Intanto ricordiamo i fondamenti concettuali della “sovranità” statuale. Un popolo è “sovrano” – nella democrazia liberale – perché può scegliere come regolare se stesso, la propria ricchezza, le proprie relazioni con gli altri popoli. Lo fa attraverso delegati mandati in Parlamento e scelti tramite libere elezioni, in cui i “rappresentanti del popolo” vengono (dovrebbero essere) scelti in base a “programmi politici”, ovvero impegni a fare determinate cose.
Le alleanze internazionali ovviamente riducono la portata della sovranità, ma non l’annullano. Il perché la riducano è quasi intuitivo: una volta decisa una certa relazione, questa ha valore di “contratto” internazionale, che non può certo esser ridiscusso a ogni cambio di maggioranza al governo. Vale per le alleanze militari come per quelle economiche.
Non sono però eterne; in certe condizioni (le crisi, in genere) possono o debbono venir messe in questione. Distribuzione della ricchezza e alleanze militari sono i due terreni decisivi su cui un popolo esercita in modo delegato la propria “sovranità”. Quale politica economica (industriale, fiscale, sociale, dei trasporti o sanitaria) debba esser realizzata e se dichiarare guerra o no sono infatti argomenti che possono terremotare le condizioni di vita di tutta la popolazione; quindi, in democrazia liberale, debbono restare il più possibile sotto “sovranità”.
Ma in questi anni e giorni vediamo che gli aerei da guerra partono ancor prima che il presidente del consiglio l’abbia deciso (è il caso della Libia, con Berlusconi che negava persino fossero già operativi). E “ospitiamo” dei funzionari Fmi, Bce, Ue che debbono controllare che vengano effettivamente realizzate le misure che questi organismo ci hanno “consigliato”.
In un paese berlusconizzato, molta gente perbene può credere che così si eviteranno “ruberie”, “lavori pubblici finti”, ecc. Persino un discreto scrittore come Maurizio Maggiani, lunedì 7 novembre, a L’infedele, ha ripetuto queste ingenuità come “speranze”. Naturalmente questi ispettori non faranno nulla di tutto ciò. Si “limiteranno” a verificare i tagli di spesa pubblica nelle voci di bilancio da loro indicate: pensioni, statali, servizi da privatizzare, ecc. Paradossalmente, si potrebbe costruire lo stesso un Ponte di Messina e far arricchire mafia e ‘ndrangheta, perché queste spese – controllate operativamente dal governo nazionale – passerebbero sotto la voce “grandi opere infrastrutturali”; quindi come “investimenti”. Mentre magari, per avere i soldi necessari a realizzarlo, si dovrebbero tagliare gli stipendi e la pianta organica dei dipendenti pubblici.
Scelte fondamentali di distribuzione della ricchezza di un popolo passano così nelle mani di “funzionari” che nessun potere democraticamente eletto ha nominato.
Di più. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) era un organismo praticamente in coma dopo la “cura” fallimentare che aveva imposto all’Argentina, fin quando quel paese non aveva scelto di cavarsi da solo d’impaccio, tramite un sanguinoso default che ha tenuto in recessione ancora un po’ il paese per poi rilanciarlo in un contestato latinoamericano peraltro mutato. Ora quest’organismo – che ha dovuto subire anche lo scandalo Strauss-Kahn e la sua sostituzione con Christine Lagarde – è stato rivitalizzato. La cosa più preoccupante è che l’Europa intera, prima convinta di “poter risolvere da sola” il problema greco, nel giro di appena un anno ha alzato bandiera bianca consegnando il timone dei futuri “salvataggi” – quindi anche il timone della moneta unica – nelle mani del Fmi. Al cui interno le “quote” sono distribuite in modo da privilegiare, al momento, soprattutto gli Stati Uniti.
Abbiamo dunque un plurimo trasferimento di “sovranità”: da un popolo nazionale a istituzioni europee (Ue e Bce) in deficit di legittimità democratica (non sono organismi eletti e revocabili), e quindi da questi al Fmi, che risponde addirittura a un consesso di paesi ben più largo e niente affatto “corresponsabilizzati” per quanto – a livello sociale, di condizioni di vita, di sconquassi interni – potrà accadere là dove determinate “riforme” (che rispondono a interessi neppure nazionali, ma dei “mercati” senza volto e senza nome) verranno realizzate. Ossia in Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia. E prossimamente Francia, pare.
Complimenti, davvero un capolavoro di “costruzione europea”, densa di “democrazia”!
P.s. In nome della “democrazia”, ricordiamo, andiamo bombardando paesi vicini e lontani. Probabile che tra un po’ il tiro dei lanci si accorci ancora…
*****
da Il Sole 24 Ore, dove il problema viene visto, ma tematizzato in modo ancora “interrogativo”.
La crisi riduce le sovranità nazionali
Beda Romano
La crisi ha messo in ginocchio non pochi governi europei, ma mai come nelle ultime settimane lo sconquasso debitorio ha sancito una riduzione delle sovranità nazionali. Alcuni Paesi sono sotto tutela dell’Unione (la Grecia); altri sotto il controllo della Commissione (l’Italia). Giusto? Sbagliato? Il fenomeno a dir poco controverso si incrocia con il desiderio del Parlamento europeo di rafforzare il proprio ruolo.
«Il diritto di intervento reciproco è realtà dal 1992, dal Trattato di Maastricht che ha creato una moneta unica – dice Sylvie Goulard, deputata europea del partito liberale -. L’intervento europeo nelle politiche nazionali è inevitabile. Per certi versi, ciò che succede oggi in Italia è più importante per il futuro dei miei figli delle prossime presidenziali francesi. Il vero problema non è tanto l’intervento, quanto da chi giunge».
Qualche giorno fa la Commissione europea ha esortato la Grecia a formare un Governo di unità nazionale per introdurre le necessarie misure di risanamento dell’economia. In precedenza, Francia e Germania hanno chiesto perentoriamente al premier greco George Papandreou, oggi dimissionario, di rivedere l’idea di un referendum sul futuro della Grecia nella zona euro. Queste pressioni hanno fatto molto discutere.
Con quale diritto – si chiedono in molti – l’Esecutivo comunitario o i partner europei possono intervenire nella politica interna di un Paese sovrano dell’Unione? La verità è che la crisi debitoria ha bruscamente rafforzato la consapevolezza che i destini nazionali sono intrecciati come non mai. Gli stessi trattati giustificano l’intervento europeo, se è vero che la sola idea di un referendum greco ha scosso i mercati.
«Gli Stati membri – si legge nell’ultimo comma dell’articolo 4 – facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione». In questo senso, i partner europei della Grecia, o dell’Italia, possono legittimamente esortare i due Paesi a prendere decisioni, fare scelte, seguire direttive.
La signora Goulard si interroga su chi deve intervenire, e mette l’accento sul ruolo franco-tedesco, probabilmente eccessivo e ingiustificato. In questo senso, ieri durante una audizione davanti alla commissione affari economici del Parlamento europeo, molti deputati hanno sottolineato l’assenza di una legittimità democratica nelle scelte europee che provengono nel migliore dei casi dalla Commissione, altrimenti da Parigi o Berlino.
«C’è bisogno di maggiore integrazione tra gli Stati membri – ha detto Philippe Lamberts, un deputato dei Verdi – Però dobbiamo rafforzare il sostegno popolare, altrimenti c’è il rischio che l’integrazione fallisca». Al di là del fatto che i parlamentari europei ambiscono a rafforzare il loro ruolo, è vero che in molti Paesi cresce lo scontento per il modo in cui le decisioni vengono prese e la questione non può essere ignorata.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Ipanema66
LA SANGUINOSA AGONIA DEL CAPITALISMO! COSA AVRANNO ORA DA DIRCI IQUEROLI ESEGETI DEL LIBERO GIOCO DEL MERCATO? MA SOPRATUTTO QUALE LITURGIA ATTUERANNO PER GIUSTIFICARE LA PROSSIMA DEVASTAZIONE SOCIALE? AH,CARO VECCHIO MORO DI TREVIRI!!