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La svolta Fiom: “Anche se il ddl diventa legge non ci fermeremo”

Quella di Bologna era un’assemblea “giovane”, con delegati Fiom e esponenti di molti centri sociali (del Nordest, di Roma, ecc). Tutto abbastanza normale (fare mobilitazione, costituire comitati territoriali per discutere concretamente proposte e idee, ecc). Ma la novità c’è stata ed è seria: esiste una parte del mondo sindacale “ufficiale” che non intende accettare il rovesciamento del diritto del lavoro neppure se questo verrà codificato in legge dello Stato.

I problemi e le contraddizioni sono naturalmente tanti e rilevanti. La Fiom non pensa affatto di separarsi dalla Cgil (insieme alle varie minoranze presenti anche in altre categorie) e porrà la questione dello sciopero generale nel Direttivo nazionale della Confederazione, giovedì prossimo. E sembra onestamente difficile che Camusso possa perdere in quell’occasione la maggioranza, anche se ovviamente ce lo auguriamo in ogni momento. Visto lo Statuto interno della Cgil, recentemente modificato in senso “centralista e autoritario”, si porrebbe un problema “disciplinare che non abbiamo dubbi Camusso utilizzerebbe fino in fondo per addomesticare i “ribelli”.

Anche sul piano della strategia, abbiamo detto più volte, la linea della Fiom presenta delle debolezze. Ma è indubbio che stia interpretando con coerenza un ruolo conflittuale in un momento davvero molto difficile. La sentenza di ieri, del tribunale di Torino (ormai “normalizzato” in senso forcaiolo dal procuratore generale Giancarlo Caselli), che dà conferma l’esclusione della Fiom da 21 stabilimenti piemontesi, dimostra che il regime si sta consolidando. La linea di comando che và dalle imporese multinazionali al governo, alla stampa, ora consolida la sua presa anche sul potere a lungo “variabile indipendente”: la magistratura. E non ci sembra davvero un caso che il protagonista assoluto di questa operazione reazionaria sia il campione dell’ala “poliziesca” di Magistratura Democratica, quella di cieca obbedienza Pd.

Per il movimento No Debito la nuova linea della Fiom è un elemento di forte interesse, al di là delle consolidate differenze e diffidenze. Giorgio Cremaschi, presente all’asemblea,  pensa che si possa cercare di arivare a un incontro con l’obiettivo di definire “un’agenda comune”. La forza dell’avversario – un blocco cementato che fa dalla troika a ciò che resta della politica parlamentare, passando per un governo tecnicamente violento e affamatore – obbliga tutte le compnenti dell’opposizione conflittuale a ragionare concretamente sui passaggi da fare. E sul come farli.

 

 

«Il sì alla legge non ci fermerà»
Francesco Piccioni

INVIATO A BOLOGNA
Davanti a una platea di giovani metalmeccanici e precari, Landini annuncia che la mobilitazione per l’articolo 18 continua. «Non abbiamo paura, non accettiamo di menomare i diritti»
L’opposizione sociale si trova davanti a un passagio storico e ha un problema enorme: contrastare un’offensiva che sta distruggendo le condizioni di vita per la maggior parte della popolazione, ma senza disporre più degli strumenti «generali» all’altezza della sfida: uno o più partiti politici che difendono interessi sociali precisi, corpi intermedi dalle caratteristiche certe, in un quadro legislativo stabile e di garanzia. A Bologna, ieri, la Fiom ha riunito l’assemblea nazionale dei giovani delegati di fabbrica insieme a decine di altre realtà egualmente giovanili, ma che del lavoro vedono una faccia diversa e condizioni fin qui parecchio differenti. Un dialogo in altri tempi difficoltoso e idelogizzato in una artificiosa contrapposizione tra «garantiti» e «non garantiti», tra «stabili» e precari che mai come oggi appare una costruzione ad hoc , abilmente costruita da «quelli che guidano i processi produttivi, e sono sempre gli stessi, mentre tra noi viene incentivata la frammentazione». Oggi non può più avvenire, anche se dal governo – e dai media mainstream ogni giorno piovono frasi di circostanza sulle «difficoltà dei giovani» e i «privilegi degli anziani», da «riequilibrare» togliendo qualcosa a tutti. Non ci crede più nessuno di questi ragazzi che spesso non arrivano alla trentina. Non ci credono gli operai di Pomigliano, e forse poteva essere scontato; ma non ci credono i giornalisti precari che qui prendono parola. Ed è un segno rivelatore. L’analisi e i valori della tuta blu Maurizio Landini sono forzatamente meno distanti, ora, da quelli di un Luca Casarini, dai centri sociali o dei movimenti che stanno attraversando il paese (dall’acqua pubblica ai NoTav). Il «sostanziale smantellamento dell’articolo 18» azzera o quasi la libertà del singolo lavoratore di far valere il suo interesse nella prestazione lavorativa; senza più il baluardo del reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, infatti, si prefigura, dice Ciro in napoletano stretto, «la fine anche della Cgil». La precarietà e l’assenza di diritti stanno diventando insomma condizione comune, la necessità di unire le differenze in un’unico movimento assume evidenza solare. «Unire tutti», scandisce Landini. Davanti c’è un governo che – al pari ma con piu efficacia di Berlusconi – «sta usando la crisi per cancellare definitivamente un modello sociale e il sistema dei diritti». Un governo coerente con «un’idea di Europa che non ci piace». Contro cui bisogna opporre un’altra idea di uscita dalla crisi, quel «nuovo modello di sviluppo» molte volte dettagliato e centrato sulle persone, non sul potere assoluto dell’impresa. «Che fare?»: in una situazione del genere, è domanda antica. E la discussione sceglie di rovesciare la logica: ci accusano di essere «conservatori» sul piano dei diritti e indifferenti al «mercato duale» del lavoro? Bene, la questione centrale del movimento da far nascere sarà l’universalizzazione dei diritti, l’estensione dell’articolo 18 a chi non l’ha mai avuto (le imprese sotto i 15 dipendenti), l’estensione degli ammortizzatori sociali attuali (che non sono pagati dallo stato, ma cofinanziati da lavoratori e imprese; ma non in tutti i settori produttivi), fino a quel «reddito di cittadinanza» che solo l’Italia, tra i paesi europei, non ha mai assunto in nessuna forma. Nel tirare le conclusioni – «non un ordine del giorno, solo un riassunto da portare nelle discussioni in tutti i territori» – Landini promette di portare al prossimo direttivo nazionale della Cgil la richiesta di un vero «sciopero generale, di tutte le categorie», di quelli in grado di fermare sul serio un paese ed evidenziare l’opposizione radicale a una politica. Ma in ogni caso, «se anche il Parlamento facesse diventare legge il provvedimento sulla riforma del mercato del lavoro, noi non accetteremo mai una menomazione dei diritti fondamentali». Per esser chiari, «noi non ci fermeremo», dice il segretario della Fiom, perché «noi non abbiamo paura»: di «cambiare rispetto al passato, di contaminare culture e soggetti sociali, di sconfiggere questo governo». Perché è vero che molto è cambiato, infatti «è finita la possibilità della riduzione del danno», di fare quelle scelte normalmente definite «il meno peggio». È il passaggio più duro, ma «se riescono a fare questa legge, persone e sindacati non avranno più gli stessi diritti, né forza e possibilità di cambiare le relazioni sociali». In quest’assemblea – ormai a metà strada tra il normale fare sindacato e la politica a tutto tondo «siamo portatori di un’altra idea di società», dove «la democrazia non è guardare la tv e poi votare qualcuno, ma partecipazione in prima persona». E la scadenza di mobilitazione più vicina – la prima, non certo quella conclusiva – è il 20 maggio. È la data in cui, nel 1970, lo Statuto dei lavoratori divenne legge. «Facciamo di quella scadenza la giornata dei diritti del lavoro», perché qui c’è la certezza che «la maggioranza assoluta del paese non è affatto d’accordo con quel che il governo sta facendo». Checché ne dicano le televisioni e i sondaggi.


da “il manifesto”
Bocciati i ricorsi Fiom
Il Tribunale di Torino ha respinto 21 ricorsi contro 15 società di Fiat Group e Fiat Industrial presentati dalla Fiom che, impugnando l’art.19 dello Statuto dei lavoratori, rivendicava il diritto alla nomina di rappresentanze sindacali anche senza aver firmato il contratto aziendale del 13 dicembre scorso, denunciando il Lingotto per attività antisindacale. I giudici prendono atto del fatto che «numerosi lavoratori delle aziende del gruppo Fiat e Fiat Industrial iscritti alla Fiom, che vanta senz’ombra di smentita una lunga tradizione di rappresentatività nel settore, si trovino senza un’adeguata forma di rappresentanza di prossimità nel luogo di lavoro e, pertanto, senza un meccanismo che permetta loro di partecipare attivamente ad una compiuta democrazia sindacale». Ma, sostiene la sentenza, l’articolo 19 «riconosce il diritto a costituire Rsa ai sindacati che siano firmatari di contratti collettivi applicati alle unità produttive» quindi «quello che chiede la Fiom non è interpretare l’art.19, ma di riscriverlo», e questo «non è consentito al giudice».

E infine una buona notizia: giovani giornalisti finalmente consapevoli del proprio ruolo nel mondo, e non solo “ansiosi” di vestire i panni di una delle tante “caste” di alto rango.

 
Lavorare sotto ricatto, per pochi euro
Fr. Pi.

C’è voluto tempo perché il mondo dei giornalisti precari trovasse la forza di strutturare un coordinamento – Errori di stampa capace di monitorare la loro stessa situazione. Ma ce l’ha fatta e ora è in grado di esibire la sua partecipazione al movimento di lotta che si va costruendo con una chiarezza superiore. Utile alla propria condizione, certamente, ma anche al movimento generale, visto che chiarisce alcuni meccanismi fondamentali nella costruzione dell’informazione. Niente nomi, ma volti giovani e finalmente non più soli.
Quanti sono e quanto guadagnano i precari dell’informazione?
Nessuno ce lo sapeva dire, nonostante avessimo sentito numerosi comitati di redazione. Così abbiamo costruito un dossier facendo tutto da soli. C’è voluto un anno. Abbiamo censito almeno 2.000 colleghi precari soltanto a Roma, ma il numero è certamente sotto stimato, perché mancano gli uffici stampa e il mondo dell’on line, che si regge quasi tutto sul precariato. In media ci vengono pagati 25 euro lordi a pezzo, senza rimborsi per spostamenti o telefonate per verificare le fonti. Ma ci sono anche casi in cui vengono pagati solo 5 euro, se vengono pagati…
Un fenomeno che riguarda solo i piccoli giornali?
No, anche i grandi. E di qualsiasi collocazione politica, dalla destra al centrosinistra. Dal Giornale a Repubblica , per capirci. Ma anche in una grande azienda pubblica come la Rai la precarietà è molto diffusa; ci sono un sacco di persone che svolgono un lavoro prettamente giornalistico senza avere un contratto corrispondente. Per non dire della clausola che vincola le donne a non avere gravidanze finché dura il contratto a tempo. Il direttore generale, Lorenza Lei, in un primo momento aveva negato che questa clausola esistesse. Poi ha promesso di cancellarla. Vedremo i fatti, non ci fidiamo delle sole parole.
Dal mondo politico è arrivato qualche segnale?
Abbiamo denunciato questa situazione; qualcosa si sta muovendo per arrivare a una legge che definisca il concetto di “giusto compenso”, una sorta di salario minimo…
È curioso che gli operatori dell’informazione non riescano a far conoscere la propria condizione…
Possiamo parlare degli operai, degli studenti, dei disoccupati, ma parlare di noi stessi sembra autoreferenziale.
È anche difficile farlo, se si deve andar contro gli interessi dell’editore?
Si vive sotto ricatto; non si può negarlo. Ma sarebbe necessario che al lettore arrivasse l’informazione su come viene fatto il giornale che legge o ascolta.
Quanto pesa il ricatto anche sulla qualità della notizia che state scrivendo?
Molto, naturalmente. Si scrive spesso stando bene attenti a non andare in contraddizione con gli interessi noti dell’editore. Ne viene fuori come minimo un’informazione più povera. Alla lunga, però, questo diventa un limite alla stessa libertà di stampa.

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2 Commenti


  • alessandro capece

    Bisogna sommare tutti i Movimenti, incluso quello nascente degli immigrati, in un Movimento unico, forte e aggressivo, che decide e si muove insieme.
    Nello stesso tempo bisogna far crollare i consumi allo 0.1% almeno per tre mesi, perché questa è l’unica iniziativa che può sostituire la rivolta fiscale senza correre rischi.
    Ma bisogna farlo subito, perché la situazione sta precipitando.


  • andrea

    cari compagni la posizione espressa da Landini è sicuramente importante. Non sto qui a ribadire l’oggettiva difficoltà di questo periodo della storia. Però debbo dire siamo ancora nella fase delle buone intenzioni , non capisco che senso ha andare a proporre lo sciopero generale al direttivo cgil e con quale forza di negoziazio stante i rapporti di forza interni? Se è passata la fase del “limitare i danni” allora credo che è necessario mettere sul piatto anche altro per evere ascolto dal vertice cgil. Secondo me ci sono due vie:
    1) presa di posizione forte, nel senso, di contestare la segretaria fino ad azioni di contrasto vere, ma qui si sconta una debolezza generale del movimento che impedisce ancora questo salto .
    2)) Avviare una discussione aperta alla luce del sole anche con le altre sigle sindacali conflittuali che lasci intravedere un percorso importante anche per chi dentro cgil rimane a in mezzo al guado. Una discussione che non può aspettare, il tempo stringe non solo per il precipitare delle difficoltà economiche, ma perchè può partire un esplosione di rabbia incontrollata che
    può prendere vie lontanedalle nostre aspettativa.

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