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La Santa Alleanza del pareggio in bilancio

Che Monti, nel giorno in cui si è firmato l’obbligo di inserire il “pareggio di bilancio” nelle Costituzioni nazionali, provi a raccontare che “si è parlato di crescita” è una barzelletta degna di Berlusconi. Ma non strappa neanche un mezzo accenno di sorriso.
Il preciso Galapagos non si fa certo sfuggire i dettagli.
Dalla Santa Alleanza la dittatura di bilancio
Galapagos 
 
 
Da Bruxelles Mario Monti ha mandato a dire che la lettera sulla crescita di 12 paesi dell’Unione europea della quale è stato tra i primi promotori, «ha ispirato gran parte della discussione» che si è svolta al ieri per l’approvazione del Fiscal compact, il Patto di bilancio che lega 25 dei 27 paesi della Ue. Monti ha anche aggiunto: «Per la prima volta da due anni in qua il consiglio europeo non è stato dominato da crisi finanziaria ma finalmente dedicato a crescita ed occupazione». Può darsi che della crescita – o meglio, della crisi incombente – si sia parlato, ma l’ordine del giorno era un altro: approvare norme più stringenti sui bilanci pubblici – e l’Odg è stato rispettato rigorosamente. Per entrare in vigore dovrà essere ratificato dai parlamenti di almeno 12 stati. Su questo, per fortuna, c’è qualche dubbio. CONTINUA|PAGINA6 C’è chi dice che il Patto era un passo necessario per armonizzare le politiche economiche degli stati, bilanciando oltretutto l’unico potere esistente: quello della Bce e della sua politica monetaria. Forse, ma l’impostazione complessiva è quella di un liberismo spinto che, paradossalmente, è molto più penalizzante – per gli stati – della politica che sta seguendo la Bce sotto la guida di Draghi. O forse, è complementare: la Bce sta operando – con efficacia – per mettere al riparo la finanza e le banche dai casini che loro stessi hanno provocato; il patto di bilancio completerà l’opera forzando le politiche di bilancio con una serie di «riforme» che deregolamenteranno ulteriormente i mercati. A cominciare da quello del lavoro. Il tutto in base al principio che solo la libertà economica può far ripartire le economie nazionali e quelle del complesso Ue.
Quando tutto questo avverrà, nessuno è in grado di dirlo. E la colpa, se la ripresa non decollerà, sarà è addossata alla mancanza di riforme strutturali. In Spagna il governo conservatore ha varato una riforma terrificante del lavoro, ma ieri è stato costretto ad ammettere che non è in grado di rispettare gli impegni presi con la Ue per contenere l’esplosione di debito e deficit pubblico. C’è poi un paese – l’Olanda- che per decenni è stato un esempio di mercato del lavoro tanto fluido, modello Marchionne che ora si è «incartato»: non cresce più. Anzi il Pil va all’indietro (-0,9%) peggio che in Italia. E ora rischia di perdere la tripla A, il rating dei paesi primi della classe.
Che dire poi di Grecia e Portogallo? Gli ellenici sono impantanati in una crisi che andrà avanti almeno fino al 2014 e i lusitani non stanno meglio. Sono due paesi nei quali la produttività è bassa e la competitività inesistente. In queste condizione l’euro è una camicia di forza che viene stretta ancora di più con l’imposizione di politiche di bilancio restrittive. Forse sarà una fase congiunturale breve, ma perfino la Germania trema con il Pil che scende e con le esportazione frenate dalle altrui crisi. E la Merkel sostiene che la crisi non è affatto alle spalle, come sostiene Monti. Insomma, tutto va male, e la situazione sarebbe ottimale per rilanciare politiche per lo sviluppo e la crescita. Parlarne, come sostiene Monti, non basta. Soprattutto se si tratta di chiacchiere fatte quando si approva il pareggio di bilanco da inserire nelle costituzioni. Al Consiglio d’Europa di Bruxelles, come al Congresso di Vienna non è stato ristabilito nessun «ordine legittimo», ma è stata confermata una dittatura contro i popoli.

da “il manifesto”
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Antonio Ferraro

I 25 LEADER EUROPEI HANNO FIRMATO IL FISCAL COMPACT. ECCO DI COSA SI TRATTA

I 25 leader Ue (non ci sono Gran Bretagna e Repubblica Ceca) hanno firmato il ‘fiscal compact’ o ‘patto di bilancio’, e il presidente Ue Herman Van Rompuy si è detto “molto fiducioso” che gli Stati lo ratificheranno. “Ora avete il compito di convincere i vostri Parlamenti”, ha detto Van Rompuy.

Per l’Italia ha firmato il premier Mario Monti. Al termine della cerimonia, hanno preso avvio i lavori del secondo giorno del vertice Ue.
Con il “Fiscal compact” viene introdotta su forte pressione tedesca una maggiore disciplina di bilancio, con l’introduzione della ‘regola d’oro’ e sanzioni per quei Paesi che non rispettano i sistemi di riduzione del deficit.


Fiscal Compact. Dal pareggio di bilancio in Costituzione al rientro forzato dal debito pubblico.
Il Fiscal Compact è il nuovo “Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria”. L’entrata in vigore del nuovo Trattato è fissata per il primo gennaio del 2013 (articolo 14) se almeno 12 paesi lo ratificano entro il 2012.

Pareggio di bilancio in Costituzione.
Il nuovo Trattato impone ai paesi membri dell’Eurozona misure più ferree per il rientro dal debito e obbliga l’inserimento nelle Costituzioni nazionali e/o in leggi equivalenti del vincolo del pareggio di bilancio, la cosiddetta “regola d’oro”. Ricordiamo che in Italia la Camera si è già espressa con un voto largamente favorevole (oltre i 2/3) su questo inserimento e che è previsto il voto, decisivo, al Senato. Con questa modifica costituzionale i diritti sociali garantiti dalla Carta vengono vincolati alle politiche di rigore della finanza pubblica, ponendo così gli obiettivi fondamentali di uguaglianza e equità sociale in posizioni subalterne rispetto agli obiettivi di contenimento forzato della spesa pubblica. Una modifica così importante alla Costituzione, che determinerebbe conseguenze pesanti sul versante economico e sociale, dovrebbe essere quantomeno sottoposta ad una consultazione popolare.

Ma non è tutto. L’articolo 3 del nuovo Trattato stabilisce che i bilanci degli stati dovranno essere in pareggio o in surplus. Al massimo potranno presentare un deficit strutturale non superiore allo 0,5% del Pil, cioè molto al di sotto del tetto del 3% fissato dagli accordi di Maastricht. Nel testo approvato sono previste alcune eccezioni per eventi straordinari come le crisi economiche. I governi aderenti hanno un anno di tempo a partire dall’entrata in vigore del Trattato per mettere in atto le nuove norme sul pareggio. Sarà la Corte di giustizia Ue a valutare di volta in volta il corretto rispetto delle norme. I paesi che non rispetteranno queste regole subiranno multe pari allo 0,1% del Pil, che sarà versato presso il fondo salva-stati, e se il deficit di un Paese supera il 3%, scatteranno anche sanzioni semiautomatiche. La sanzione pecuniaria scatterà quando il Paese al centro della procedura risulterà recidivo e colpevole di non aver rispettato una prima sentenza di condanna emessa dalla stessa Corte. Il potere di denunciare ai giudici europei un Paese indisciplinato potrà essere esercitato sia dalla Commissione europea che da un altro Paese della zona euro firmatario dell’accordo (per esempio la Germania potrebbe denunciare l’Italia perché non rispettosa degli accordi presi).

Ritmi forzati per rientro dal debito. Il nuovo Trattato interviene anche sul rapporto debito/Pil. Viene confermato il tetto massimo del 60% previsto dal Trattato di Maastricht, ma i paesi con un debito superiore al 60% del Pil devono varare piani di rientro pari a 1/20 l’anno. Con questi ritmi imposti l’Italia dovrebbe ridurre il proprio debito pubblico, che è pari al 120% del Pil, del 60% in 20 anni (120-60=60), cioè una riduzione annua del 3% (60/20=3), pari a circa 40 miliardi di euro l’anno (800/20=40). Questo drastico piano di rientro potrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere attenuato tenendo in considerazioni alcuni “fattori rilevanti” (risparmio privato, spesa pensionistica, attivo patrimoniale, etc.) già previsti dal six-pack, il pacchetto di disposizioni sulla nuova governance economica.

Le nuove regole del Fiscal compact sono collegate al Trattato istitutivo dell’Esm, il fondo salva-Stati permanente, la cui entrata in funzione sarà anticipata a luglio di quest’anno. L’ammontare del fondo rimane un’incognita, perché nonostante le pressioni di molti Paesi di alzarlo a 750 miliardi rimane lo stop della Germania che vuole mantenerlo a 500 miliardi. Al fondo potranno attingere solo quei Paesi dell’eurozona che avranno ratificato il nuovo Patto di bilancio.

Infine, come è stato messo in evidenza da alcuni esperti di diritto legislativo e costituzionale, pare che il 99% delle norme contenute nel testo del Fiscal compact avrebbe potuto essere conseguito anche attraverso la procedura legislativa ordinaria, ovvero attraverso il Parlamento europeo, quello -per intenderci- eletto dal popolo come i parlamenti nazionali. Né vale, a questo proposito, l’argomento dell’urgenza. La voce del Parlamento europeo non è stata ascoltata nemmeno per via “indiretta”, ovvero attraverso il Consiglio europeo o la stessa Commissione. Da qui la necessità, prevista comunque dalla procedura del Fiscal compact, di integrazione nel diritto primario dell’Unione europea entro cinque anni. In questo modo i deputati europei si troveranno davanti al “dato di fatto”. Lo schema utilizzato è riassumibile attraverso il modello di un “direttorio” costituito da Bce, Commissione europea e Consiglio europeo, guidato dalla Germania. In più l’azione della “troika”, Fmi-Bce-Unione Europea, assume a sé un potere autoritario sopra ogni parte e la procedura, anche se viene trattato come “caso eccezionale”, utilizzata in Grecia farà testo. E quindi potrà essere utilizzata in altre occasioni, oltre gli stessi limiti del Fiscal compact.

da News Contro La Crisi

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