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Sel tra scissione e sprezzo del ridicolo

Tirata da tutte le parti, sotto stress per il terrore di scomparire – la soglia del 4% prevista per le elezioni europee di maggio appare oggi irraggiungibile – Sel ha deciso di non rompersi ora. Il prezzo pagato però non appare davvero basso: non fare nulla e tenersi tutte le porte aperte.

Basta leggere l’odg conclusivo per rendersene conto:

“Riconosciamo il ruolo che può svolgere come punto di riferimento di una svolta della socialdemocrazia europea Martin Schulz che rilancia da sinistra il progetto di Unione in discontinuità con la lunga stagione del liberismo. Schulz può accompagnare il socialismo europeo a voltar pagina.

Pur guardando al Partito del Socialismo Europeo – al cui congresso di fine febbraio parteciperemo – come prospettiva e spazio di confronto, non possiamo rimanere indifferenti al compito al quale anche noi veniamo chiamati. Interloquiremo con PSE, Sinistra Europea e Verdi Europei. Proveremo a contribuire alla costruzione di una proposta per l’AltraEuropa che sia praticabile, e concreta nel nostro paese. Una proposta che deve coinvolgere quelle realtà sociali, politiche e di movimento, ambientaliste, di sinistra che nelle loro pratiche, iniziative e proposte già costruiscono l’AltraEuropa.

Per questa ragione oggi facciamo nostro lo spirito della candidatura
Alexis Tspiras per un’AltraEuropa, ed il senso di mettersi a disposizione per la possibile costruzione di una proposta di sinistra ed ambientalista per le prossime elezioni europee.”

Non siamo tra quelli che ritengono “l’operazione Tsipras” risolutiva di alcunché e ne abbiamo illsutrato i motivi più volte (in sintesi: l’Unione Europea, come forma di stato in costruzione, non appare “riformabile”; ma il cartello elettorale “di sinistra” che si è andato coagulando – in Italia neanche quello – intorno al suo nome punta tutto proprio sulla “riforma dei trattati”), ma sembra davvero difficile restare in mezzo tra uno schieramento totalmente interno all’attuale gestione neoliberista della crisi e della Ue e un altro che, molto irrealisticamente, ne sogna una “correzione keynesiana”.

Restando indenni, almeno. Il margine che consente a Vendola di trattenere a stento i piedi in due staffe è tutto “italiano”. E’ il Pd infatti a non schierarsi cone quel “socialismo europeo” che – come in Germania – sta tranquillamente al governo con i conservatori della Merkel. Solo per questo, insomma, ha potuto chiedere l’adesione al Pse e contenporaneamente occhieggiare alla parte meno “radicale” che ci sia alla sua sinistra: gli intellettuali che hanno sottoscritto un appello per una “lista Tsipras” e che, contemporaneamente, non vogliono sentirsi accostati a Rifondazione; che pure è ancora il nocciolo più consistente di questa eventuale lista.

Miserie tutte italiche, insomma, che impediscono persino di guardare a questa Unione Europea per quel che è. Parlano d’altro cercando voti, e non si rendno più nemmeno conto di esser finiti fuori da ogni gioco. “Si arrangino”, dice loro Renzi. Come si dice a chi annega nel Mediterraneo…

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