Rassicurazioni sulla tenuta del governo in una fase economica estremamente delicata per il Paese e garanzie sulla disponibuilità a ricercare soluzioni condivise per promuovere la crescita, ma anche per fare le riforme.
È stata la crisi economica a dominare il colloquio fra Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi, anche se durante l’incontro si sono affrontati altri temi spinosi per la maggioranza, a cominciare dalla nomina del successore di Angelino Alfano alla Giustizia. Una scelta su cui però, a sorpresa, si registra uno “stallo”, visto che il premier non ha ancora sciolto la riserva sul candidato da sottoporre, tanto da essersi presentato con una lunga lista di ipotesi, mentre dal Colle si ribadisce la necessità che sia fatta una scelta di «alto profilo».
Il presidente del Consiglio è decollato appositamente da Milano per recarsi al Colle alle 12 in punto, uscendone un’ora dopo per riprendere l’aereo e tornare ad Arcore dove, in serata, era fissato l’incontro con Umberto Bossi. Al suo arrivo al Quirinale, Berlusconi ha trovato un capo dello Stato particolarmente concentrato sul fronte economico che per il Colle, in questa fase, ha priorità su tutto. Napolitano ha già chiarito infatti che dopo il varo della manovra servono altre misure tese, stavolta, a rilanciare la crescita.
Anche per il rischio che la situazione sui mercati (come dimostra l’ennesimo tonfo in borsa) e le tensioni sui titoli di Stato rendano inutili gli sforzi sul fronte del rigore. Il presidente della Repubblica ha perciò ribadito al premier la necessità che si apra un confronto in Parlamento per trovare le soluzioni concrete più idonee a sostenere la crescita. Stesso metodo che il governo, a giudizio di Napolitano, dovrebbe adottare per il varo di quelle riforme promesse che, altrimenti, difficilmente vedranno la luce. Invito che il premier ha recepito a chiacchiere “senza difficoltà”, sostenendo di essere pronto ad accogliere le proposte dell’opposizione fermo restando, ovviamente, la necessità di mantenere invariati i saldi di bilancio.
Il Colle ha quindi chiesto rassicurazioni sul fronte interno alla maggioranza. Il timore di diversi osservatori, infatti, è che la coalizione non regga l’urto delle tensioni finanziarie. Anche perchè indebolita da inchieste che rischiano di esacerbare le attuali fibrillazioni. Scontate le rassicurazioni del premier: abbiamo i numeri per andare avanti, il governo è solido e abbastanza forte per affrontare queste tensioni, con la Lega non ci sono problemi, lo ha rassicurato Berlusconi.
Certo, lo stesso premier non ha mancato di sottolineare come da parte di una certa magistratura vi sia un tentativo di destabilizzazione, come a suo giudizio dimostra la decisione sulla competenza del processo Ruby. Ma nel complesso, nonostante alcuni distinguo come quelli sul “caso Papa”, il Cavaliere si è detto certo della tenuta dell’alleanza con il Carroccio: convincerò Bossi ad andare avanti, avrebbe garantito. Di fatto, però, si è trattato di un incontro «interlocutorio», visto che sul fronte economico molto dipenderà dall’andamento dei mercati.
Così come interlocutorio è risultato il “confronto” sul successore di Alfano. Siamo ancora alla ricerca di una soluzione idonea per la Giustizia e le Politiche europee, ha premesso il Cavaliere che si è presentato con una lista sufficientemente lunga (pare una dozzina di nomi) da far capire di non avere ancora trovato il candidato giusto. Qualcuno nel Pdl ha parlato di perplessità del Quirinale, ma in realtà ad essere poco convinto sarebbe il Cavaliere. Dobbiamo tener conto della Lega, ha spiegato nel pomeriggio, facendo intendere che anche di questo si parlerà ad Arcore. Intanto, con Napolitano, ha preso tempo: ora pensiamo alla crisi, per la Giustizia ragioniamoci ancora, troveremo una soluzione a tempo debito. Nessuna fretta, insomma, tanto qualcuno parla di un dossier congelato fino a settembre.
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La riflessione preoccupata di Stefano Folli sul Sole24Ore
L’«impasse» al Quirinale riflesso della grave incertezza politica
di Stefano Folli
Una giornata angosciante sui mercati finanziari e piena di incertezze nella politica romana. Forse si può riassumere così l’«impasse» che domina la scena, quasi fossimo in un brutto incantesimo. La sensazione è quella di essere sospesi in attesa di un evento, un fatto, magari solo un episodio in grado di rompere la gabbia di gesso.
L’alternativa è il lento stillicidio di questi giorni. Il nuovo crollo di Milano, il Btp a dieci anni che vuole un tasso del 6 per cento, lo “spread” a 330 punti rispetto ai titoli tedeschi… Proiettili micidiali che che si abbattono sulla nave del governo. Non tutto è imputabile alla scarsa credibilità dell’esecutivo, come pretende l’opposizione. La bufera investe l’euro, colpisce tutti i mercati europei e lascia intravedere il duro confronto in corso intorno all’intransigenza tedesca. Ma non c’è dubbio che l’Italia sia in prima linea e ne paghi le conseguenze.
Sullo sfondo, altri fattori vanno ad aumentare la confusione. Ad esempio la decisione di un certo numero di regioni di non introdurre il “ticket” sanitario previsto dalla manovra. Al di là dei motivi addotti, la scelta finisce per incoraggiare la sfiducia dei mercati: sulle piazze finanziarie il messaggio che arriva parla di un paese in cui lo Stato centrale non riesce a farsi obbedire.
In questo quadro ci si poteva attendere che il colloquio al Quirinale fra Napolitano e il presidente del Consiglio fosse emblematico di una volontà di riscossa. Dopo la veloce approvazione della manovra, giudicata da tutti come un successo personale del capo dello Stato, era logico immaginare un secondo tempo (peraltro adombrato, in un certo senso, proprio dalla lettera di Napolitano al Sole 24 Ore di domenica). Si poteva prevedere, in altri termini, il ritorno in campo di un Berlusconi agguerrito e desideroso di riprendere in mano la “leadership” appannata.
Nulla di tutto questo è avvenuto. L’incontro è servito soprattutto a fotografare lo stallo. Con la condizione finanziaria che si aggrava, il premier sembra sprovvisto di nuove idee: sia sul fronte economico sia sui temi strutturali che riguardano il governo. Per la nomina di un ministro della Giustizia al posto di Alfano, se ne parlerà più avanti, forse dopo l’estate. Ed è singolare che il premier non sia in grado di proporre al capo dello Stato un nome adeguato. Anche perché il risvolto immediato della mancata nomina consiste nel ridurre il profilo di Alfano come credibile neo-segretario del Pdl, un incarico che deve essere a tempo pieno.
Ma l'”impasse” si riflette malamente sugli equilibri di governo, visto che ci sono altri tasselli minori in attesa di composizione. Minori, ma importanti in quel complicato arabesco che è il rapporto con la Lega, non a caso tentata dal voto a favore dell’arresto del deputato Papa. Tutto si tiene.
Di fatto Berlusconi non è riuscito a recuperare il centro della scena, dopo il lungo bizzarro silenzio tenuto nei giorni della manovra. La regia politica resta nelle mani del presidente della Repubblica. Come dire, un’anomalia che non può durare a lungo: soprattutto se altri proiettili arriveranno dai mercati, mettendo in luce la debolezza di una maggioranza che esiste sul piano dei numeri, molto meno su quello della sostanza ( vedi la terribile copertina dello “Spiegel”). Non bastano certo i tempi biblici di un ddl costituzionale sul taglio dei parlamentari per mostrare efficienza realizzatrice.
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