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Art.18. Divaricazioni a cielo aperto nel Pd

“Non morirò dando il via libera alla monetizzazione del lavoro” si è sfogato oggi il leader Pd, consapevole che sull’art.18 si gioca anche la tenuta del partito – diviso tra chi è orientato a votare no al diktat di Monti e chi non mette in discussione il sostegno al governo. La tensione tra una parte del Pd, più sensibile alle proteste degli elettori di sinistra, e il governo sembra raggiungere livelli di guardia. Per Rosy Bindi “Questo governo può andare avanti se rispetta la dignità di tutte le forze che lo sostengono”. Il no al governo Monti sulla riforma del lavoro è una parola al momento ancora indicibile ma dentro il Pd le aree dei lettiani e dei veltroniani temono che Bersani possa mettersi di traverso se la riforma in Parlamento non verrà modificata e cominciano a pensare ad una rottura del Pd stesso.

Ci sono parti positive quando si parla di riduzione della flessibilità in entrata, tuttavia c’è il punto caldo dell’articolo 18 che non va bene perchè è profondamente sbagliato aumentare la possibilità di licenziamento per motivi economici” commenta oggi il dirigente del Pd (ed ex sindacalista Cgil) Cesare Damiano, il quale aggiunge “Io non so se il Pd rischia di spaccarsi, dico solo che non prendiamo a scatola chiusa quello che decide il governo. Noi lavoreremo per trovare un punto d’incontro comune dentro al partito», conclude Damiano. “Quando Monti in conferenza stampa ha parlato di accordo di tutti, tranne che della Cgil, mi è parso di risentire Sacconi” è il giudizio di Stefano Fassina del Pd in un’intervista a Repubblica “il Pd sarà in prima linea per cercare di modificare la riforma in Parlamento, valuterà autonomamente nel merito e proporremo i nostri emendamenti”.

Se quelle segnalate sopra sono le valutazioni di esponenti del Pd scettici o contrari al diktat del governo Monti sull’art.18, c’è un’altra parte del Pd che suona una musica completamente differente.”Lavoreremo ancora, fino alla fine, per soluzioni più condivise ma il nostro voto favorevole, pur con tanti distinguo, non può essere in discussione” afferma ad esempio il vicesegretario del Pd Enrico Letta in merito alla trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Ed ancora “se il governo presenterà un testo conforme ai principi finora largamente condivisi, il Pd non potrà che sostenerlo” sostiene un altro dirigente del Pd come Beppe Fioroni a Repubblica. L’esponente del Pd giudica positivamente la trattativa sulla riforma del lavoro. Non poteva mancare il commento positivo di uno dei mandanti politici e intellettuali dell’abolizione dell’art.18 “Vivere questo progetto di riforma dell’articolo 18 come una medicina amara e indigesta da ingerire con il naso tappato da parte del Pd a me sembra molto fuori luogo” ha detto il senatore Pietro Ichino questa mattina ai microfoni di Rcf. Secondo il giuslavorista “è necessario combattere prioritariamente una battaglia contro il dualismo del mercato tra protetti e non protetti. Questa battaglia – ha comentato Pietro Ichino – è il cuore di questo progetto del governo Monti che attinge in larga parte a materiale programmatico elaborato in questi anni all’interno del Pd”.

Come andrà a finire? Se qualcuno immagina rotture traumatiche che possano rimettere in gioco questo scenario deve invitare se stesso alla prudenza. I “consigli di Napolitano” stanno aiutando Monti a gestire una soluzione indolore. La ricostruisce con molta efficacia questa mattina il Sole 24 Ore nel commento di Stefano Folli. La scansione politica e temporale potrebbe essere quella che segue:

Si tiene ferma la scadenza prevista per il negoziato, in modo che non si dica che il governo ha menato il can per l’aia. Si presentano le linee di un testo concreto e ambizioso, anche sulla controversa riforma dell’articolo 18. È il testo che costituisce la proposta finale dell’esecutivo alle parti sociali. Con la Cisl di Bonanni che si dichiara d’accordo e la Cigl invece negativa; mentre la Uil è a favore chiedendo correttivi. Si mette l’accento su ciò che ha unito gli interlocutori seduti intorno al tavolo di Palazzo Chigi. E si tende a circoscrivere, pur rispettandolo, il dissenso della Cgil proprio sulle modifiche dell’articolo 18 (nodo peraltro cruciale). Quel che conta, non si chiedono le firme ai sindacati e alle altre parti sociali in calce a ipotetici «patti». Al contrario, si prende atto dei punti d’intesa e di quelli su cui è rimasto il disaccordo, riunendoli in una sorta di «verbale». E sulla base di questo racconto complessivo della trattativa, il governo Monti si prepara a rivolgersi al Parlamento. Chiamerà in causa le forze politiche, offrendo loro il risultato di una complessa mediazione, non del tutto riuscita. Spetterà al Parlamento recepire o no il lavoro del governo e calarlo nella cornice di una legge equilibrata che segnerà una svolta nelle relazioni di lavoro (in serata peraltro girava ancora l’ipotesi più drastica e perentoria di un decreto). Dopo le forze sociali, spetta dunque ai partiti rinunciare a qualcosa e contribuire alla soluzione del rebus. Il sentiero rimane stretto. Ma il risultato di ieri deve molto al passo compiuto lunedì da Giorgio Napolitano, con la richiesta a tutti i soggetti coinvolti nel negoziato di guardare soprattutto agli interessi generali del paese.
Sta di fatto che Monti ha dimostrato di non aver paura di decidere. La concertazione c’è stata, ma – in ossequio alle promesse fatte – non si è rivelata paralizzante. Alla Cgil non è stato concesso di esercitare il potere di veto. E ora il coinvolgimento del Parlamento permette alle forze politiche di intervenire con la loro autonomia per correggere e integrare questo o quel punto del progetto governativo. È questa la via che Bersani intravede per togliersi da una difficoltà che senza dubbio esiste e non è trascurabile per un partito di sinistra”.

Insomma, a maggio ci sono le elezioni amministrative e non si può chiedere al Pd di suicidarsi elettoralmente, è sufficiente che lo faccia politicamente votando a favore del pacchetto sul lavoro in Parlamento, oppure pagando il prezzo dell’unica scissione che appare possibile: quella della destra veltroniana che non vede l’ora di passare armi e bagagli con il “partito della nazione”, quello che sostiene e intende capitalizzare il “lavoro sporco” del governo Monti-Napolitano.

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