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La verità sull’art. 18: niente più reintegra

La spiegazione tecnica è relativamente semplice. E la lasciamo volentieri ai “tecnici” del quotidiano di Confindustria, che naturalmente segnalano alle imprese le “nuove opportunità”. Valgono anche per i lavoratori, naturalmente.

Riforma dei licenziamenti: la reintegra non è più la sanzione d’obbligo in caso di illegittimità

Giampiero Falasca
La riforma Fornero ha modifica in profondità la disciplina dei licenziamenti individuali (legge 20 maggio 1970, n. 300 e legge 15 luglio 1966, n. 604), introducendo distinti regimi sanzionatori in funzione della natura del licenziamento illegittimo, il quale può essere discriminatorio, disciplinare (intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) o per motivi economici (giustificato motivo oggettivo).

La prima forma di licenziamento è quella di tipo discriminatorio, cioè determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, appartenenza a un sindacato, razziali, di lingua o di sesso eccetera. (sono assimilati i licenziamenti durante il periodo di matrimonio, gravidanza, o detttati da motivi illeciti) Per questi licenziamenti, la legge Fornero non cambia la normativa.

Il giudice, se accerta la discriminazione, dichiara la nullità del licenziamento e ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore; deve inoltre essere riconosciuto un risarcimento del danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra, che non può essere inferiore a cinque mensilità.

Molto più rilevanti sono invece le innovazioni previste per il licenziamento disciplinare, vale a dire il licenziamento intimato per giusta causa in base all’articolo 2119 del Codice civile, ovvero per giustificato motivo soggettivo in base all’articolo 3 della legge 604/1966, a seguito di un procedimento disciplinare. Per questo atto la legge delinea tre diversi blocchi sanzionatori:
– il fatto contestato non esiste oppure rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa: la sanzione consiste nella reintegra sul posto di lavoro, più un’indennità di valore massimo pari a 12 mensilità;
– non ricorrono gli estremi di giusta causa e giustificato motivo soggettivo: la sanzione consiste nel pagamento di un’indennità di valore massimo compreso tra le 12 mensilità e le 24 mensilità, senza la reintegra;
– vizi della procedura di cui all’articolo 7 dello Statuto: la sanzione consiste nel pagamento di un’indennità di valore massimo compreso tra le 6 e le 12 mensilità, senza la reintegra.

La legge Fornero disciplina poi i licenziamenti “per motivi economici“, nozione che fa riferimento ai licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo, vale a dire per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa e, dunque, indipendenti dalla condotta del lavoratore. Per questi licenziamenti, il giudice – se ne accerta l’illegittimità – riconosce al lavoratore il diritto al pagamento di un’indennità di valore massimo compreso tra le 12 mensilità e le 24 mensilità, senza la reintegra.

Tuttavia, se il licenziamento è manifestamente insussistente, oppure è stato intimato per ragioni discriminatorie o disciplinari (e che dunque l’attribuzione del motivo oggettivo è meramente fittizia) si applicano sanzioni più gravi (reintegra e risarcimento, variabile secondo i casi). Da notare che questo tipo di licenziamento deve essere preceduto da una procedura di conciliazione preventiva che si svolge presso la direzione territoriale del Lavoro.

da IlSole24Ore

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