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La battaglia della Banca d’Italia

L’istituto non è più la potentissima centrale di comando della politica monetaria d’un tempo. Le sue funzioni principali – dal battere moneta alla regolazione dei tassi di interesse – è da tempo passata alla Bce. Resta ilcompito di vigilanza sul sistema bancario nazionale. Ed è qui, probabilmente, che si aggira il fatasma per cui diventa indispensabile mettere un proprio uomo sulla poltrona principale di palazzo Koch.

Dei due candidati ufficiali c’è poco da dire. Fabrizio Saccomanni, cresciuto dentro l’istituto, è il classico funzionario di grande competenza tecnica e assoluta indipendenza di giudizio che è il fiore all’occhiello della “scuola” di via Nazionale. Di Vittorio Grilli, al contrario, non si può ceto dire altrettanto, vista la sua più volte dimostrata capacità di aderire al potere politico, anche del peggiore. L’essere considerato da anni l’alter ego di Marco Milanese alla corte di Giulio Tremonti non sembra davvero un biglietto da visita “autorevole” per un posto del genere. Il rischio che la sua nomina possa trovare il parere contrario del Consiglio Superiore della banca è tutt’altro che ipotetico. Si aprirebbe l’ennesimo scontro istituzionale là dove è meno ammissibile che nasca e nel pieno de una tempesta in cui l’Italia non fa davvero la parte della corazzata.

Del terzo, Lorenzo Bini Smaghi, riemerso all’ultimo minuto in seguito allo stallo sui rimi due nomi, non si può fare il discorso fatto per Saccomanni, pur avendo la stessa formazione, perché la sua “resistenza” nel board della Bce – nonostante l’universale moral suasion esercitata su di lui perché si facesse da parte dopo la nomina di Mario Draghi a presidente dell’istituto di Francoforte – ha svelato pubblicamente ambizioni personali che a determinati livelli dovrebbero restare sotto traccia.

Stiamo parlando di un’istituzione chiave negli equilibri inter-borghesi. E anche dal punto di vista delle classi dominanti è sempre stato considerato una garanzia per tutti che su quella poltrona ci fossero uomini al di sopra di ogni sospetto, indipendenti dal potere politico e dalle pressioni di interessi economici particolari. Dovendo svolgere una funzione sistemica, infatti, ogni “favoritismo” diventa uno squilibrio intollerabile.

Ma anche questa “battaglia” svela un irresistibile istinto per il degrado. I rapinatori vogliono dirigere la banca. Che trionfo!

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Galapagos
Rimpallo ai vertici. Il premier mercanteggia
Giù il gradimento di Saccomanni tallonato da Grilli, direttore del Tesoro e uomo di Tremonti

Si è riaperto un fronte – quello del nuovo governatore di Bankitalia – che sembrava ormai chiuso: la nomina di Fabrizio Saccomanni (attuale direttore generale della Banca centrale) sembra di nuovo in bilico, minacciata dalla candidatura di Vittorio Grilli, attuale direttore generale del Tesoro e uomo di fiducia di Tremonti che lo ha utilizzato per anni – con l’aiuto di Marco Milanese – per piazzare i suoi uomini ai vertici delle imprese controllate o partecipate dallo stato. Ieri era convocato il Consiglio superiore della Banca d’Italia che avrebbe dovuto dare il parere sul nuovo governatore, ma dalla presidenza del consiglio non è arrivata alcuna indicazione. In compenso nel primo pomeriggio c’è stato un rapido incontro a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (che teoricamente è favorevole alla nomina di Saccomanni) e il governatore uscente Mario Draghi. Poi il premier ha ricevuto invece Giulio Tremonti. Bocche cucite.
A parlare sono stati altri. Ad esempio, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini che – ieri mattina – al termine di un incontro a si sono detti preoccupati per la situazione di incertezza per la successione a Draghi al vertice di Banca d’Italia. Ma c’è anche chi ha straparlato, il solito Umberto Bossi, che ha dichiarato: «Preferisco Grilli, perché è di Milano». Forse una battuta. In ogni caso, un appoggio al candidato di Tremonti.
Poi Bossi, con il solito gesto «raffinato» (il dito medio alzato) rivolto – in questa occasione – agli industriali, ha proclamato: «Non vogliamo mica portare via i soldi delle pensioni ai pensionati per darli alle imprese, come chiede Confindustria. Siamo mica matti. Una volta c’erano gli imprenditori che inventavano il lavoro. Oggi sono invecchiati anche loro e quelli che lo inventano sono in Cina. Devono svegliarsi, non basta mettere i soldi ma idee. La Marcegaglia? Certo, anche lei».
Tornando a Bankitalia, ieri mattina alle 11,30 si è riunito a palazzo Koch il Consiglio superiore che era in attesa di ricevere una lettera da palazzo Chigi con l’indicazione del futuro governatore. Ma la lettera, come detto, non è arrivata. E i consiglieri (tutti imprenditori di grido) non l’hanno presa bene. «L’autonomia della banca è un bene prezioso, non si faccia l’errore di considerare il parere del Consiglio superiore come una sinecura», ha spiegato il consigliere anziano dell’istituto Paolo Blasi all’agenzia Radiocor. «Il parere, quando arriverà l’indicazione del nome dal presidente del Consiglio, sarà espresso nel rigoroso rispetto dell’autonomia della banca e potrà essere positivo o negativo a seconda della candidatura presentata».
Insomma, anche il consiglio scende sul piede di guerra in difesa dell’autonomia della Banca centrale. La prossima riunione ordinaria del consiglio superiore di Bankitalia, l’ultima sotto la presidenza di Mario Draghi, è stata convocata per il 24 ottobre. Tuttavia, nel caso arrivasse la lettera del premier, lo stesso Blasi potrebbe convocare anticipatamente un consiglio straordinario.
Quanto a Casini e Bersani, sostengono che «nel mezzo di una tempesta finanziaria internazionale che vede l’Italia in prima linea, invece di offrire certezze e stabilità, il governo continua a tenere pericolosamente in bilico il paese per mere esigenze personali o di equilibri interni. La professionalità e la competenza dei diversi candidati non sono in discussione. L’obiettivo fondamentale però è che alla Banca d’Italia sia assicurato presto un assetto di vertice stabile; un assetto che risponda a criteri di continuità di azione e che non presti il fianco a interpretazioni negative, fondate o meno che siano, sull’autonomia della Banca centrale italiana».
Sulla nomina, anzi mancata nomina, del nuovo governatore è intervenuto anche Di Pietro. «Deploriamo che anche per un organo che dovrebbe essere di garanzia, le nomine dei vertici – ha dichiarato il leader dell’Idv – debbano essere oggetto di mercanteggiamento e di voto di scambio. Chiediamo – ha aggiunto che il nuovo governatore venga scelto con criteri di trasparenza e non grazie ad accordi sotterranei a Palazzo Grazioli».
Polemico pure Italo Bocchino. Per il numero due di Fli «il balletto delle trattative politiche sul governatore della Banca d’Italia è uno schiaffo all’indipendenza di Palazzo Koch e rischia di minare ulteriormente la credibilità italiana sui mercati internazionali e nei rapporti con la Bce». Fabrizio Cicchitto, invece, ha negato che sulla nomina del governatore sia in corso uno scontro. I servi sciocchi non mancano mai.

da “il manifesto”
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da Il SOle 24 Ore

Scegliere prima di logorarsi

di Stefano Folli


Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio che lamenta (talvolta anche a ragione) di non avere abbastanza poteri, anzi di averne meno di altri primi ministri europei, avrebbe una magnifica occasione per esercitarne uno e non secondario: quello di nominare il governatore della Banca d’Italia. E’ una sua prerogativa, limpida e incontestabile. I successivi passaggi, dalla stessa banca centrale al Quirinale, non dovrebbero toccare il merito della scelta, ma risolversi in una procedura di ratifica.

Come si spiega allora questa esitazione? I tempi sono maturi, dal momento che si avvicina il giorno in cui Mario Draghi prenderà l’aereo per Francoforte. Il governo di Roma, la cui credibilità politica non è allo zenit, avrebbe tutto l’interesse a chiudere la vicenda entro giorni e non settimane. Sappiamo del resto cosa pensa la Banca d’Italia. Desidera che sia rispettata, anche sul piano dei simboli, la sua «autonomia». Vuole quindi che il nuovo governatore sia prescelto all’interno dell’istituto, secondo una tradizione che ha conosciuto in tempi recenti ben poche eccezioni. Tale fu Draghi, in effetti, ma le circostanze erano eccezionali, visto che via Nazionale era reduce dalle dimissioni traumatiche di Fazio.

Ora il quadro è del tutto diverso. Draghi ha ottenuto un prestigioso riconoscimento con l’ascesa alla guida della Bce e la Banca d’Italia vuole preservare il filo della continuità. Il nome di Fabrizio Saccomanni riflette esattamente l’identikit gradito all’istituto e a un largo «establishment». Tuttavia è noto che Giulio Tremonti e la Lega dietro di lui preferiscono la nomina di Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, molto stimato anche all’estero.

Nel gioco delle simbologie, talvolta ingiuste ma inevitabili, Grilli è dunque il candidato del ministro, mentre Saccomanni è il candidato di Palazzo Koch e del governatore uscente. «Rispettare l’autonomia» vuol dire: sì a Saccomanni e no a Grilli, anche se la semplificazione brutale è fuorviante. Ma tant’è. La lotta di potere è aspra. La posta in gioco è il raccordo Francoforte-Roma e il reale controllo della politica economica. O se vogliamo il contrasto riflette il lungo, sotterraneo dissidio fra Tremonti e Draghi che continua per interposte persone.

Berlusconi dovrebbe decidere e invece guadagna tempo. E’ uno di quei casi in cui vorrebbe davvero avere meno poteri di quanti ne possiede. E soprattutto vorrebbe che altri, magari il Quirinale, lo affiancasse nella scelta. Ma così non può essere e Napolitano si è tenuto lontano dalla «querelle», anche se senza dubbio ha una sua idea in merito e certo non gradisce la tattica temporeggiatrice che finisce per danneggiare lo stesso istituto.

Si torna dunque al quesito di fondo: perchè esita Berlusconi? Perchè non vuole scontentare nessuno. Ha bisogno della Banca d’Italia (lo si è visto nei tormentati giorni della manovra) non meno che della benevolenza del capo dello Stato. D’altra parte non può ignorare Tremonti con cui ha appena stipulato una tregua. Ancor meno può infischiarsi di una Lega alla quale deve, giorno per giorno, la sopravvivenza dell’esecutivo. Come si è visto ieri alla Camera, nella seduta nervosa e chiassosa che ha rigettato la sfiducia al ministro Romano. Bossi non ha motivi particolari per privilegiare Grilli rispetto a Saccomanni, ma in questo caso sta dando una mano al ministro dell’Economia. E, come si è detto, Berlusconi non sottovaluta l’insidia. Ma sa bene che la scelta di Grilli verrà attribuita da tutti a Tremonti e non a lui.

Tutto lascia pensare che alla fine il premier sceglierà la figura più gradita alla Banca d’Italia. Ma ci arriverà attraverso un percorso lento e tortuoso, che già oggi suscita interrogativi, offrendo facile esca alle opposizioni (si veda il documento congiunto Bersani-Casini). Comunque vadano le cose, la capacità di «leadership» di Berlusconi avrà subito un ulteriore appannamento. Ci si logora anche così.

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Per Bankitalia spunta anche l’ipotesi della terna: Grilli, Saccomanni, Bini Smaghi

di Rossella Bocciarelli
Una giornata febbrile, dopo la fumata nera sulla scelta del successore di Mario Draghi avvenuta ieri in occasione della riunione del consiglio superiore della Banca d’Italia. È la cronaca di ieri, un altro giorno all’insegna di un braccio di ferro tra due candidati in corsa per la guida di via Nazionale: l’attuale direttore generale di Palazzo Koch, Fabrizio Saccomanni, da molti dato ancora per favorito, e il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, fortemente sostenuto dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. E da ieri appoggiato anche dal leader della Lega, Umberto Bossi, che ha sostenuto di preferirlo «se non altro perchè è di Milano».

Insomma, nessuna novità, come ha commentato ieri sera il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, lasciando intendere che, per lui, la situazione è ancora in stallo. In precedenza Draghi era salito al Quirinale e si era incontrato con il premier, che successivamente aveva parlato anche con Tremonti. Dai tanti colloqui è anche emersa la possibilità che per sbloccare la situazione si possa passare per la presentazione di una terna di candidati.

Nella mattinata, la riunione del Consiglio superiore, convocata da tempo in seduta ordinaria, si era chiusa senza decisioni: in assenza della richiesta di parere del Governo (la famosa lettera che da Palazzo Chigi sarebbe dovuta arrivare a via Nazionale), i 13 consiglieri si sono limitati a esaminare l’ordine del giorno già fissato in precedenza. Ma il consigliere anziano, Paolo Blasi, ha fissato chiaramente i paletti: sono una richiesta di rispetto rigoroso della procedura fissata dalla legge 362 del 2005 e la difesa dell’autonomia dell’istituto. La scelta del consiglio non può essere data per scontata: «Il parere», ha detto Blasi, «può essere positivo o negativo a seconda delle circostanze.

Quello che tengo a dire», ha aggiunto, «è che sarò rigoroso nel rispetto delle procedure previste dalla legge e dallo statuto della Banca: se uno pensa che ci limiteremo a ratificare ciò che ci verrà proposto, si sbaglia». Blasi è consapevole che il Consiglio superiore «ha una grande responsabilità. «Siamo – ha dichiarato ieri – i tutori dell’autonomia dell’istituto e il nostro parere sarà meditato e motivato. Nel momento in cui saremo chiamati a esprimere il nostro parere, dovremo tenere conto certo della competenza e del curriculum del candidato, ma anche garantire l’autonomia della banca, che è un bene prezioso». La prossima riunione è stata fissata per il 24 ottobre prossimo, ma nulla toglie che, nel caso arrivi la richiesta di parere dal Governo, Blasi possa convocare anticipatamente, in qualunque momento, in seduta straordinaria il consiglio.

La questione dell’avvicendamento interno alla Banca d’Italia sembrava quasi del tutto incardinata sul suo percorso istituzionale visto che Fabrizio Saccomanni offrirebbe appunto la garanzia di una continuità di gestione ed è stato sin dall’inizio il candidato espresso da Palazzo Koch e sostenuto, nei suoi colloqui istituzionali anche da Draghi. Ma ora che la matassa si è nuovamente imbrogliata e la partita è sta riaperta dall’Economia, si tratta di provare nuovamente a scioglierne i fili. E di farlo in tempi rapidi, dal momento che non è salutare mostrarsi indecisi a tutto, perfino nella scelta di chi deve guidare la banca centrale, in tempi di crisi sui mercati internazionali; senza contare il fatto che nessuno dei nomi in lizza merita una sovraesposizione da baruffe politiche.

Un possibile escamotage per uscire dall’impasse potrebbe essere quello di delineare una “terna” di candidati alla poltrona di governatore e di portare tre nomi, invece di uno, al parere preventivo del consiglio superiore. I nomi sui quali avviare il sondaggio, in questo caso, sarebbero tre : Saccomanni, Grilli e Lorenzo Bini Smaghi, esponente italiano del board della Bce, il cui nome ha ripreso ieri a circolare come candidato di “mediazione”. Resta ancora in campo anche Ignazio Visco, vice direttore generale. Ma l’ipotesi della terna lascia freddo Tremonti e non sembra ancora sciogliere l’indecisione di Berlusconi.

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