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Mr. Monti, fraü Merkel e lo spettro di Brüning

Mr. Monti, fraü Merkel e lo spettro di Brüning
Joseph Halevi

Il Financial Times del 27 gennaio dedica un lungo articolo a Mario Monti, firmato da Phillip Stephens, secondo cui il futuro dell’Europa poggia sulle spalle del premier italiano. Il testo ricorda che, fino all’ascesa di Berlusconi al governo, l’Italia aveva avuto un ruolo cruciale nelle decisioni europee (la verità è più complessa: la netta emarginazione del paese iniziò con l’entrata in crisi del Sistema Monetario Europeo, nel 1991-92-93, che si sommava all’unilateralità di Bonn nel gestire lo sgretolamento della Germania est, mandando in tilt Mitterrand).
La rievocazione non è fine a se stessa.
Stephens sostiene infatti che con Monti l’Italia riacquista un ruolo centrale, perché ne dipende la sopravvivenza dell’euro. Secondo il Financial Times , Monti ha due carte in mano: una maggioranza parlamentare allo sbando che non vuole le elezioni – per cui avrebbe un anno di tempo per mostrare che la politica di austerità può avere dei risultati positivi – nonchè la capacità di dire con autorevolezza le cose come stanno ad Angela Merkel. Per la Francia, sottolinea Stephens, è vitale che Monti riesca nel suo scopo, altrimenti la fine dell’euro significherebbe la retrocessione di Parigi in serie B (alto deficit pubblico, alto deficit estero e un debito pubblico vicino al’85% del pil, ndr ). Il banco di prova del governo italiano non starebbe però nelle misure di austerità, sebbene l’avversione alle politiche di rigore fiscale stia aumentando nel paese, bensì nelle liberalizzazioni che si scontreranno con l’intricata rete corporativa dell’Italia. È qui che Monti rischia di affondare, dice il Financial Times . Stephens ha certamente ragione circa il ruolo di Monti in relazione alla Merkel. Se, come riportato dal Wall Street Journal , la Cancelliera ha avuto un ruolo importante nella caduta del governo Pdl-Lega, l’incontro concreto con Monti ha spiazzato sia Merkel che Sarkozy. Questo perché Monti ha detto un’assoluta verità, che suona così: «Se l’Europa non mi aiuta, adoperandosi per saggi di interesse più bassi sui titoli italiani, per sostegni finanziari non concessi ad hoc e con reticenza (problema per ora allontanato dalla politica di erogazione illimitata di liquidità da parte di Draghi), la mia politica fallirà e l’elettorato italiano si sposterà verso forze populiste antieuropee». Diagnosi giustissima, che però invalida seriamente la definizione di «salva-Italia» data al suo decreto. Oggi questa diagnosi viene comprovata dalla natura sociale corporativa dei movimenti di protesta di categorie-chiave. La Merkel, di fronte alla nuda verità spiattellatale da Monti, ha subìto una caduta di credibilità, accentuatasi ulteriormente dopo il discorso a Davos. Comunque, ha risposto negativamente al coinvolgimento dell’Europa richiesto da Monti, mostrando di non voler capire il quadro europeo. Quindi nel sacco del premier italiano rimangono soltanto le pive: cioè gli effetti profondamente negativi, perché recessivi, della sua politica fiscale. Per ora è Draghi a salvarlo, ma non può essere una soluzione permanente. Avendo già detto «da solo non ce la faccio», ed essendo sostanzialmente in linea con la valutazione di Standard&Poor’s (che si concentra proprio sull’impatto negativo del rigore fiscale), Monti si trova ad essere, suo malgrado, un novello Heinrich Brüning. Il penultimo Cancelliere della Repubblica di Weimar era ritenuto un grande esperto di finanza. Si reggeva anche lui su una coalizione sbandata, basata sul partito di centro e sull’esitante appoggio dei socialdemocratici. In piena Grande Depressione, Brüning perseguiva con determinazione, tramite decreti legge, una politica di tagli di bilancio e degli stipendi pubblici per «salvare» la Germania dal debito estero connesso al pagamento delle riparazioni di guerra decise a Versailles. Più perseverava nella sua politica di rigore fiscale, più si aggravava lo stato dell’economia e si sfaldavano le forze che lo appoggiavano. In particolare, fu la sua politica a causare un massicio spostamento dei ceti medi e bassi verso l’estremismo populista ed antisemita di allora: il nazionalsocialismo. Crollò nel 1932, dopo due anni di governo. Mutatis mutandis, de te fabula narratur , Mr Monti?

Mr. Monti, fraü Merkel e lo spettro di Brüning

ARTICOLO – Joseph Halevi

Il Financial Times del 27 gennaio dedica un lungo articolo a Mario Monti, firmato da Phillip Stephens, secondo cui il futuro dell’Europa poggia sulle spalle del premier italiano. Il testo ricorda che, fino all’ascesa di Berlusconi al governo, l’Italia aveva avuto un ruolo cruciale nelle decisioni europee (la verità è più complessa: la netta emarginazione del paese iniziò con l’entrata in crisi del Sistema Monetario Europeo, nel 1991-92-93, che si sommava all’unilateralità di Bonn nel gestire lo sgretolamento della Germania est, mandando in tilt Mitterrand).
La rievocazione non è fine a se stessa.
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Stephens sostiene infatti che con Monti l’Italia riacquista un ruolo centrale, perché ne dipende la sopravvivenza dell’euro. Secondo il Financial Times , Monti ha due carte in mano: una maggioranza parlamentare allo sbando che non vuole le elezioni – per cui avrebbe un anno di tempo per mostrare che la politica di austerità può avere dei risultati positivi – nonchè la capacità di dire con autorevolezza le cose come stanno ad Angela Merkel. Per la Francia, sottolinea Stephens, è vitale che Monti riesca nel suo scopo, altrimenti la fine dell’euro significherebbe la retrocessione di Parigi in serie B (alto deficit pubblico, alto deficit estero e un debito pubblico vicino al’85% del pil, ndr ). Il banco di prova del governo italiano non starebbe però nelle misure di austerità, sebbene l’avversione alle politiche di rigore fiscale stia aumentando nel paese, bensì nelle liberalizzazioni che si scontreranno con l’intricata rete corporativa dell’Italia. È qui che Monti rischia di affondare, dice il Financial Times . Stephens ha certamente ragione circa il ruolo di Monti in relazione alla Merkel. Se, come riportato dal Wall Street Journal , la Cancelliera ha avuto un ruolo importante nella caduta del governo Pdl-Lega, l’incontro concreto con Monti ha spiazzato sia Merkel che Sarkozy. Questo perché Monti ha detto un’assoluta verità, che suona così: «Se l’Europa non mi aiuta, adoperandosi per saggi di interesse più bassi sui titoli italiani, per sostegni finanziari non concessi ad hoc e con reticenza (problema per ora allontanato dalla politica di erogazione illimitata di liquidità da parte di Draghi), la mia politica fallirà e l’elettorato italiano si sposterà verso forze populiste antieuropee». Diagnosi giustissima, che però invalida seriamente la definizione di «salva-Italia» data al suo decreto. Oggi questa diagnosi viene comprovata dalla natura sociale corporativa dei movimenti di protesta di categorie-chiave. La Merkel, di fronte alla nuda verità spiattellatale da Monti, ha subìto una caduta di credibilità, accentuatasi ulteriormente dopo il discorso a Davos. Comunque, ha risposto negativamente al coinvolgimento dell’Europa richiesto da Monti, mostrando di non voler capire il quadro europeo. Quindi nel sacco del premier italiano rimangono soltanto le pive: cioè gli effetti profondamente negativi, perché recessivi, della sua politica fiscale. Per ora è Draghi a salvarlo, ma non può essere una soluzione permanente. Avendo già detto «da solo non ce la faccio», ed essendo sostanzialmente in linea con la valutazione di Standard&Poor’s (che si concentra proprio sull’impatto negativo del rigore fiscale), Monti si trova ad essere, suo malgrado, un novello Heinrich Brüning. Il penultimo Cancelliere della Repubblica di Weimar era ritenuto un grande esperto di finanza. Si reggeva anche lui su una coalizione sbandata, basata sul partito di centro e sull’esitante appoggio dei socialdemocratici. In piena Grande Depressione, Brüning perseguiva con determinazione, tramite decreti legge, una politica di tagli di bilancio e degli stipendi pubblici per «salvare» la Germania dal debito estero connesso al pagamento delle riparazioni di guerra decise a Versailles. Più perseverava nella sua politica di rigore fiscale, più si aggravava lo stato dell’economia e si sfaldavano le forze che lo appoggiavano. In particolare, fu la sua politica a causare un massicio spostamento dei ceti medi e bassi verso l’estremismo populista ed antisemita di allora: il nazionalsocialismo. Crollò nel 1932, dopo due anni di governo. Mutatis mutandis, de te fabula narratur , Mr Monti?

da “il manifesto”

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