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L’Europa di ferro del 2012

Riferisce l’Ansamed.

Per l’Europa avvitata sulla crisi dei suoi debiti, e incalzata da Usa e Cina, il 2012 sarà l’anno in cui cambierà volto: la lenta integrazione che ha conosciuto finora non tiene più perchè, con i mercati che dettano il ritmo, i suoi tempi sembrano ere geologiche. Un pezzo già lo ha perso: la Gran Bretagna che dice un ‘no’ al nuovo Patto di bilancio salva-Euro e un altro ai fondi Fmi per aiutare l’Eurozona. E così la Ue resta ora in bilico tra un 27- e un 17+: nel nuovo formato che le assicurerà la sopravvivenza, può lasciare andare Londra e lottare per tenersi gli altri, oppure lavorare per compattare sempre più l’Eurozona, allargata al massimo a qualche temerario che accetti il suo nuovo rigore.

La prova per l’Europa parte da subito, con l’inizio del nuovo anno: le cancellerie e i delegati del Parlamento europeo sono infatti già al lavoro sul testo del nuovo Patto di bilancio, che il 24 gennaio deve essere licenziato dai ministri dell’Economia e il 30 dai leader, in un vertice straordinario. È considerato il Patto salva-euro, e si farà senza la Gran Bretagna che partecipa alla stesura come osservatore: dopo essersi sfilata dall’operazione è stata invitata dal presidente Ue Herman Van Rompuy al tavolo, con la speranza che cambi idea. Ma la speranza è debole: il secondo ‘no’ di Londra – ai fondi Fmi dedicati al salvataggio dell’Eurozona – ha messo per ora una distanza incolmabile tra la Manica e il Continente.

Intanto l’Europa va avanti, anche soltanto a nove se necessario: i leader, memori delle lungaggini delle ratifiche del Trattato di Lisbona, hanno deciso che l’accordo intergovernativo per creare un’unione di bilancio, entrerà in vigore non appena sarà firmato da nove Stati. È la via della cooperazione rafforzata, quella su cui stanno spingendo Francia e Germania, che si allontana dallo spirito comunitario ricordato spesso dal premier Mario Monti, e a cui sono contrari anche i rappresentanti di Commissione e Consiglio, Van Rompuy e Josè Barroso.

Ma il direttorio franco-tedesco non conosce ripensamenti, soprattutto dopo le accuse di non aver saputo risolvere finora la crisi e di essersi comunque mosso in ritardo. Inoltre, le prospettive economiche descrivono un’Europa (o almeno buona parte) in recessione per il 2012, la situazione sui mercati è sempre critica, Sarkozy si avvia ad elezioni in primavera e la Merkel deve fare i conti con una coalizione che la spinge verso il massimo del rigore e il minimo della solidarietà. Risultato: Parigi e Berlino non possono permettersi deviazioni dalla ricetta di rigore e disciplina che intendono somministrare, anche con la forza, all’Eurozona e possibilmente all’Europa intera, per tirarla fuori dalla crisi dei debiti.

Se il rigore serva davvero a risolvere la situazione, è poi tutto da dimostrare. Ad esempio, dopo la manovra ‘salva-Italià, a base di tasse e tagli per far scendere in fretta l’enorme debito, in base alla ricetta Sarkò-Merkel, l’Italia dovrebbe essere in grado di agganciare quel circolo virtuoso che riporta i mercati a fidarsi di un Paese pur con debito superiore al 60%. E invece i mercati sono sempre in ansia, e lo spread (il differenziale tra i bund tedeschi e i corrispettivi italiani), è sempre sopra quota 500. Con il downgrade di alcuni Paesi dell’Eurozona atteso per gennaio, e il crollo del pil che attende l’Europa al varco del 2012, i prossimi mesi saranno decisivi per gettare cemento sulle fondamenta, dando un segnale inequivocabile della solidità dell’Europa: «Se l’euro esplode, l’Europa non esisterà più», aveva detto Sarkozy qualche settimana fa. La responsabilità è quindi nelle mani dei 27.

 

Redazione. C’è poco da aggiungere. Parlare di Europa e democrazia come se fossero ancora un binomio indissolubile, o almeno compatibili, ci sembra ormai una professione di cecità. Non innocente.

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