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Occhio al “Programma del Sole24Ore”. Miseria e lavoro infiniti

Pensione a 70 anni, dote da 10 miliardi

articoli di Davide Colombo e Marco Rogari. Con un intervento di Renato Brunetta


di Davide Colombo
Lo scenario, vale dirlo subito, è da intervento davvero impegnativo. Un aumento anticipato di trent’anni, dal 2050 al 2020, dell’obiettivo di pensionamento a 70 anni. Una riforma draconiana, quella proposta dal Manifesto per la crescita lanciato dal Sole 24 Ore, ma capace di liberare risorse importanti fin dai primissimi anni della sua applicazione. E, soprattutto, di cancellare dai grafici di lungo periodo della spesa previdenziale la fatidica “gobba” che, anche dopo gli ultimi interventi disposti con la manovra correttiva (legge 111/2011), viene solo spostata in avanti di un paio di decenni.

L’esercizio che proponiamo è basato su una nostra simulazione che riguarda le pensioni di vecchiaia delle principali gestioni Inps. Non tiene dunque conto degli assegni di anzianità (che si possono ottenere con 40 anni di contributi a prescindere dall’età o con il meccanismo delle quote). E non tiene conto, ovviamente, delle altre pensioni, quelle dei dipendenti pubblici, quelle dell’Enpals e quelle dei professionisti iscritti alle casse privatizzate.

Abbiamo immaginato di modificare la normativa attuale introducendo due scalini (o scaloni, per i critici) che prevedono l’innalzamento dell’età per la vecchiaia nel gennaio 2016 e nel gennaio 2019. Il primo incremento sarebbe di un anno e qualche mese per gli uomini (da 65 e tre mesi a 66 e sette mesi) e di sei anni e qualche mese per le donne (da 60 anni e 3 mesi a 66 anni e 7 mesi), mentre il secondo scalino è uguale per i due sessi ed è di tre anni e qualche mese (si passa dai 66 e sette mesi ai 69 e 11 mesi). I mesi in più sono determinati dal meccanismo che, dal 2013, aggancia il momento del pensionamento all’aspettativa di vita e sono stati ipotizzati utilizzando le tavole di mortalità Istat (ipotesi centrale, periodo 2007-2050). A questi requisiti anagrafici, naturalmente, va poi aggiunta la finestra unica (12 mesi in più per i dipendenti e 18 mesi in più per gli autonomi).

Ecco che, al gennaio del 2020, i pensionamenti per vecchiaia Inps partono da 69 anni e 11 mesi per entrambi i sessi. Negli anni successivi (si vedano le tabelle) l’aumento dell’età è solamente legato all’aspettativa di vita e arriva ai 71 anni e 7 mesi nel 2035, l’anno in cui la riforma Dini compie 40 anni e l’intero sistema è passato al calcolo contributivo pieno.
Quanto si risparmierebbe con questa riforma? Il calcolo che proponiamo riguarda la spesa sul Fondo pensioni lavoratori dipendenti e le gestioni speciali dei lavoratori autonomi Inps. Poiché il primo gradino è nel 2016 i primi effetti di cassa si determinano nel 2017, con un calo di 317 milioni che sale a quasi 2 miliardi nel 2018, 3,3 miliardi nel 2019 e 4,2 miliardi nel 2020. Una decina di miliardi, in pratica, nei primi quattro anni. Ma la dote cresce, e di molto, negli anni successivi, fino a raggiungere i quasi 45 miliardi del 2045 e i 66,4 miliardi del 2050, quando la spesa pensionistica per le gestioni considerate scenderebbe di 1,3 punti di Pil.

Come si diceva è proprio il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno a cambiare completamente fisionomia con l’anticipo della pensione di vecchiaia a 70 anni nel 2020. La “gobba” scomparirebbe lasciando spazio a un andamento quasi lineare attorno al 9,3% del Pil fino al 2041, quando poi è previsto addirittura in calo sotto quota 9%. Il raffronto proposto in grafica è con l’andamento a «legislazione vigente» che fotografa una punta di spesa verso quota 10,5% del Pil tra il 2041 e il 2046, una proiezione che tiene conto dell’ipotesi di crescita del prodotto interno contenuta nello scenario centrale di base della Ragioneria generale dello Stato, valida nei confronti in sede internazionale (in pratica si stima una crescita in termini reali dell’1,5% l’anno).

E l’impatto sociale della riforma? La nostra simulazione non si spinge a calcolare quanto crescerebbero le pensioni di vecchiaia degli ultrasettantenni del 2020, anche perché un intervento di questa portata dovrebbe essere necessariamente accompagnato da altre politiche di sostegno sul mercato del lavoro. Questi futuri lavoratori più anziani, per esempio, potrebbero contare su uno sgravio contributivo che si traduce in un salario netto più elevato. Per questo abbiamo limitato il nostro esercizio al calcolo degli individui interessati dalla manovra sull’età. Nel 2017, l’anno successivo al primo scalino, verrebbero «fermate al lavoro» circa 75mila persone, che salgono a 219mila nel 2018, 304mila nel 2019 e 389mila nel 2020.

In totale un milione di lavoratori nei primi 4 anni di allineamento verso l’alto della vecchiaia. Un numero che naturalmente crescerebbe (con i risparmi aggregati) se, oltre la nostra simulazione, si considerassero anche i dipendenti pubblici e gli altri lavoratori la cui pensione futura non è erogata dall’Inps.

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La lettera di Napolitano sul manifesto del Sole 24 Ore: confronto sulle proposte per il rigore e lo sviluppo

di Giorgio Napolitano


Gentile direttore, ho letto i “Nove impegni per la crescita” apparsi sul Sole 24 Ore, e sono lieto di esprimerle il mio apprezzamento per il metodo che il suo giornale suggerisce, e per il contributo che offre, rispetto ai più scottanti temi economici del momento.

Il metodo è quello del confrontarsi – partendo dalle recenti decisioni del Parlamento, già oggetto di ampia informazione e approfonditi commenti sul Sole 24 Ore – su concrete proposte e opzioni che diano sostanza al discorso talvolta generico sulla necessità di combinare rigore nella finanza pubblica e rilancio dello sviluppo.

Le misure prospettate nei “Nove impegni” possono naturalmente suscitare obiezioni e sollecitare integrazioni: ma l’importante sarebbe che ciascun soggetto politico o sociale si esprimesse, in questa fase, in termini puntuali (e, perché no?, quantificabili) sul da farsi, e che così emergesse ogni possibile condivisione.

In quale clima e contesto politico tale confronto possa svolgersi e concludersi positivamente, è problema certamente non secondario, il cui scioglimento resta però affidato alla libera dialettica tra le forze rappresentate in Parlamento.
Con un cordiale augurio

17 luglio 2011

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Nove impegni per la crescita


«Vede, Governatore, le cose in Italia si possono fare solo quando la casa brucia!»: fu questa l’accorata esclamazione con cui Giuliano Amato – allora presidente del Consiglio – accolse l’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi quando questi andò a Palazzo Chigi in quelle ore roventi della crisi del settembre 1992. Il Governo Amato varò la famosa manovra da 90mila miliardi che permise all’economia italiana di passare, bruciacchiata ma non vinta, attraverso le fiamme dei mercati. Giulio Tremonti ha ottenuto ieri il sì del Parlamento su misure quadriennali da 48 miliardi di euro in questi giorni altrettanto roventi. Saranno sufficienti?

L’ultima asta dei Buoni del Tesoro poliennali (BTp) a 15 anni è stata sottoscritta a un tasso (5,9%) che è ai massimi dalla nascita dell’euro. Un segnale inequivoco. L’economia italiana deve assolutamente evitare il rischio dell’avvitamento della crisi con l’aumento dei tassi di interesse per finanziare i titoli del debito pubblico. Rigore e crescita sono un binomio inscindibile per impedire che l’Italia finisca in questo circolo vizioso. La manovra approvata ieri definitivamente va nella direzione giusta del pareggio di bilancio, ma è indispensabile una fase due che ponga la crescita al centro della politica economica. Il metodo della coesione ha dato buoni frutti e va riproposto su alcuni punti. Il Sole 24 Ore ne indica nove irrinunciabili. Non si tratta solo di agire su entrate e spese ma anche di adottare misure che segnino un cambiamento nel modo di operare della pubblica amministrazione e restituiscano agli operatori – cittadini e imprese – gradi di libertà e trasparenza nei rapporti con lo Stato.

1 – Riduzione della tassazione sul lavoro che porti a un alleggerimento dell’Irap attraverso una rimodulazione dell’Iva. Questa ricomposizione darebbe più slancio al Pil, perché la riduzione del costo del lavoro agisce su competitività, prezzi e margini delle imprese e ampiamente compensa l’effetto negativo sui consumi dell’inasprimento dell’Iva. Per evitare che la maggior aliquota Iva finisca in maggiore evasione occorre potenziare gli strumenti di controllo.

2 –L’innalzamento dell’età pensionabile obbligatorio per tutti a 70 anni, accorciando il percorso che, con l’ultima manovra, farebbe raggiungere tale soglia nel 2050, per arrivarvi entro il 2020. Ciò permetterebbe di pagare pensioni più elevate e di ridurre gradualmente il carico dei contributi sociali molto elevati.

3 – L’Europa adotti eurobond (titoli di debito europeo) per sostenere i Paesi in difficoltà, evitando l’innalzamento nell’area euro dei tassi e garantendo la possibilità per tutti i Paesi membri di finanziarsi a costi accettabili. L’Efsf (ma si possono immaginare anche altri emittenti come la Bei o il nuovo veicolo Esm) potrebbe collocare bond fino a 2.000 miliardi (dagli attuali 225) con garanzie pari a circa 3.500 miliardi. Questa raccolta potrebbe servire anche a sostenere direttamente (e non a parole) investimenti in infrastrutture transnazionali con una importante ricaduta anche per l’Italia.

4 – Scossa forte sulle privatizzazioni a cominciare dalla Rai e dalle aziende di public utility oggi possedute da enti locali o da loro controllate. Al di là dei vantaggi diretti sul debito e quindi del risparmio sulla spesa per interessi, si ridurrebbe drasticamente l’intervento diretto della politica (e delle sue logiche spartitorie e di arricchimento) nella produzione di beni e servizi.

5 – Un piano di liberalizzazione di licenze e orari per tutte le attività del commercio, servizi, farmacie, para-farmacie e reti distributive. Liberalizzazione delle professioni. Potenziamento del ruolo dell’Antitrust. Adozione del principio per cui nessun cittadino e nessuna impresa sono tenuti a presentare certificazioni che sono già in possesso della pubblica amministrazione.

6 – Definire un patto di stabilità interno effettivamente non derogabile sui parametri dei costi standard per la spesa sanitaria.

7 – Aumento delle rette universitarie. Non c’è motivo per cui chi può permetterselo non debba pagare in modo adeguato l’investimento formativo dei figli. Gli studenti meritevoli e non abbienti vanno invece sostenuti con un sistema generoso e mirato di borse di studio e/o di prestiti (come in numerose esperienze straniere).
Ciò spingerebbe a migliorare nettamente la gestione delle università, perché ne farebbe dipendere il finanziamento in modo più marcato e diretto da quanto gli studenti versano. Abolizione del valore legale del titolo di studio, per cui non varrà più che un diploma ottenuto abbia lo stesso valore indipendentemente dalla bontà dell’ateneo in cui è stato conseguito.

8 – Trasparenza della pubblica amministrazione:una forte iniziativa con l’adozione di una legge per la libertà d’informazione (“Freedom of Information Act”, secondo le migliori esperienze straniere). Questo consentirebbe di monitorare l’operato dei funzionari pubblici e li renderebbe più responsabili di inutili ritardi, evitando il rimpallo delle pratiche tra un ufficio e l’altro.

9 – Riduzione dei costi della politica: adeguamento immediato delle indennità dei parlamentari e del numero degli eletti alla media europea, abolizione delle Province e accorpamento dei Comuni più piccoli, dimezzamento delle rappresentanze dei consigli regionali, comunali e circoscrizionali e riduzione dei componenti dei cda di tutte le società controllate dagli enti locali. Queste scelte possono avere un significato speciale per restituire credibilità alle istituzioni.

Siamo ben consapevoli che la ricetta per la crescita è composta da molti ingredienti e che questa lista non li esaurisce certo tutti. Le imprese stesse devono agire sulla propria governance, patrimonializzazione, dimensione, innovazione come mostrano i sempre più numerosi casi di successo. Ma l’ingrediente principale è costituito dalla fiducia e queste misure ridarebbero slancio alla voglia di fare che negli imprenditori e nei lavoratori italiani non è mai venuta meno e che è il vero capitale del Paese.

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