Una buona assemblea, quella di stamattina a Roma, nella facoltà di Fisica. E pensare che non era neppure scontato che si potesse organizzarla, riunendo le numerose anime del movimento antagonista di questo paese.
Alle difficoltà soggettive si era infatti aggiunta l’incertezza circa la data dell’”evento” aggregante, quel vertice europeo sulla “disoccupazione giovanile” che in un primo momento sembrava certo nel mese di aprile, per poi slittare – impercettibilmente ma molto probabilmente – verso luglio (se non addirittura all’autunno) quando toccherà all’Italia assumere la presidenza semestrale dell’Unione Europea. E, per le abitudini contratte in un ventennio ormai definitivamente concluso, sembrava diventato possibile solo mobilitarsi “in risposta” a un vertice o altro appuntamento istituzionale. Come se la sofferenza sociale potesse manifestarsi in tutta la sua dimensione politica unitaria solo per contrasto, di riflesso.
Per fortuna, nelle componenti più attive e anche dimensionalmente decisive del movimento, si è fatta strada la consapevolezza che è ormai necessario dotarsi di una propria agenda, di una piattaforma tematica articolata, fissando scadenze di lotta in piena autonomia. Individuando con chiarezza anche l’avversario contro cui ci si batte, unitario al di là delle molte facce con cui si contrappone ai bisogni della stragrande maggioranza della popolazione.
L’introduzione di Paolo Di Vetta, di “Abitare nella crisi”, coglie esattamente questo passaggio di fase. Si parte dalla volontà di “proseguire nel solco del 18 e 19 ottobre”, le due giornate di lotta che hanno portato sulla scena l’unica forza sociale e politica in grado di contrapporsi alle politiche di austerità. Una volontà che implica naturalmente un’assunzione di responsabilità vera, un’onestà nel confronto tale da formulare quell’”agenda indipendente” che si dipana poi in scadenze, iniziative, percorsi di organizzazione tutti da sperimentare.
Si valorizza il “meticciato dei percorsi di lotta”, puntando a valorizzare le differenze, sia di figure sociali che di “nazionalità” o etnia (e qui cade subito la scadenza di sabato prossimo, una manifestazione per chiusura del Cie di Ponte Galeria, nei pressi di Roma; o anche quella del 1 marzo, giornata nazionale di lotta dei migranti). Ma cresce anche la necessità di allargare la riflessione oltre lo specifico delle lotte, approfondendo i temi del carovita, l’austerity, la precarietà, la mobilità, la sanità, le tariffe, i distacchi delle utenze (appuntamento a Napoli 2 marzo). Ovvero i temi di fondo di ogni lotta che abbia al suo centro il problema del reddito diretto e indiretto.
Il vertice Ue sulla disoccupazione giovanile resta comunque all’orizzonte come un appuntamento importante, ma il suo significato viene rovesciato: è il tentativo di impedire che si possa mettere in moto un processo organizzativo importante, imponendo l’idea che l’unico lavoro possibile è quello precario e sottopagato. Lo stesso obiettivo dell’Expo milanese (dove 18.000 “giovani” saranno messi al lavoro senza salario, a titolo gratuito!), ma sotto la copertura di un meccanismo di fascinazione che gioca sulle suggestioni della green economy, del mangiar bene, ecc).
Non ci sono scorciatoie, su questa strada, tantomeno quelle di natura elettorale, che non tengono conto della “lentezza” dei processi reali che puntano alla riappropriazione di vita, reddito, dignità. E che vengono affrontate sempre più spesso con la repressione, entro il recinto di una legalità di classe immaginata ormai soltanto per inchiodare le lotte al di sotto della soglia di “pericolosità” sociale. Le centinaia di denunce, i quattro attivisti No Tav arrestati con l’allucinante accusa di “terrorismo”, i fogli di via, ecc, mostrano la necessità di supportare con più forza anche la difesa legale, costringendo la magistratura a fare un passo indietro su quella via “sperimentale” che sembra avere la sua scuola di pensiero nella procura di Torino.
Il “calendario” delle mobilitazioni di primavera si arricchisce dunque di una doppia giornata di mobilitazione contro la repressione – che darà seguito al 22 febbraio in solidarietà con il Movimento No Tav – il 14 e 15 marzo (un’assemblea il primo giorno, una manifestazione il secondo) a Roma.
L’appuntamento centrale, anche in chiave di “individuazione dell’avversario” sarà la giornata di sabato 12 aprile, con una manifestazione nazionale contro le politiche di austerità dell’Unione Europea, contro la macchina istituzionale dei trattati che vanno distruggendo il modello sociale esistente, spingendo verso l’impoverimento generalizzato una massa crescente di figure sociali. Una giornata in continuità diretta con quelle del 18 e 19 ottobre, all’altezza di una sfida che va ormai al di là dei confini nazionali e individua un nuovo “nemico comune” dell’infinità varietà delle lotte sociali.
Torna dunque “lo spirito di Porta Pia” e la proposta è di far partire da lì la manifestazione più importante, “assediando” le sedi istituzionali che rappresentano la gestione delle risorse, per arrivare fin sotto la sede dell’Unione Europea.
In questa chiave emerge con forza anche la volontà di “riappropriarsi del Primo Maggio”, in tutte le città italiane, puntando con forza sui due temi centrali del lavoro attuale: disoccupazione e precarietà.
Difficile dar conto di tutti gli interventi successivi, in genere tutti interni a questa “piattaforma provvisoria” comune. Giorgio Cremaschi, per Ross@, ricorda la necessità di tenere insieme, nelle mobilitazioni, le rivendicazioni sociali con l’individuazione dell’avversario. Perché ogni politica ha un soggetto che l’ha elaborata e che la mette in pratica. E nel caso dell’austerità, è fin troppo evidente il ruolo della “Troika”, ovvero di Unione Europea, Bce e Fmi. Poteri che vanno chiudendo un vero e proprio regime sia sul terreno politico (tra “riforme costituzionali” e legge elettorale “Renzusconi”), sia su quello della rappresentanza sindacale (Col “testo unico” siglato ca Cgil, Cisl, Uil, Confindustria). Perché le politiche di austerità “non sono uno sbaglio, ma un modello di società”.
E aggiunge un tema importante alla “piattaforma di primavera”, chiedendo di farne una grande scelta di antifascismo militante. Perché la sofferenza sociale aumenta, e il potere neoliberista – gestito dalla alternanza solo formale tra “centrodestra” e “centrosinistra” – mantiene sempre ben viva la possibilità di utilizzare questa “carta di riserva”. Un fenomeno più visibile al Nord, dove si cominciano a far sentire le conseguenze delle scelte della Lega Nord, di far fronte comune con Le Pen e altri movimenti di ultradestra “sovranista” e reazionaria.
Si nota, in qualche intervento, il disagio con la dimensione europea del conflitto e dell’avversario. Disagio che si concretizza in timori di “sovranismo nazionale” nella contrapposizione alla Ue e alla Troika, come se non ci fosse via d’uscita dalla gabbia costruita dal “pensiero unico”: o sei “europeista”, e quindi ti adatti a stare dentro i confini delle compatibilità assegnate, oppure sei “nazionalista” se vai a mettere in discussione il disegno reazionario del capitale finanziario (e manifatturiero) multinazionale.
Ci sarà modo di parlarne spesso, nei mesi a venire, riempiendo i vuoti di riflessione “macro” abbastanza evidenti qua e là.
Fabrizio Tomaselli, per l’Usb, invita a far avanzare lo spirito del 18 e 19 ottobre, che “ha rappresentato una svolta”. Sia nel metodo, con la connessione temporale di due giornate che visualizzavano le tante differenze in lotta. Sia nella capacità di dare finalmente risposte complessive a un attacco altrettanto concentrico e complessivo al lavoro, al reddito, alle condizioni di vita (casa, sanità, welfare, ecc), senza stare ad aspettare l’”evento vertice”.
Un ragionamento che accomuna, in altra chiave, diversi interventi della rete Infoaut, secondo cui si tratta di “scandere in campo e occupare lo spazio politico della primavera, impedendo che il dibattito politico pubbico sia bloccato sulla legge elettorale, lo scontro Letta e Renzi o l’ennesimo cartello dietro la speranza Tsipras”. Dal 18-19 ottobre molto è comunque cambiato, ed è cambiato dall’alto; mentre dal basso è in qualche misura cresciuta la resistenza. Ma si tratta di cogliere le latenze, l’insoddisfazione del corpo sociale, stando attenti anche a segnali di vita che parlano “altri linguaggi” – come nella Torino del 9 dicembre, unica città “non forconista” nella giornata dei “forconi”. Una riappropriazione di protagonismo che deve naturalmente manifestarsi con pratiche adeguate; e che incontrano oggi un’attenzione maggiore, anche “nella gente”, persino rispetto a quelle che in diversa misura vanno oltre il recinto “legalitario”. Da qui viene anche un suggerimento tematico importante: quello sulla fiscalità, sull’eccesso di tassazione che impoverisce ceti che fino a qualche tempo fa si percepivano come “medi”, e quindi pacificati e soddisfatti. E un invito: a non sottovalutare il Jobs act come nemico, con il rischio che riescano a far passare l’idea che sia accettabile lo scambio tra “diventare tutti più produttivi come capitale umano, in cambio di un salario da fame”.
Molti temi, molte idee. Qualche resistenza a mettere in comune fin da subito le forze e le intelligenze (non bella l’impasse sul “gruppo di lavoro”), segno di arroccamento o diffidenza, oppure di complessa metabilizzazione delle novità contenute nella mobilitazione di primavera.
La prima che prende esplicitamente lo stato in costruzione chiamato Unione Europea – non certo “l’Europa”, la comunità dei popoli – come avversario contro cui ci si batte, cervello e motore di quell’”austerità” che va strangolando – intanto – i ceti popolari dei paesi economicamente più deboli.
È un primo passo, importante come tutti i primi passi nella giusta direzione. Ora c’è da lavorare tanto, con mente fredda e cuore caldo.
Qui la sintesi fatta dai compagni di Infoaut, dal loro punto di osservazione.
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