Dopo quello tenutosi martedì un altro presidio ha tenuto viva l’attenzione di piazza maggiore a Bologna oggi pomeriggio, cui hanno preso parte la Rete dei Comunisti, Associazione ControCorrente, PCL e il centro sociale Lazzaretto.
Per quanto la situazione turca sia di stringente attualità e mobiliti l’opinione pubblica, essendo la Turchia uno dei paesi chiave del controllo imperialistico del Medio Oriente, pedina importantissima nella scacchiera dei conflitti che attraversano ad oggi l’area, primo fra tutti quello siriano – in territorio turco vengono ospitate e addestrate truppe appartenenti alla fazione dei “ribelli”- e nonostante l’impegno degli organizzatori constatiamo ancora una volta che le questioni internazionali sono scarsamente considerate, ancor meno di quelle “nostrane”. I numeri esigui e la scarsa attenzione da parte dei passanti non ci stupiscono, non costituendo una novità in un panorama in cui la partecipazione politica italiana non è certo ai massimi storici, anzi confermano che se già le lotte in Italia trovano poco appoggio e soprattutto vengono spesso tacciate di criminalità, ignoranza, scarsa consapevolezza e lesione di un presunto bene comune che andrebbe difeso tramite le vie istituzionali, la cosiddetta partecipazione “civilmente democratica”, la questione internazionalista riscuote ancor meno “successo”.
Eppure appare per noi chiaro come un filo indissolubile metta in contatto le rivendicazioni e le contraddizioni fatte emergere con forza dal popolo turco in rivolta con le nostre lotte, le nostre rivendicazioni, come non si possa immaginare una mobilitazione interna se non nel contesto di una più ampia analisi di quei paesi che ci circondano e intorno ai quali tuttavia sembra ergersi un muro fatto di lontananze geografiche, etniche, culturali, religiose, storiche spesso edificato o consolidato nell’informazione di massa, nei luoghi d’informazione e di formazione, nel razzismo che serpeggia, ora più visibile ora più subdolo, nella nostra società, nelle nuove generazioni che sembrano restie ad imparare a convivere con le molteplicità etniche, ad accettare una cultura meticcia e del resto non vengono affatto stimolate in tal senso.
Inoltre, volgere lo sguardo a piazza Taksim e alle altre piazze turche in rivolta ha per noi un’importanza fondamentale nell’ottica di uno sviluppo alternativo al capitalismo dell’Unione Europea basato sulla cooperazione dei paesi mediterranei. La rivolta infatti mette in discussione un modello di gestione dello stato che sempre più viene preso ad esempio negli stati circostanti, soprattutto per quello che riguarda le formazioni politiche islamiche che hanno visto in Erdogan un faro da seguire per approdare nei porti del potere politico lasciati incustoditi e contesi dalle vecchie elites scacciate da rivolte cariche di speranza e progressismo, che tuttavia hanno aperto scenari assai instabili. Scenari che non si può permettere di trascurare chiunque concepisca che la sorte dei popoli del mediterraneo è legata alla comprensione e allo studio reciproco, alla riscoperta di un’unità di intenti che può condurre a un rinnovamento, a uno strappo nel sistema vigente, che regola e modella la vita di milioni e milioni di uomini e donne.
Dunque, il primo passo è già di fronte a noi, osservare, conoscere, capire e far capire allo studente tanto quanto al lavoratore che, oltre a tutte le specificità che non si possono certo negare, la lotta turca appartiene anche a noi.
L’azione nelle piazze e nelle università, dunque, fatta di informazione e azione al tempo stesso, durerà quanto durerà la rivolta, consapevoli, come oggi è stato più volte ripetuto negli interventi in piazza, che “la vittoria o la sconfitta del movimento in Turchia-Nord Kurdistan è una vittoria o una sconfitta per tutti il lavoratori e le lavoratrici anticapitailisti”.
* Coordinamento Giovani Rete dei Comunisti – Bologna
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