In un aula di tribunale strapiena, colpo di scena. L’imputato non è imputato e gli avvocati ringraziano il Movimento No Tav.
È così che inizia l’ultima giornata delle difese in quello che diventa un processo alle intenzioni. Ancora, gli avvocati del Legal Team spiegano come nelle foto non siano rinvenibili le prove del coinvolgimento dei loro assistiti, sottolineando il valore morale e sociale di quelle giornate. Fanno notare che le forze dell’ordine controllano i documenti all’entrata dell’aula, balzano in piedi i due Pm replicando che è un controllo di Polizia giudiziaria sulla base del C.p.p. “È una cosa normale che nelle aule si eseguano dei controlli” Pronto il Legal Team ribatte “Vorremmo che ai verbali si faccia notare che sempre e solo i No Tav sono sottoposti a questo trattamento”. Denunciano il clima che qualcuno vuole creare nel processo. Ma per l’accusa “un imputato siede nel pubblico mentre esiste ancora il banco degli imputati, e noi non abbiamo riferito nulla”.
Di stranezze se ne vedono: giornalisti entrano dalla parte riservata ai Pm, siedono dietro la loro scorta senza che nessuno si preoccupi, finché non si accomoda una giornalista sgradita, che viene pregata di alzarsi e andare altrove.
E si assiste all’arringa dell’avvocato Cristina Patrito che lascia l’aula impietrita (vd. qui Ringrazio il Movimento No Tav per la dignità che ha ridato al Paese). La passione per la giustizia non soltanto trapela ma esplode nelle sue parole.
Le difese incalzano sulla posizione del sigillo. Quel nastro bianco e rosso con su scritto “Carabinieri”. Ricordano che nelle udienze passate un teste sostenne vi fossero due nastri: uno regolare sul manufatto, e un secondo a pochi metri, “Per rafforzare il sequestro” dice il militare. Il sequestro è della baita. Ma allora, alcuni imputati, che non sono entrati nella baita, ma si sono soltanto avvicinati, vengono condannati per aver superato un “pre-sigillo”? in che cosa consiste il reato? E ancora: “La mia assistita, giorni a seguire, quando del nastro non vi era più traccia, porta il figlio al bagno della baita, è reato? L’imputata si affaccia all’entrata della baita e il teste dell’accusa ci dice che non vi è entrata, dobbiamo considerarlo reato?”
Colpo di scena. Viene ingrandita la fotografia nella quale il teste dell’accusa ha rilevato i riconoscimenti. Ma la difesa, aguzza l’occhio! Non riconosce il suo assistito. Non solo le fattezze, nella descrizione che di lui viene fornita (per esempio non porta gli occhiali né li ha mai portati) ma neanche il luogo in cui si crede che l’imputato dovesse trovarsi in quel momento. Ne viene chiesta l’assoluzione, e dal pubblico si solleva un’ovazione. “Si sentono talmente coperti politicamente che l’importante è condannare. Chi se ne frega come!” si sente dire intorno. E quando torna il silenzio si alza un sonoro “Minchia! Che cappella!”
L’aula è strapiena. È la giornata delle grandi occasioni. Ma Beppe Grillo non si presenta. Lo difende il suo avvocato, profondendosi in un’arringa molto tecnica che distanzia a ogni parola l’imputato dal dolo penale: “Il mio assistito non modifica il bene nel giorno cinque dicembre, non sottende al sequestro preventivo finalizzato a impedire la terminazione dell’opera”. Le sezioni riunite lo dicono chiaro, citando l’Art. 334, che riguarda l’utilizzo momentaneo – “Il reato deve essere ricondotto all’uso momentaneo” dirà il legale. E anche fosse, condannato sì, ma alla pena pecuniaria di euro 103.
Il giudice rinvia al 3 marzo le eventuali repliche e chiede di acquisire il foglio di sequestro che le accuse non hanno mai prodotto. Un documento che riporta appunto il tipo di reato in cui il sequestro era volto a impedire l’ultimazione dei lavori di assetto della baita: un reato appunto edilizio. Un’ammenda come nel resto d’Italia. Niente di più.
da TG Valle Susa,
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