuova” tendopoli. Cioè quella costruita con la controfirma dello Stato e degli enti locali. Chiediamo che sia fatta piena luce sulle circostanze di questa tragedia.
È la peggiore conferma agli allarmi inascoltati dell’Unione Sindacale di Base, che da anni si batte affinché la soluzione agli immani problemi dei lavoratori della piana di Gioia Tauro passi per il riconoscimento dei diritti salariali e previdenziali e per l’insediamento abitativo diffuso, attuando cioè il piano che prevede il riutilizzo delle migliaia di case sfitte o abbandonate della zona.
È anche la peggiore conferma di quanto strumentale e disumana sia la linea del ministro dell’Interno, nonché senatore eletto in Calabria, Matteo Salvini, l’uomo che non più tardi di due settimane fa si vantava di aver risolto ogni problema demolendo le baracche di San Ferdinando.
“È stata finalmente cancellata una delle più vergognose baraccopoli d’Italia dove proliferavano degrado, illegalità e sfruttamento. Dopo anni di chiacchiere, ora sono arrivati i fatti”, si era vantato il ministro, supportato dal prefetto di Reggio Calabria.
Le chiacchiere purtroppo sono le sue, le loro. Non un solo problema dei braccianti della piana di Gioia Tauro è stato risolto con l’esibizione muscolare contro i lavoratori.
Non è con le tendopoli o con altre soluzioni emergenziali che si metterà fine alla condizione disumana nella quale vivono e lavorano i braccianti di San Ferdinando.
USB torna a chiedere a gran voce che venga riavviato il progetto per l’insediamento abitativo diffuso al fine di dare dignità a questi uomini e donne impegnati nella raccolta degli agrumi.
Coordinamento Lavoratori agricoli USB
Federazione USB Calabria
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