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Berlusconi sull’Aventino. O sulla Rupe Tarpea?

Dio confonde coloro che vuol perdere. La vecchia massima si dimostra sempre azzeccata quando qualcuno fa esattamente le cose che ne provocheranno la disgrazia, costruita alla fine con le proprie mani.

 

Abbiamo tutti ascoltato o letto, tra ieri sera e stamattina, dell’orgiastica riunione dei parlamentari berlusconiani insieme al loro “caro leader” (l’ha detto Angelino Alfano, nel corso in una dichiarazione che avrebbe fatto arrossire il nipote di Kim Il Sung), al termine della quale tutti loro hanno “rassegnato le dimissioni in bianco” nelle mani dei capigruppo di Camera e Senato.

 

Difficile non cogliere le conseguenze politico-parlamentari. Se il 4 ottobre – venerdì prossimo – la Giunta per le elezioni voterà perché il Cavaliere venga spogliato del laticlavio, quelle dimissioni potrebbero in teoria diventare effettive, lasciando vuoto un terzo del Parlamento. Un “Aventino della destra”, è stato detto, ricordando quello dei “riformisti” all’indomani dell’omicidio Matteotti ad opera dei fascisti. Precedente pericoloso per lo stesso Berlusconi, che invece pensa di atteggiarsi a Mussolini, perché quella “secessione” parlamentare segnò l’inizio vero e proprio del regime fascista, con lo scioglimento di associazioni e partiti d’opposizione.

 

Il regime della Troika (Bce, Fmi, Ue) non farà altrettanto, sciogliendo il Pdl ( la rinascente Forza Italia). Per il buon motivo che ha bisogno di parte del consenso “moderato”. Ma dovrà far dimagrire il suo blocco sociale a botte di tagli alla spesa obbligati dal Fiscal Compact e soprattutto togliere di mezzo quel “Mule” (riprendete la Trilogia della Fondazione di Asimov) che da Arcore ha terremotato l’Italia, impedendole di accedere alle normali regole di vita “liberali e liberiste” in vigore nel resto della Ue. Berlsconi deve sparire, lo vuole l’Europa. E anche gli italiani, ormai.

 

Per questo, il gesto estremo delle dimissioni di massa – già all’uscita da Palazzo Grazioli – è stato derubricato a “gesto simbolico” o “d’affetto personale” da parte di chi lo aveva appena compiuto. L’impagabile Maurizio Gasparri – lo “speedy gonzales” degli anni ’70 a Roma – è riuscito a spiegare senza ridere che la questione riguardava i parlamentari, non i ministri pidiellini. Come se un governo potesse andare avanti senza una maggioranza parlamentare e con ministri che non rappresentano e rigore più nessuno (a forza di frequentare a Palazzo Grazioli uno tende a confondere le regole della corte di Silvio con quelle istituzionali, sembra evidente). E quindi è forte l’impressione che le dimissioni, se ci saranno mai, riguarderanno semmai qualche “pitoncino” o “pitonessa”. Anche se è molto più probabile che sia solo la forma estrema di “pressione sul Quirinale” venuta in testa a un Berlusconi sempre meno lucido.

 

Giorgio Napolitano molto ha detto e fatto per tenere in gioco il padrone di Mediaset, ma neppure la sua inventiva istituzionale può trovare un meccanismo “costituzionale” per cancellare gli effetti di una condanna definitiva, e soprattutto della sua conseguenza secca: l’incandidabilità, presente e futura. Un pregiudicato che corre da Presidente del Consiglio è oltre ogni “golpe” esistito nella storia. Non a caso, dopo essersi assunto la responsabilità dell’omicidio Matteotti, Mussolini chiese provocatoriamente al Parlamento (un cui aveva la maggioranza) di essere messo sotto accusa formalmente, se la si fosse considerata una “colpa” (l’uccisione di un parlamentare!). E naturalmente il Parlamento non fece nulla, altrimenti Mussolini sarebbe diventato “incandidabile” e anche detenuto. Nemmeno il fascismo trionfante riuscì insomma ad arrivare a tanto…

 

Oggi siamo in una situazione completamente diversa. Non c’è alcuna “sovranità nazionale” entro cui il gioco dell’Aventino potrebbe avere conseguenze politiche serie. L’Italia è saldamente in mano agli organi di controllo della Troika, che mantegono la rotta – distruggere il “modello sociale” fondato sul “patto tra i produttori” e quindi sul welfare – a prescindere dalle tempeste parlamentari locali.

 

Ma portare avanti a lungo il giochino dei ricatti “ad personam” può comunque avere effetti devastanti. È infatti necessaria una “amministrazione locale” affidabile e allineata col disegno sovranazionale. Altrimenti la “speculazione finanziaria” riprenderà a mordere con rinnovato vigore un paese che nel frattempo sta perdendo i suoi pilastri produttivi. Si coglie la paura nei commenti di molti editorialisti, oggi. Nessuno crede che Berlusconi sia pronto a passare a una strategia di guerra civile vera e propria, disconoscendo la Repubblica e le sue istituzioni pur di evitare gli effetti della (prima) condanna penale. Ma il gioco sta scappando di mano ai giocatori (il Cavaliere, Napolitano, il Pd, la Corte Costituzionale e la Cassazione, ecc), che si trovano sempre più spesso davanti a scelte per un verso obbligate e per l’altro belliche in senso stretto.

 

Soprattutto, in questo “conflitto interborghese” permanente, scompare la credibilità dello Stato e delle istituzioni agli occhi di una popolazione che già ora, per la metà, non vota e per un terzo dei votanti ha scelto chi gridacchia “tutti a casa”. Da una situazione del genere si può uscire sempre in molti modi – verso destra o verso “sinistra”, con il ripristino delle catene di comando o con la loro interruzione critica – ma nessuno indolore. Un periodo di violente oscillazioni sui tassi di interesse per i titoli di debito pubblico, e quindi sulle condizioni del credito a imprese e famiglie, dunque una nuova e più violenta contrazione dell’attività economica, che trascina con sé una conflittualità sociale che necessariamente dovrà trovare anche “voce politica”, ecc… è un incubo per chiunque detenga il potere sopra questo disgraziato paese. Ma può diventare a breve la realtà quotidiana, per effetto della “irresistibile ascesa” di contraddizioni interne al potere (locale) che nessuno appare in grado di risolvere.

 

La “mossa delle dimissioni”, dunque, può avere soltanto due esiti: o si dimostra un bluff (rinviando rumorosamente la crisi di governo a quando l’Aula del Senato dovrà votare l’effettiva uscita di Berlusconi dal Parlamento), oppure buona parte dei senatori Pd verranno “persuasi” a non decretarne la decadenza “per motivi di superiore interesse nazionale”. Berlusconi insomma sarà costretto a sceglie tra un Aventino finto o una Rupe Tarpea vera.

 

In entrambi i casi, un passo avanti verso un baratro più profondo.

 

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