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Pisa: dalle urne un vecchio Sindaco e un nuovo scenario politico/sociale

Astensionismo. Questo è il fenomeno principale sul quale riflettere dopo l’ultima tornata elettorale. Tra le città interessate da questo fenomeno Pisa ha primeggiato, con un’affluenza alle urne del 55,7%, che segna un secco – 24% rispetto alle precedenti elezioni amministrative. In sostanza un pisano su due non ha votato.

Passata la sbronza e i festeggiamenti per la conferma al primo turno del Sindaco uscente, il PD e tutte le liste ad esso apparentate si troveranno a governare una città con una maggioranza che rappresenta meno del 30% del corpo elettorale.

Una “vittoria” costruita intorno a politiche ben precise, che si dovranno misurare con l’incedere di una crisi economica che si approfondisce ogni giorno di più, erodendo il blocco sociale sul quale si poggia un centro “sinistra” trasformatosi progressivamente nel più fedele alleato delle politiche della Troika europea sui nostri territori, come dimostrano le scelte fatte negli ultimi anni,  di progressiva privatizzazione di tutte le funzioni amministrative, svendita del patrimonio pubblico, di grandi opere dispendiose e funzionali all’arricchimento di precisi settori di popolazione a discapito delle maggioranze, di collateralità stretta con i poteri forti locali (palazzinari e costruttori, manager pubblici e privati, logge massoniche, potentati universitari, corporazioni commerciali, gerarchie militari italiane e statunitensi), di militarizzazione della città, di razzismo contro rom e immigrati, di chiusura verso i movimenti e i settori colpiti da crisi e licenziamenti.

In questa situazione, la disaffezione al voto nasconde qualcosa di più e di diverso dall’antipolitica e dalla contestazione anticasta, come dimostrato dal repentino ridimensionamento delle liste del M5S. Il dato dell’astensionismo evidenzia, insieme al rifiuto di tutta la rappresentanza politica attuale, una disperazione sociale che si esprime solo in parte nelle liste di opposizione presentatesi nell’ultima tornata elettorale. Lo scarto enorme tra il risultato del PD e le altre tredici liste in lizza a Pisa rappresenta plasticamente questa condizione.  Unico dato positivo di queste elezioni il risultato della lista “una città in comune”, capace di agglutinare intorno a sé forze politiche, sociali e culturali molto diverse, accomunate da un programma e da obiettivi in buona parte condivisibili. Ci auspichiamo che questa esperienza si metta a disposizione di un percorso di ricomposizione delle lotte presenti sul territorio, inserendo le battaglie indicate nel loro programma nell’alveo più generale delle lotte per la riconquista dei diritti sociali, del lavoro e nel lavoro, verso una società emancipata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura.   

La capacità di “tenuta” del partito di Filippeschi e della sua maggioranza dipenderà quindi da vari fattori, che agiranno indipendentemente dalle capacità della “nuova” Giunta.

Le politiche veicolate dai trattati europei attraverso il pareggio di bilancio in Costituzione, a livello locale si traducono nei micidiali “Patti di stabilità”, che azzerano ogni possibilità di mediazione sociale e impongono il taglio di servizi essenziali (sanità, asili, trasporti, scuole.)

Un meccanismo micidiale, che aumenta a dismisura insicurezza sociale, precarizzazione della vita e del lavoro, licenziamenti in assenza di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione.

Non saranno le opere faraoniche di abbellimento del centro storico, l’Ikea o le mille speculazioni edilizie portate avanti da Filippeschi a dare risposte ai bisogni di chi perde il lavoro e la casa, di chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese con un salario o una pensione da fame, di chi non riesce più a curarsi per mancanza di reddito o di strutture sanitarie adeguate.

Occorreranno risposte totalmente diverse, di radicale cambiamento nella gestione della cosa pubblica, che mettano al centro gli interessi del mondo del lavoro contro la rendita, la speculazione edilizia e finanziaria, le lobby imprenditoriali e manageriali che infestano la nostra città.

Le lotte sviluppatesi in questi ultimi anni sui nostri territori, nella scuola, nell’Università, nelle fabbriche, negli ospedali, nei quartieri, hanno indicato percorsi concreti di cambiamento possibile, qui e subito, contro i licenziamenti e per un lavoro stabile e sicuro, per un’istruzione pubblica e gratuita, per una sanità per tutti e di tutti, per il diritto alla casa.

Occorre mettere in connessione e in sintonia queste lotte e aspirazioni, ricomponendo un fronte ancora debole perché diviso. E’ necessario coniugare alle rivendicazioni e alle vertenze specifiche un progetto complessivo di cambiamento della società, proiettando il conflitto oltre gli angusti ambiti del rifiuto dell’esistente, della difesa di una condizione di lavoro e di vita insopportabili in partenza.

La Rete dei Comunisti è impegnata in questo percorso di lotte e di emancipazione, in forma diretta e attraverso ipotesi politiche più ampie, come il Movimento politico anticapitalista e libertario lanciato lo scorso 11 maggio a Bologna, che già vive in decine di assemblee e riunioni in tutta Italia.

Le elezioni politiche del febbraio, le recenti elezioni amministrative, aprono scenari nuovi, carichi di tante ombre ma di altrettante luci.

Il governo Letta è un elemento di chiarificazione, che fa giustizia di 20 anni di antiberlusconismo di maniera. Le classi dominanti italiane attraversano una crisi di egemonia senza precedenti, alla quale sopperisce il “pilota automatico” della troika europea. Il fenomeno Grillo, a soli tre mesi da un risultato elettorale enorme, mostra tutta la sua debolezza e inconsistenza. L’astensionismo di massa è un segnale di vitalità da parte di un corpo sociale martoriato dalla crisi sistemica del capitalismo e da un ceto politico osceno. 

Un’ipotesi anticapitalista indipendente da questo quadro politico, capace di mettere al centro dell’agenda nazionale e locale i temi del conflitto, della rottura dell’Unione Europea e del socialismo del XXI secolo, ha degli spazi di agibilità politica e sociali potenzialmente enormi.

Occorre mettersi in marcia, costruendo pezzo per pezzo un soggetto politico in grado di dare risposte giuste a un blocco sociale pericolosamente solo in una fase di cambiamenti rivoluzionari.

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