La lunga stagione di sgomberi, iniziata con quelli seriali ai danni delle occupazioni abitative organizzate da As.I.A USB e del centro sociale Bartleby, proseguita con la “pulizia” degli spazi occupati dal collettivo Hobo, poteva già far presagire il malcontento di chi in quei progetti credeva, come elementi costruttivi di un diverso tipo di vita della e nella città.
In generale, appare sempre più chiaro il progetto dell’amministrazione di graduale allontanamento degli elementi di disordine, di espressione del dissenso dal centro cittadino.
I segni, al di là delle sedi dei centri sociali ubicate forzatamente in zone sempre più marginali, si notano anche nel moltiplicarsi negli ultimi anni di forze dell’ordine nelle vie e piazze più frequentate, specie nelle ore serali.
Proprio per questo nelle recenti assemblee di diverse realtà universitarie – studenti e precari – spiccava sempre più frequente la parola d’ordine “riprendiamoci gli spazi”, presto coniugata in “riprendiamoci le piazze”.
Questo è il retroscena che, tuttavia, non spiega completamente quello che è successo giovedì scorso e di nuovo lunedì in via Zamboni, fulcro della zona universitaria. Offre comunque già elementi di comprensione: il dissenso politico non è desiderato nel centro urbano che ricopre un duplice ruolo, di bacino della popolazione di classe medio-alta e di “facciata” esterna della città. Non che sia mai stato il benvenuto, ma in questi anni si tenta di (em)arginarlo, facendo leva sulla presunta volatilità di un movimento di collettivi basato sulla presenza fisica vicino al soggetto di riferimento e ai luoghi simbolici e obiettivi della protesta.
In questo caso tuttavia assistiamo a un elemento di sostanziale novità: la repressione immediata e dissennata. Infatti, è raro vedere una carica così immotivata contro un’assemblea di studenti e lavoratori tutto sommato “innocua”; al di là del gracile pretesto iniziale – per quanto apprendiamo dall’attuale presidente di quartiere Milena Naldi (SEL), che effettivamente l’uso senza permesso dell’amplificazione è elemento sufficiente per scatenare un intervento in tenuta antisommossa… – colpisce il fatto che nel secondo giorno di scontri le forze dell’ordine fossero già in piazza ad aspettare coloro che si accingevano a partecipare l’assemblea. Inizialmente questo clima di tensione fa pensare ad un pericoloso innalzamento della volontà di repressione su qualsiasi iniziativa di piazza, ma vedendo il giorno subito dopo una piazza di nuovo partecipata da studenti ma lasciata completamente deserta da polizia e carabinieri lascia spazio a un dubbio: la situazione può essere sfuggita di mano.
Pare che l’amministrazione comunale vive infatti un momento di difficoltà, dopo la bocciatura del progetto People Mover e anche alla luce del risultato del referendum consultivo sui finanziamenti alle scuole dell’infanzia, osteggiato dalla giunta Merola, oggetto di una selvaggia propaganda da parte dei poteri forti presenti in città che ha messo in luce fratture di classe presenti nel tessuto sociale e infine vinto da chi a questi poteri forti ha ancora qualcosa da controbattere. Referendum sul cui peso hanno gravato anche le recenti dichiarazioni del ministro dell’istruzione Carrozza, che difende a spada tratta l’opzione B per poi dichiarare in maniera parzialmente controversa la priorità dell’investimento nel settore pubblico (parzialmente, perché l’insopportabile politica “della ragionevolezza” messa in campo dal PD si ostina ad elevare, appellandosi alla legge Berlinguer, le scuole paritarie e private alla stregua di servizi pubblici).
In questa situazione instabile pare dunque che le azioni tutto sommato sconsiderate, esagerate, intraprese dalla polizia si siano rivelate una sorta di boomerang, rimettendo al mittente una serie di problematiche non facili da risolvere. In primis un movimento spontaneo che sfugge ad un preciso inquadramento settoriale e identitario: a rispondere all’attacco di giovedì scorso con una bella prova di forza è stato infatti una miscellanea di realtà per lo più giovanili punte sul vivo nel campo della vita nella propria città. Quello a cui abbiamo assistito dunque può essere interpretato come un embrione di movimento per un diritto alla città diametralmente opposto a quello che i poteri forti vogliono, fatto di persone che si sono alzate – non solo in senso metaforico – quando hanno visto rompersi uno status quo già troppo precario, fatto di camionette di polizia, di sguardi truci, di sanzioni. E la cosa paradossale è che a operare il primo strappo, a fare il primo passo, siano stati proprio i “tutori” di quel tipo di città fondata sul silenzioso quieto vivere, con un intervento decisamente senza misura.
Per questo non ci stupiamo delle dichiarazioni dell’immediato “post”, con toni che variano dal “gettiamo acqua sul fuoco” del prorettore Nicoletti all’auspicio di un intervento diretto di Alfano espresso dal segretario del Siulp, fino all’equiparazione dei “facinorosi” di piazza Verdi a mafiosi che combattono lo stato, per bocca di Lisei (PdL).
Se in altri tempi poi avrebbe fatto sorridere la soluzione paventata dallo stesso consigliere comunale del PdL di interventi dell’esercito, fogli di via per i manifestanti, nonché espulsione dall’Ateneo per gli universitari riconosciuti, dopo le vicende repressive degli ultimi tempi a Brescia, Palermo, dove il mese scorso risuonavano colpi d’arma da fuoco durante la manifestazione dei lavoratori Trinacria, Milano con le vicende dell’ex-Cuem e non ultimo l’assalto al fortino di Chiomonte per il quale è stato invocato il tentato omicidio – dalla stesso Alfano – cresce la consapevolezza di come la difesa dell’ordine costituito sia una priorità sempre più stringente. Soprattutto in un momento di legittimazione politica quantomai basso, come appare evidenziato dalla quota astensionista delle recentissime amministrative.
Ciò che occorre fare dunque potrebbe essere organizzare e articolare un progetto di rilancio politico che catalizzi le voci del dissenso legato sempre più a bisogni primari, come quello di poter immaginare e modellare uno spazio urbano a misura anti-crisi, fondato sul riuso, sulla partecipazione, sulla costruzione comunitaria e sulla garanzia di diritti materiali e immateriali, dall’abitare al dialogare, dal lavoro alla cultura, dall’istruzione alla sanità. Pubblica, s’intende.
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