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Lista Tsipras. Anche “i garanti” si dividono

Una gara ad eliminazione ancor prima di arrivare alle urne. Non c’era bisogno di mettersi a “gufare” per capire che un assembramento malcomposto di pulsioni ed idee così diverse avrebbe partorito un problema, invece che una soluzione.

La “lista Tsipras” è in ambasce tali da preoccupare anche chi ne sta fuori: le esplosioni fanno danni in giro, è noto.

Le ultime notizie dicono che due dei sei “garanti” della lista si sono dimessi: «Andrea Camilleri e Paolo Flores d’Arcais comunicano di avere scritto venerdì 7 marzo una lettera a Alexis Tsipras con cui prendono atto di non fare più parte [dal 3 marzo] dei garanti della lista “l’Altra Europa con Tsipras” e restano come due tra i trentamila cittadini impegnati per l’iniziativa che hanno contribuito a far nascere».

Le ragioni sono note, anche se non ricordate nella breve nota. Aveva fatto arrabbiare lo scrittore siciliano l’inserimento di Luca Casarini tra i candidati, perché “pregiudicato” per vecchie storie di movimento “no global”. Ha fatto poi discutere la scoperta che Valeria Grasso, “madre coraggio” antimafia, era già stata candidata e molto vicina a Fratelli d’Italia (il trio La Russa, Meloni e Crosetto); non proprio il massimo dell’”alternatività” politica. Infine si era ritirata Antonia Battaglia, attivista storica di PeaceLink di Taranto, che proprio non se l’è sentita di trovarsi di fianco a diversi esponenti di Sel contro cui si era dovuta scontrare sulla vertenza ambientale – e non solo – dell’Ilva.

Ragioni diverse, indubbiamente. Da un lato un’idea malsana e ideologica della “legalità”, che non sa distinguere tra cosiddetti “reati” commessi per l’affermazione di diritti e spazi di libertà universali (così sono quelli che ogni giorno commette chi si oppone, in ogni luogo, al potere del profitto) e azioni infami. Da un altro, l’idea stessa del “contenitore” entro cui chiunque può infilarsi, a dispetto di storia, conflitti, valori, programmi, azioni, obiettivi apertamente e reciprocamente escludentisi.

Anche tra i garanti, dunque, si è aperto un solco serio. Perché a loto collettivamente doveva essere comunque “imputata” la scelta dei candidati, salvo scoprire poi che tale selezione non era stata né unitaria né condivisa.

“Ricordo – scrive Flores D’Arcais in una lettera indirizzata ai colleghi – che di fronte alla possibilità che Antonia Battaglia ponesse come condizione sine qua non ‘o i dirigenti di Sel o lei’, avevo espressamente detto (anche a nome di Andrea Camilleri che mi aveva delegato a rappresentarlo) che avremmo dovuto rispondere ‘lei’, cioè Antonia Battaglia, escludendo i dirigenti Sel. Mi era stato risposto che nessun ‘aut aut’ del genere era stato posto, ma che se fosse risultato ineludibile scegliere, la lista avrebbe scelto di candidare Antonia Battaglia”.

Si sa com’è finita: dentro tutti e due, e quindi Battaglia che se ne va per decisione propria.

Non ci sorprendiamo. Anche perché lo stiamo ripetendo da anni. È inutile, anzi dannoso, continuare con la logica dei “pentoloni elettorali” sempre più indeterminati nei contenuti perché rispondenti a un’unica logica: superare il quorum che viene imposto. Qui e ora, come al tavolo da poker, “per rientrare in gioco”, mentre invece se ne viene spinti sempre un poco più fuori e lontano.

È un gioco da “ceto politico” assolutamente autoreferenziale e sradicato da qualsiasi settore di classe o movimento reale, senza progetto autonomo né prospettiva di lungo periodo. Quel che viene bruciato, in queste esperienze avvilenti, non è il nome di questo o quel dirigente di partitino, ma la voglia di battersi di decine di migliaia di militanti e attivisti che gettano le proprie energie in un’impresa che spappola invece di unire, che deprime invece di rilanciare.

Ma che ve lo diciamo a fare… Da qui alle elezioni di maggio non vorrete sentir parlare di nulla, salvo piangere dopo e chiedersi “dove abbiamo sbagliato”?

 

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