Una testimonianza dal vivo ci arriva da questo articolo, per molti versi davvero interessante. E’ infatti una cronaca “da dentro” l’assemblea con cui i leghisti varesini (ovviamente “maroniani”) hanno preparato la manifestazione di ieri.
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La fine conflittuale di una stagione irripetibile
Claudio Mezzanzanica
Cronache di una serata con i giovani leghisti di Varese che dicono basta col padre padrone
La Lega di Umberto Bossi è finita mercoledi sera nella sua Varese. C’era della malinconia nelle parole con cui l’anziano leader leghista ha chiuso la manifestazione. Anche lui sa che è finita la sua stagione. Certo durante la serata i cori – «Umberto, Umberto» – sono partiti ripetutamente, sin dal momento in cui è salito sul palco un po’ a sorpresa. Tiepidi all’inizio, più convinti man mano che la serata procedeva. Tutti gli intervenuti: dal sindaco di Varese al presidente della provincia gli hanno fatto il dovuto omaggio. Più di tutti glielo ha fatto Maroni riconoscendogli il merito di aver regalato un sogno ad una parte del “popolo del nord”; quello della Padania.
Senza di lui, ha sottolineato l’ex ministro degli Interni, la Lega non sarebbe esistita e neppure sarebbe arrivata al governo.
Senza l’Umberto da Cassano Magnago non ci sarebbe stata una serata come quella che stavano vivendo, le altre mille serate in cui quella gente si è ritrovata stretta attorno ad un capo e ad una aspettativa: la liberazione dallo stato centrale. Trent’anni di percorso in comune, ha sottolieato Maroni, è ciò che unisce lui a Bossi e quella gente che mercoledì sera era lì in sala.
Bossi resta il “primus” coma ha ricordato Dario Galli, presidente della Provincia. «Dietro gli altri sono tutti uguali. Comanderà chi vincerà il congresso». Una frase lapidaria buttata lì a inizio serata ma che rivelava quali erano le aspettative dei militanti, poco più di un migliaio, accorsi a sentire Maroni.
E perché Bossi avesse un messaggio forte e chiaro questi mille hanno urlato, tutti insieme e con tutta la voce che avevano in corpo «congresso, congresso» a chiusura della manifestazione. L’Umberto, intervenendo, aveva detto che la decisione spettava al comitato federale che si riunirà lunedi prossimo. I militanti venuti da Varese, Milano, Bergamo, Brescia mercoledì sera non hanno accettato la dilazione. Loro il congresso lo vogliono e vogliono che, per l’ultima volta, sia il Bossi a rassicurarli con la sua parola. Lo aspetteranno domenica a Milano dove «congresso, congresso» risuonerà sicuramente di nuovo sulla piazza.
Se lo aspettano i giovani della sezione di Varese che hanno organizzato la serata e che senza alcuna remora parlano di necessità di democrazia dentro la Lega. Basta con il padre padrone, basta con i gruppi di potere che manipolano gli organismi, ti dicono. Se lo aspettano i vecchi militanti che vogliono la testa dei «traditori», di quelli che non vogliono che un leghista come Maroni non parli nelle sezioni. Se lo aspettano quelli che hanno disdetto il contratto d’affitto della sede dopo che hanno scoperto che qualcuno aveva investito i loro soldi in Tanzania. Non sarà un congresso pacifico quello della Lega. Basti pensare che martedì sera il commissario della sezione di Luino era finito all’ospedale per una caduta dovuta ad uno spintone rimediato durante una discussione in sezione.
Poche, ma chiare, le idee di Maroni su dove portare la Lega. Fuori da ogni alleanza, anzitutto. La Lega nel futuro prossimo dovrà correre da sola. Dovrà riprendere un lavoro di insediamento nella Padania, lavoro interrotto a cui dovranno essere dedicate tutte le risorse del partito.
L’obbiettivo? Diventare il primo partito del nord del paese ed esercitare una egemonia, sì proprio una egemonia che porti alla realizzazione non più di un’Italia ma di una Europa federale e delle macro regioni. Nella crisi, Maroni vede una opportunità: il debito degli stati nazionali è la loro condanna al superamento degli attuali assetti istituzionali.
È l’aggiornamento del sogno di Bossi, è l’invito ad una lunga marcia verso la terra promessa ma è anche la via d’uscita rapida dall’abbraccio del berlusconismo. Maroni e i militanti presenti al teatro Apollonio mercoledì sera sanno anzitutto che quell’abbraccio si stava rivelando mortale.
Non a caso alcuni di loro hanno lasciato la sala al grido di «Berlusconi fuori dai coglioni». Mare aperto e da soli verso l’Europa federale. Con qualche dubbio che sperano venga risolto domenica. Perché lì si vedrà, come dicono due di loro, se Bossi ha recepito il messaggio. E se, aggiunge qualcuno senza malizia ma con molta amarezza, la Manuela non si mette di mezzo.
Perché la Lega come affare di famiglia può ancora battere qualche colpo.
Poi i maroniani tutti a festeggiare.Nulla in politica eccita maggiormente delle vicende fratricide, niente è più andrenalico di una resa dei conti interna. E poi adesso, con Maroni invitato da quattrocento sezioni, una speranza per ripartire c’è.
da “il Manifesto ”
Sabato 21 Gennaio 2012 13:42
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