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“Mamma li russi!”, ma solo per il pubblico italiano

Ricordate la globalizzazione? Due decenni passati sotto l’egida di questa parola che definiva peraltro un percorso apparentemente inarrestabile: l’integrazione delle economie del pianeta in un’unico, immenso, includente, mercato unico globale. Simbolo evidente: le riunioni del Wto (l’organizzazione del commercio mondiale), dove si lavorava a costruire nuove regole, rapporti, priorità, bilanciando le “aperture” con “tutele”, in modo da garantire una maggiore fluidità mercantile senza schiacciare in pochi secondi i paesi o le aree meno competitive.

La globalizzazione è morta con l’esplosione della crisi finanziaria globale. E sopravvive soltanto nella dimensione finanziaria, ma con molte limitazioni che cominciano ad apparire in modo molto chiaro. La “guerra delle monete” – ufficializzata all’inizio di questo anno con la decisione giapponese di “stampare moneta” in grande quantità, in modo da ridurre il valore dello yen e per questa via migliorare la capacità di esprtazione del Sol Levante (“svalutazione competitiva”, un classico della politica economica democristiana) – ha reso noto agli occhi del mondo che (il mondo unico” non c’era più, prima ancora che il processo arrivasse a compimento.

Al suo posto ci sono le “aree monetarie”, non i singoli paesi. La vicinanza, l’alleanza obbligatoria, la comunanza di interessi si dipana dentro e sotto la moneta corrente; i cui movimenti – aumento o diminuzione di valore – costituiscono l’unica possibilità di giocare a nascondino con i prezzi globali. Non potendo agire sul fronte dei prezzi (il “costo del lavoro” in un singolo paese è diventato l’unico “elemento flessibilizzabile”, visto che energia, materie e tecnologie prime hanno un prezzo globale), si agisce sulla leva del cambio per ottenere risultati simili.

Una dinamica “competitiva” che non poteva restare a lungo nel solo campo economico. Perché l’azione sulla moneta è un’azione “politica” (checché ne pensino alla Bce, unica banca centrale del mondo ad agire in modo indipendente da un potere politico peraltro ancora in fieri) e quindi implica l’azione concertata dei governi coinvolit nella stessa “area monetaria”, Evidente, in questo caso, il “vantaggio competitivo” rappresentato dall’unitarietà del comando politico – Usa, Russia e Cina non hanno a che fare cone 18 o 27 paesi formalmente indipendenti e rissosi – o dall’alta “continuità di governo” (Russia e Cina non soffrono di turbative elettorali particolari, e gli stessi Stati Uniti risentono assai poco dell’alternanza tra repubblicani e democratici).

Ed ecco dunque che lo scandalo Datagate – arrivato al punto da mettere sul banco degli imputati gli Usa, con gli stessi alleati nella parte degli accusatori – viene rapidamente trasformato in una “guerra di servizi segreti”. Con gli europei (meno Italia e Gran Bretagna) impegnati a costruirsi istituzioni di spionaggio indipendenti dagli Usa e la contemporanea “scoperta” che anche i russi hanno provato a spiare i leader convenuti a Mosca per il vertice del G8.

Così fan tutti, nessuno è più carogna di un altro. Soprattutto, questo conflitto inter-leader globali oscura completamente l’altro: i governo che spiano i propri cittadini, con le scuse più varie (quella di “terrorismo” ormai comprende anche le forme di opposizione più tipiche nei regimi democratici, come fa la Turchia per piazza Taksim e l’Italia per i No Tav). Un modo elegante di cavarsi d’impaccio, trasformando – come sempre nella storia – il conflitto politico tra dominanti e dominati in quello più controllabile, contro il nemico esterno. Contro un’altra “area monetaria”, oggi.

I giornali di regime, oggi, si riconoscono – tutti – proprio su questo fronte. E si tratta di una variazione sul tema “spionaggio” che è esclusivamente italiana. Non ne parla affatto, per esempio, il progressista francese Le Monde, ancora impegnatissimo a costruire il “fronte europeo” contrapposto all’”ingerenza statunitense”. Idem per il conservatore Le Figaro, che apre sul malessere fiscale di commercianti e artigiani.

Non ne sa nulla nemmeno l’inglese Guardian, che pure sullo scandalo d’intelligence ha dato punti a tutti i media globali, acquisendo per primo le informazioni sui dati trafugati da Edward Snowden. Persino il più paludato The Times continua a parlare del Datagate, non delle “chiavette russe”.

Stesso discorso in Spagna, paese tra i più inferociti per lo spionaggio statunitense e in genere “fedele” a Wasgington quanto i governi italioti. El Mundo è concentrato su questioni interne e sul Datagate versante Usa, nulla sa di russi e caricabatterie-spia.

In Germania quasi si chiede l’inpeachment per Obama, mentre l’ultra-atlantista Spiegel non dedica nemmeno una riga al cattivissimo Putin e al suo passato nel Kgb. Idem per il più “neutro” Frankfurter Allgemeine

Ma la prova definitiva è che dello “scandalo spionistico russo” non hanno avuto notizia nemmeno nanerottoli dell’informazione come la Cnn, il Washington Post o il New York Times…

Insomma: i media continentali – e persino statunitensi – non si occupano né punto né poco della “notizia del giorno” sparata su tutti i quotidiani italiani. Forse perché questa storia di “chiavette Usb” e “caricabatterie” spia, donati a Mosca ai leader del pianeta, puzza un po’ troppo di “boiata pazzesca”. Parliamoci chiaro: che ci si spii tra paesi in competizione è certo. Che russi e cinesi (e indiani, australiani, brasiliani, ecc) non siano “più gentili” degli statunitensi, anche. Ma che il rilucidato Kgb provi una mossa demente come quella di “regalare gadget spia” nel corso degli incontri ufficiali del G8, ovvero a gente che viaggia con un codazzo lungo un chilometro di agenti segreti ed esperti di tenciche antispionaggio, abituata a sospettare anche di un mazzo di rose, va al di là di ogni immaginazione.

Ma i giornalisti mainstream non sono più abituati a farsi domande. In fondo loro sono più abituati a ricevere in regalo chiavette e caricabatterie (e telefoni, e altri “gadget”) ogni volta che frequentano una sede istituzionale “ricca”, pubblica o privata che sia. Prendono e non si fanno domande. Anche sul piano delle notizie. Tutto ciò che arriva dalle loro “fonti” è vangelo che non ha bisogno di verifiche indipendenti. Specie se le fonti sono i servizi segreti nostrani. Ovvero una dependance di quelli statunitensi, attualmente sotto scacco.

Forse è per questo che ancora non si sono accorti che la loro “patria”, ossia l’area monetaria di appartenenza, non ha come capitale Washington. O Langley.

Alcuni esempi.

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I servizi: Letta usa cellulari criptati ed è dotato di valigetta anti-intrusioni

 «Gadget truccati in regalo ai leader Così Putin voleva spiare l’Europa»

Fiorenza Sarzanini

ROMA – Nella guerra di spie esplosa con il Datagate, adesso tutti sono contro tutti. E l’ultimo attacco lo sferra l’Unione Europea. Bersaglio: la Russia di Vladimir Putin. L’accusa è pesantissima: durante l’ultimo G20 che si è svolto nel settembre scorso a San Pietroburgo, ai capi di Stato e di governo sono stati consegnati gadget che in realtà erano strumenti di intrusione per computer e telefonini.

L’allertamento per tutti i servizi segreti dei Paesi partecipanti è stato tramesso direttamente dal Consiglio europeo e immediate sono scattate le ulteriori verifiche a livello nazionale. È l’ultimo capitolo di una vicenda che rischia di creare fratture gravissime nelle relazioni diplomatiche. Durante i contatti di questi giorni, gli Stati Uniti hanno continuato ad escludere di aver mai intercettato esponenti delle istituzioni italiane e questa mattina tornerà di fronte al comitato parlamentare di controllo il direttore del Dis Giampiero Massolo. Il capo dell’intelligence ribadirà che «non ci sono evidenze su controlli illegali» e consegnerà l’esito delle indagini effettuate nelle ultime settimane anche con la collaborazione degli 007 «collegati». Una relazione per ricostruire quanto accaduto dopo le rivelazioni di Edward Snowden, il tecnico informatico che ha violato i segreti dell’Nsa, la National Security Agency americana.

Chiavette e caricatori per la «captazione»
È il 5 settembre scorso, in Russia è convocato il G20. Al primo punto dell’ordine del giorno c’è la questione siriana con Stati Uniti e Francia determinati a sferrare l’attacco contro il regime di Assad accusato di aver utilizzato armi chimiche contro i civili. Il vertice è segnato da momenti di grande tensione tra Barack Obama e Putin, anche per la scelta di Mosca di concedere asilo a Snowden. Al termine, come sempre accade, le delegazioni ricevono numerosi oggetti ricordo. Tra i gadget consegnati dagli organizzatori ci sono anche chiavette Usb per computer e cavi per la ricarica dei telefonini cellulari.
Il primo a stupirsi del regalo è il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy che una volta rientrato a Bruxelles, incarica i responsabili della sicurezza di effettuare accertamenti su tutti i dispositivi. Si decide di chiedere l’ausilio dei servizi segreti tedeschi e l’esito delle prime analisi è positivo. Nella comunicazione ufficiale trasmessa attraverso i canali dell’intelligence a tutti gli Stati partecipanti si specifica che «le chiavette Usb e i cavi di alimentazione sono idonei alla captazione clandestina dei dati di computer e telefoni cellulari». E per questo si sollecita di «adottare ogni possibile precauzione nel caso questi oggetti siano stati utilizzati e in caso contrario di affidarli alle strutture di sicurezza per ulteriori controlli».

Nuove verifiche e protesta diplomatica
La notizia filtra mentre sale alle stelle la tensione per gli ultimi documenti diffusi da Snowden sul controllo effettuato da parte delle agenzie di intelligence statunitensi sulle comunicazioni di cittadini tedeschi, francesi e italiani, ma soprattutto su quelle di esponenti governativi e istituzionali. E dimostra quanto alto sia ormai il livello di scontro. Anche perché gli interrogativi su questa vicenda sono molteplici. La scoperta dei gadget «truccati» avviene poche settimane dopo la decisione della Russia, presa il 1° agosto scorso, di rilasciare il visto per un anno alla «talpa» che sta mettendo in gravissime difficoltà la presidenza Obama. La consegna di quei dispositivi serviva a colpire un bersaglio specifico? O forse serviva a dimostrare che anche la Russia è capace di effettuare intrusioni nei sistemi informatici dei governi, in particolare di quelli occidentali?
Le verifiche effettuate sino ad ora avrebbero dimostrato la capacità di intrusione dei dispositivi, ma non viene specificato se qualcuno abbia effettivamente utilizzato chiavette e cavi. Si tratta in ogni caso di una vicenda che rischia di arroventare ulteriormente il clima e di rendere ancor più complicati i rapporti dell’Unione con la Russia. Non a caso c’è addirittura chi sospetta che possa trattarsi di una trappola per mettere in difficoltà i russi. Una versione che non viene però accreditata a livello europeo. Secondo alcune fonti diplomatiche dell’Unione si attendono le ulteriori verifiche effettuate da ogni singolo Stato per far partire una protesta formale con relativa richiesta di chiarimenti. Proprio come è già accaduto da parte di Francia e Germania nei confronti degli Stati Uniti con la convocazione dell’ambasciatore.

Criptotelefoni e valigetta
Al momento i servizi segreti italiani escludono che esponenti del governo o delle istituzioni possano essere stati spiati dagli Usa. Massolo lo ripeterà questa mattina di fronte al Copasir, evidenziando quale sia il dispositivo che segue costantemente il presidente del Consiglio. Spiegherà infatti che dall’entrata in vigore della riforma sull’attività degli 007, il controllo di sicurezza delle comunicazioni del premier sono affidate all’Aisi, l’agenzia interna che si occupa anche di controspionaggio. Evidenzierà che nei suoi spostamenti esterni Enrico Letta, così come prima Silvio Berlusconi, è sempre scortato da un funzionario Comsec (Communication security) che custodisce la valigetta antintrusione. Il presidente ha a disposizione cellulari criptati che può utilizzare sia nelle conversazioni di tipo istituzionale, sia per quanto riguarda le comunicazioni private. Una «tutela» riguarda anche i ministri che hanno una «protezione» dei cellulari e della rete fissa. Sottolineerà che «al momento, le verifiche su intercettazioni e altro tipo di «ascolto» hanno dato esito negativo».
Il fatto che non ci siano prove sull’effettuazione di intercettazioni abusive nei confronti delle istituzioni, non basta comunque a ridurre la portata di quanto accaduto, soprattutto tenendo conto che ancora nessuno è in grado di quantificare quanti siano i «contatti» acquisiti dall’Nsa su cittadini italiani e in quale periodo. Negli incontri avuti a partire dal luglio scorso è stata confermata la «cattura» delle informazioni relative a chiamate, sms e mail da e per gli Stati Uniti ai fini della sicurezza nazionale, dunque esaminando poi tutti i dati «sensibili» e solo in caso di sospetti evidenti è poi scattato l’ascolto delle conversazioni o la trascrizione della messaggeria. Le riunioni tra i vertici dell’intelligence italiana e statunitense hanno riguardato anche le verifiche effettuate sugli accessi a social network e servizi di videochiamate. I provider statunitensi hanno infatti fornito il consenso all’Nsa per l’acquisizione dei propri dati. Vuol dire che chiunque utilizza questo tipo di servizio di fatto può subire il controllo anche sui contenuti che mette in rete, dai testi alle fotografie, passando per i video e soprattutto per le comunicazioni faccia a faccia attraverso i computer.

Dal Corriere della sera

 

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La guerra senza regole degli 007

 

Maurizio Molinari

 

Se il sistema americano «Prism» ha monitorato negli ultimi anni le comunicazioni elettroniche nel Pianeta e le antenne della «National Security Agency» hanno intercettato i leader alleati di Washington, in occasione dell’ultimo summit del G20 gli organizzatori russi avrebbero consegnato ad alcuni dei Capi di Stato e di governo ospiti una chiavetta Usb capace di spiarli.  

 

Le rivelazioni sullo spionaggio elettronico che finora hanno bersagliato gli Stati Uniti sembrano così estendersi alla Russia, lasciando intendere l’intensificazione di una guerra di spie innescata dalla fuga ad Hong Kong di Edward Snowden, l’ex analista della «Nsa» scappato dalle Hawaii con i segreti più preziosi dell’arsenale digitale del Pentagono ed ora esiliato in Russia, dove a proteggerlo sono i discendenti dell’ex Kgb. Durante la visita svolta in giugno a Berlino, era stato il presidente americano Barack Obama a dire a chiare lettere che «non siamo i soli a usare lo spionaggio elettronico sebbene siamo gli unici a doverne rispondere pubblicamente» e nelle settimane seguenti è tornato sull’argomento, lasciando trapelare l’irritazione di Washington per il perdurante silenzio sulle analoghe attività dei più agguerriti concorrenti strategici: Pechino e Mosca anzitutto.  

 

I sospetti che ora si indirizzano sulla Russia di Vladimir Putin per le chiavette-spia del G20 si accompagnano all’ipotesi che qualcosa sia saltato nei delicati equilibri che regolano la convivenza fra servizi segreti, innescando un domino di rivelazioni che – a prescindere dalla loro fondatezza – sono destinate a moltiplicare le fibrillazioni internazionali. Ciò che viene meno è una delle regole più antiche delle relazioni fra potenze: ci si spia senza dirlo e le guerre di intelligence avvengono lontano dai riflettori. Se il crollo del Muro di Berlino ha portato ad un mondo multipolare dove ogni nazione può ambire ad essere decisiva, le rivelazioni di Snowden hanno rotto il tacito equilibrio fra i maggiori servizi di intelligence dando vita ad una sorta di Far West delle spie che si consuma in maniera plateale sulle prime pagine di siti Internet e quotidiani.  

 

Ciò che colpisce è come le vittime più ambite in questo Far West sono i leader di governo. Se il capo della commissione «Homeland Security» della Camera dei Rappresentanti, Pete King, difende le intercettazioni dei leader stranieri considerandole «intelligence di grande valore» le antenne di ascolto che i militari cinesi posizionarono davanti all’hotel di Pechino che ospitava George W. Bush nel 2008 confermano come gli inquilini della Casa Bianca siano spesso soggetti a simili attenzioni. 

 

Il motivo è che le parole del leader sono una finestra non solo sulle informazioni in possesso del suo Paese ma anche sulle sue intenzioni immediate. Conoscerle consente di avvantaggiarsi in battaglie, politiche o economiche, che possono svolgersi nei consessi internazionali più diversi: dalle dispute commerciali in seno al «Wto» a quelle sull’unione bancaria a Bruxelles, fino alle liti sulla Siria nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’intelligence è così diventata lo strumento di un duello sempre più personale fra i leader delle diverse potenze: determinati a conoscere cosa pensa il rivale per poterlo anticipare, beffare. 

 

Se la sfida dello spionaggio accompagna i maggiori eventi internazionali diventano più comprensibili le esitazioni dell’amministrazione Obama nel fronteggiare le irate proteste dei leader alleati perché chiedono all’America di compiere dei passi indietro mentre gli avversari restano agguerriti. 

 

A differenza dei leader di Cina e Russia, Obama ha però un’opinione pubblica interna a cui deve rispondere e ciò spiega la scelta di anticipare i tempi della riforma dell’intelligence elettronica, affidandone la redazione ad una commissione di cinque saggi che dovrà presentare i risultati entro il 15 dicembre. La loro missione non potrebbe essere più difficile: rimodellare la più segreta arma elettronica degli Stati Uniti per proteggere la privacy dei cittadini e rimettere sui binari le relazioni con i più importanti alleati. Ma prescindere da quale sarà il risultato non è difficile indovinare che il Far West degli 007 continuerà. Almeno fino a quando il caso-Snowden non verrà risolto, portando alla creazione di nuovi equilibri fra i maggiori servizi di intelligence. 

 

Da La Stampa

 

 

 

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1 Commento


  • Mic

    La chiavetta spia dei russi cattivi… ah, ah, ah… vi prego… basta… ah, ah, ah… Questi meriterebbero il Nobel per la servitù…

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