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Reazionari stanchi dell'”impresario” prestato alla politica

Da quando Confindustria ha stabilito che “il tempo è scaduto” (pochi giorni, non vi agitate…), ogni momento è quello buono.

Resta da registrare che anche il più inossidabile dei reaionari a gettone – non a caso un exPci rifardito tanto quanto Giuliano Ferrara – ha deciso (su ordinazione: in fondo anche lui, come Vespa, sa benissimo chi è l’editore di riferimento: il Corsera molto confindustriale) che è ora che Silvio si faccia da parte. Meglio tardi che mai, vero Galli della Loggia? Se aspettavi ancora una settimana rischiavi in futuro di finire come i Cicchitto o i Gasparri…

Una commedia italiana

È difficile che Berlusconi non lo sappia. Ma se questo fosse il caso, allora è opportuno che qualcuno glielo dica. Gli dica che in pratica non c’è uno, uno solo, dei deputati e dei senatori della sua maggioranza (nonché dei suoi ministri) che in privato non si mostri convinto che il presidente del Consiglio ha fatto il suo tempo, e che la cosa migliore per tutti è che lasci al più presto il proprio incarico. È bene che il Cavaliere lo sappia: il deputato che incrociandolo a Montecitorio gli stringe rispettosamente la mano, la sottosegretaria che gli sorride al banco del governo, il fidato collaboratore, tutti, appena lui si allontana, confidano a chiunque che così non si può andare avanti, che il premier deve lasciare. Tutti, indistintamente: ma sempre alle sue spalle. Da settimane sul palcoscenico italiano la destra mette in scena un triste spettacolo di doppiezza.

L’onorevole Alfano ha detto pochi giorni fa che gli avversari del Pdl vogliono non solo cacciare Berlusconi dal governo, ma cancellare in realtà l’intera storia politica di coloro che in lui si sono riconosciuti. Forse. Quel che è certo è che se c’è però un modo di evitarlo è quello di fare politica, come egli appunto cerca di fare in queste ore, non già invece quello che troppo spesso è sembrato prevalere di recente tra gli esponenti del Pdl: in pubblico mettere la testa sotto la sabbia, e in privato abbandonarsi alla confidenza ironica, al qui lo dico e qui lo nego.

Coloro che si comportano così non sembrano rendersi conto che l’Italia vive oggi il momento forse più critico della sua storia postbellica. Il terrorismo e le vicende di «Mani pulite», infatti, non rappresentarono mai un pericolo capace di minacciare ciò che minaccia di fare la crisi economica attuale. E cioè scompaginare le basi sociali stesse della democrazia italiana riducendo drammaticamente le risorse a sua disposizione. E dunque cancellare intere parti della realtà non solo economica ma anche civile e umana del Paese. Egualmente non sembrano rendersi conto che ormai per il Popolo della libertà è questione di vita o di morte: o il Pdl, infatti, riesce a svincolarsi da Berlusconi, e quindi a mantenere in vita un’esperienza dimostratasi cruciale per l’esistenza di un polo politico-elettorale di destra, o per lo stesso Pdl molto verosimilmente è finita. E per la gran massa dei suoi esponenti – privi quasi sempre di un qualunque retroterra di consenso personale – ci sarà forse, a suo tempo, un vitalizio delle Camere, ma di sicuro non c’è più alcun avvenire politico.

Ciò che sta venendo al pettine in questo fosco tramonto del berlusconismo è il nodo del partito, non solo e non tanto personale come è stato tante volte definito, quanto padronale, a cui Berlusconi stesso ha dato vita diciassette anni fa. Un singolare partito, formalmente politico, ai cui esponenti però è stato finora vietato l’accesso a quello che da che mondo è mondo è il momento cruciale della politica stessa: il momento della decisione, delle scelte. Finora, invece, riservato solo al capo e ai suoi fidi. Ma la storia ha voluto prendersi la vendetta di questa bizzarra anomalia. Ora il momento di decidere è inappellabilmente venuto, per ognuno e per tutti. E a tutti è fin troppo ovvio ricordare che in realtà non decidere è già un decidere. E di sicuro, oggi, è la decisione sbagliata.

Ernesto Galli Della Loggia

dal Corriere della sera

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