La Camera ha approvato la manovra con 402 sì, 75 contrari e 22 astenuti. In totale sono 130 – 124 assenti e 6 in missione – i deputati che ieri sera non hanno votato il decreto: 70 del Pdl, 6 del Pd, 10 di Fli, 8 della Lega. Mario Monti era intervenuto nel tardo pomeriggio alla Camera sgombrando il campo dalle possibili scorciatoie: la manovra va fatta perché «il rischio è massimo». Anche se il succo politico sta tutto nella semplice cronaca. Una giornata defatigante (l’esecutivo va per la prima volta sotto su un ordine del giorno presentato dal Carroccio sull’Ici per i disabili), coi partiti attraversati da mille tensioni e con i leader preoccupati di possibili sfarinamenti all’interno delle proprie truppe.
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Prendete la Bocconi di Milano, da dove viene Monti innanzitutto. La sua eccellenza non è sostenuta dalle sole rette degli studenti. Con un programma decennale di raccolta fondi 2005-2015, l’università divide i partner (cioè chi mette soldi) fra «strategici», «sostenitori» e di «sviluppo». Fra i primi, colossi come Eni ed Enel, oltre che banche come IntesaSanpaolo; tra i secondi ancora banche come Bpm e Mediolanum; fra gli sviluppatori, assicurazioni come Allianz e Generali, banche d’affari come Goldman Sachs e Jp Morgan, costruttori di auto come Bmw. Sarebbe un’illazione dire che uno più uno fa due, ma non può essere un caso che oggi (come nel passato), di vera liberalizzazione per banche e assicurazioni non se ne parla. Anzi, dice il centro studi degli artigiani di Mestre (Cgia): dal 1994 le assicurazioni auto sono aumentate del 184,1% (contro un incremento dell’inflazione del 43,3%), i servizi bancari (bancomat, conti correnti, commissioni varie) del 109,2%.
E i petrolieri? Non hanno fiatato sulla manovra, che aumenta l’accise sui carburanti, già i più cari d’Europa: su 1,70 euro, circa 1 va oggi allo stato. Ma con Monti, è come se avessero risparmiato milioni per una campagna istituzionale: per dire che non è colpa loro se il prezzo della benzina aumenta. L’onore, per una volta, è salvo: calano certo i consumi (e un po’ anche il prezzo al barile), ma ormai soltanto il governo è ladro.
Il ministro per lo Sviluppo Corrado Passera non è un professore che nella sua precedente vita professionale ha avuto a che fare con certe lobby, ma si può considerare l’eccezione che conferma la regola. Da banchiere, a capo di Intesa, ha finanziato tutto e tutti. Oggi, dunque, nessuno o quasi gli può chiedere nulla. Semmai, è lui che può alzare il telefono e convincere all’istante un duro negoziatore come l’amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne a sganciare altri 5 milioni di euro per chiudere la trattativa per Termini Imerese. Quattro soldi, a confronto di quello che Passera ha prestato alla Fiat nel 2002 e ha fatto poi per Marchionne alla scadenza del convertendo. Non erano aspirine.
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