Un nuovo accordo è stato firmato da Cnr e imprese per “favorire l’innovazione e la crescita”. Quello che emerge in realtà dal comunicato fatto circolare dall’ufficio stampa del Cnr è un nuovo tassello nella privatizzazione del sistema delle ricerca e della formazione in Italia. Come riportato dall’accordo, tra i punti essenziali dell’intesa abbiamo : “lo sviluppo di cluster tecnologici e di attività di ricerca di eccellenza anche per attrarre investimenti, il potenziamento degli strumenti per rafforzare il trasferimento tecnologico; la definizione di modelli efficienti di gestione della proprietà intellettuale”. In queste parole emerge come quello a cui si mira non è tanto lo sviluppo di un settore strategico per il paese, quale potrebbe essere il settore della ricerca e dello sviluppo, ma il rafforzamento delle relazioni tra ricerca pubblica e produttività delle aziende private. Il comunicato prosegue infatti “si sta anche lavorando all’integrazione della Mappa delle Competenze in R&I realizzata da Confindustria con l’analisi delle competenze presenti all’interno del Cnr” e ancora si parla del rafforzamento della mobilità dei ricercatori dal Cnr al sistema delle imprese.
Come è consuetudine da trent’anni a questa parte, quando in questo paese si parla di aumento di investimenti in formazione e ricerca, non si fa in realtà riferimento al miglioramento delle condizioni di studio, apprendimento e lavoro all’interno delle scuole e delle università italiane ma a un vero e proprio travaso di conoscenze, personale e fondi dalle casse dello stato a quelle delle imprese e del capitalismo italiano. Lo abbiamo visto nelle riforme del sistema scolastico e universitario, dove si è passati da un’istruzione pubblica di massa ad una formazione sempre più elitaria e specialistica, sostituendo al libero accesso alle conoscenze un sistema ad ostacoli in cui l’unico risultato compatibile con le esigenze del capitalismo, è la formazione di forza lavoro qualificata secondo le esigenze della produttività.
C’è una forte contraddizione infatti tra la vulgata “sinistra” dell’abbandono del settore della ricerca da parte della politica dell’Italia e le richieste, in questo tema, da parte delle aziende e dei gruppi di potere che determinano le politiche economiche del paese. Anche se la diminuzione dei finanziamenti alla ricerca e alla formazione è una costante di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni, portando l’Italia agli ultimi posti tra i paesi Ocse per i finanziamenti in istruzione e ricerca, non possiamo non tener presente l’attenzione che la Confindustria e le grandi aziende italiane hanno per questo settore nonché, la volontà di controllo sugli organi e sulle istituzioni che si occupano di istruzione, formazione e ricerca. Prendendo in considerazione i dati usciti dal rapporto Cun di Gennaio in realtà possiamo vedere come l’apparato della formazione e della ricerca italiano venga utilizzato come una grande cassa di decantazione non solo per il capitalismo e per le aziende italiane ma anche europee e internazionali. La cosiddetta “fuga di cervelli” italiani verso università, enti e aziende straniere è in realtà una grande mercato a basso costo delle conoscenze e della professionalità.
Come in ogni altro settore pubblico è in corso una grande opera di razionalizzazione delle risorse a vantaggio dei bisogni e degli scopi della competitività capitalistica. Non importa che l’Italia sforni migliaia di ricercatori, l’importante e che quelli che arrivano sul mercato del lavoro dopo aver passato tutti gli ostacoli, siano perfettamente idonei ai bisogni del capitale . Per tutti gli altri rimane l’arruolamento forzato nell’esercito di precari e disoccupati sottoposti ad ogni tipo di ricatto.
È evidente come ci sia un’accelerazione alle politiche di privatizzazione del comparto formazione e ricerca. La parola d’ordine per le aziende e per il capitalismo e trasformare il percorso formativo degli studenti in un contratto di apprendistato qualificato e qualificante prolungato in cui, alle aspirazione e alla volontà degli studenti e dei ricercatori, viene sostituita la necessità di ricondurre tutto al processo di produzione e valorizzazione capitalistico.
A queste politiche che rispondo ad una riorganizzazione in senso europeo del capitalismo italiano e nello specifico ad un adattamento del sistema formativo italiano a quello europeo, non è possibile contrappore una sindacale e sacrosanta affermazione di “diritto allo studio per tutti”.
Di fronte alle scellerate affermazione degli ultimi giorni di governo del ministro Profumo e alla tremenda situazione fotografata dal rapporto Cun non si sta rispondendo in maniera adeguata. Viene ancora tutto concentrato sulla governance delle istituzioni universitarie e della ricerca più che sul ruolo che questa ha per il futuro del paese e dei giovani. Accordi come quello firmato da Confindustria con il Cnr dimostrano la totale sottomissione che le istituzioni universitarie e della ricerca hanno nei confronti della aziende italiane ed estere. Proprio come i baroni di un regno in via di dissoluzione e in totale cambiamento, i dirigenti e i grandi baroni delle università e degli enti di ricerca italiani sottomettono le loro istituzioni al nuovo assetto di produzione capitalistico in cambio dell’ottenimento di qualche posto di privilegio all’interno del nuovo assetto di potere del polo imperialista europeo in via di formazione. Forse è arrivato per i movimenti il momento di fare della lotta per il diritto allo studio un terreno particolare per la controproposta generale. Rompere l’Unione Europea e costruire un rapporto di solidarietà tra i paesi Piigs e del Mediterraneo significa dare all’università e alla ricerca un ruolo di primo piano nell’elaborazione di alternative politiche, sociali ed economiche credibili e praticabili, liberandola dal dominio del capitale e dei capitalisti.
Coordinamento Giovani della Rete dei Comunisti
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