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Serve un diversivo, richiamate Berlusconi!

Sulla testa del povero elettore italiano, oltre al ricatto di Moody’ e dei mercati, arriva un’altra tegola: Silvio che rientra in campo, candidato premier alle elezioni di marzo 2013. Sembra quasi studiata per costringere tutti di nuovo nel vecchio schema dell’antiberlusconismo senza più alcun programma, che ha già partorito l’adesione (o la resa) senza condizioni a Monti. Che invece un programma ce l’aveva, eccome.

Diciamo subito che non ci sembra una mossa che scompagina il panorama politico interno, anzi arriva a consolidarlo, tenendo però d’occhio il grumo di interessi “particolari” rappresentati dal centrodestra. In fondo, un Pdl “guidato” dal povero Alfano stava scendendo nei sondaggi verso il 10%, anticamera del “liberi tutti”. La scelta del vecchio trombone sfiatato non ne risolleverà di molto le sorti, ma viene pensata per arrestare la diaspora. Mantenendo una sponda semisolida a sostegno delle società della famiglia di Arcore.

Come dimostra lavecenda Rai, infatti, l’unico intento del centrodestra, l’unico motivo di esistenza in vita, è difendere gli interessi del “capo”. Il resto del programma montiano, per loro, non è un problema. Certo, ci si smarca più spesso e sbraitando più di quanto non faccia il Pd (ma esiste?), per un puro calcolo di sopravvivenza; senza però nemmeno pensare a far cadere il “baluardo anti-spread” rappresentato dai “tecnici”.

La credibilità del Cavaliere in Europa e nel mondo è sotto lo zero assoluto. Un essere del genere potrebbe tornare a palazzo Chigi solo in seguito alla fuga di tutti dal paese. Qualsiasi altra ipotesi è da escludere.

Ma il suo riaffacciarsi ha un’utilità marginale per tutti gli altri complici che sorreggono Monti: permette di spostare l’attenzione dalla macelleria sociale che il governo sta realizzando a tappe forzate, riconcentrandola sull’impasto di corruzione e mutande che ci ha accompagnato da quasi 20 anni.

Lo diciamo subito: è un diversivo per realizzare più facilmente, dopo il voto, un nuovo governo di “emergenza nazionale”. Tanto il programma per i prossimi 20 anni è già scritto nel “fiscal compact” approvato ieri: 45 miliardi di manovra ogni anno, o magari di più se – com’è prevedibile – questa politica recessiva dovesse abbattere il Pil più di quanto non sia già in atto.

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