Nei prossimi giorni la Camera dei Deputati discuterà una mozione di 158 parlamentari di Sel, Pd e M5S che chiede la cancellazione della partecipazione italiana al programma dei cacciabombardieri F-35 Joint Strike Fighter.
Spendere 14 miliardi di euro per comprare (e oltre 50 miliardi per l’intera vita del programma) un aereo con funzioni d’attacco, capace di trasportare ordigni nucleari, mentre non si trovano risorse per il lavoro, la scuola, la salute e la giustizia sociale è una scelta incomprensibile che il Governo deve rivedere. In un appello firmato da Ascanio Celestini, Luigi Ciotti, Riccardo Iacona, Chiara Ingrao, Gad Lerner, Savino Pezzotta, Roberto Saviano, Cecilia Strada, Umberto Veronesi, Alex Zanotelli si chiede a tutti i Deputati di sostenere questa mozione e tutte le iniziative parlamentari tese a fermare il programma degli F35 e a ridurre le spese militari a favore del lavoro, dei giovani, del welfare e delle misure contro l’impoverimento dell’Italia e degli italiani.
E’ giallo intanto sulle dichiarazioni di Susanna Camusso, segretaria della Cgil, relative agli F 35. “Dagli F35 potrebbe arrivare una grossa mano all’economia reale come anche dalle missioni internazionali di pace. Si chieda all’Ue di finanziarle e si utilizzino quelle risorse per le esigenze nazionale di ripresa” Secondo l’agenzia Adnkronos queste sarebbero state le parole pronunciate dalla Camusso al congresso della Cisl. Mentre sulla rete e nella cronaca politica impazzava questa notizia in serata è arrivata una smentita dalla Cgil: “Alcune agenzie hanno riportato male il pensiero oggi di Susanna Camusso. Qualche altro sito ha fatto di peggio titolando che saremmo per gli F35. La verità è che – non da oggi – siamo nettamente schierati per il “NO AGLI F35” e crediamo che da meno spese militari, da meno inutili aerei di guerra, possa arrivare una grossa mano in favore dell’economia reale e contro la crisi”. Una smentita importante ma che dovrebbe arrivare dal centro alla periferia della Cgil, nei territori dove alcuni dirigenti locali del sindacato – finanche della Fiom – sostengono invece da tempo la positività dell’investimento sugli F 35 in termini positivi per l’occupazione.
Ma sugli F35 il fronte degli oppositori al loro acquisto (e soprattutto al mito delle ricadute positive per l’economia) aggrega alleati insospettabili come Andrea Gaiani, esperto militare piuttosto vicino agli ambienti Nato. Nell’editoriale di Analisi Difesa del 3 marzo, Gaiani scrive testualmente: “Anche sul ritorno industriale per l’Italia c’è poca trasparenza. Lockheed Martin ha dichiarato che il numero di aziende italiane che hanno già ottenuto contratti di fornitura sono 27 per un ammontare di 459 milioni di dollari mentre il generale Claudio Debertolis, alla testa di Segredifesa, in dicembre riferì in Parlamento di 37 aziende per 600 milioni di euro di contratti firmati, più o meno corrispondenti agli 807 milioni di dollari riferiti a margine della recente visita allo stabilimento di Cameri del sottosegretario alla Difesa Gianluigi Magri. Anche il totale dei ritorni industriali previsti nell’arco dell’intero programma non sono chiari. L’azienda statunitense ha parlato di 8,6 miliardi di dollari (ovviamente se il numero di aerei non scenderà sotto quota 90) più la “promessa” di altri 4 miliardi mentre, sempre nel dicembre scorso, Debertolis annunciava un totale di “15 miliardi di dollari di realistiche opportunità”.
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Paul De Marco
Il Moltiplicatore economico per le spese relative alla difesa sono negative (meno di 1) Questo risulta vero anche in tempo normale e indipendentemente del contesto socio-economico nazionale, regionale e mondiale. Invece i Moltiplicatori per la Sanità e l’Educazione sono di più di 3. Vedi al soggetto la mia Book review del libro THE BODY ECONOMIC: why austerity kills, by David Stuckler and Sanjay Basu, HarperCollins Publishers LTD, 2013. A critical review. (Nella Sezione Book review del sito http://www.la-commune-paraclet.com )
Inoltre, molti paesi occidentali tra i più sottomessi alleati degli Stati Uniti hanno già rinunciato agli F 35 a causa dei difetti tecnologici, più che dei costi purtroppo estravaganti.. Finmeccanica ed altre aziende del settore italiano potrebbero cavarsela con il semplice retrofit degli apparecchi attuali mentre si concentrerebbe poi su produzioni italo-europee con ricadute interne. Ci sarebbe poco da aggiungere, almeno se si assumesse una minima razionalità.
Paul De Marco