Mancano due mesi alle elezioni europee e le coordinate della partita si vanno definendo. I due fattori principali – consenso o meno all’Unione Europea e all’esecutivo di Renzi – saranno quelli che daranno la cifra di una competizione elettorale che è stata sempre considerata di “serie B”, una sorta di voto in libera uscita, senza alcuna preoccupazione per “il voto utile” come avviene invece nelle elezioni italiane.
Abbiamo la netta impressione che questa volta non sarà così. Queste elezioni europee avranno le caratteristiche di un vero e proprio referendum sul governo Renzi e – in stretta connessione – sulla subalternità dell’Italia all’Unione Europea. Se questo è lo scenario è chiaro che in questa competizione verranno messi in moto tutti gli apparati di consenso tesi a convogliare il voto utile sul Pd e Renzi per mandare un segnale positivo al “pilota automatico” di Bruxelles. Non solo. Renzi e gli apparati legati all’oligarchia europea intende usare queste elezioni-referendum contro quella che oggi appare come la principale dissonanza al loro progetto di stabilizzazione e governance: il Movimento 5 Stelle e Beppe Grillo.
Contestualmente si gioca anche la partita sul consenso nella società italiana verso l’Unione Europea, i suoi vincoli, i suoi trattati e le le sue conseguenze antisociali. E qui viene il bello ma anche la contraddizione con cui fare i conti.
Discutendo sul libro di D’Alema, Renzi ha segnalato come tutti i sondaggi indichino un aumento esponenziale dell’ostilità popolare nella società verso l’Unione Europea. Il mito dell’europeismo italiano – per anni egemone, acritico e indiscusso – ha subìto colpi durissimi dovuti alla manifestazione concreta delle pesanti conseguenze dell’adesione dell’Italia all’Eurozona e all’Unione Europea. Insomma i lavoratori, i disoccupati, i settori popolari nel nostro paese non sono affatto scemi come viene arbitrariamente ritenuto. Ed anche pezzi di piccola e media borghesia hanno visto precipitare il loro status sociale sotto i colpi della centralizzazione e concentrazione economica e finanziaria a livello europeo.
L’obiettivo di Renzi, del Pd e dei loro azionisti di riferimento europei, è dunque quello di tenere insieme le due sfide: verificare i consensi sul governo Renzi ed evitare un plebiscito anti Unione Europea che, seppur espresso a livello di opinione, non sarebbe certo un segnale da sottovalutare per l’establishment europeo.
Se è vero tale scenario allora la partita in gioco sulle europee non sarà di normale amministrazione. A occhio la priorità delle forze di classe sarà proprio quella di ostacolare la raccolta di consensi intorno a Renzi e la rottura di ogni “Bruxelles Consensus”. Su quest’ultimo aspetto agisce però una contraddizione. A causa dell’inettitudine politica e culturale della sinistra alternativa (ma anche della rinuncia del M5S a praticare questo obiettivo), il terreno della rottura e dell’opposizione frontale all’Unione Europea oggi vede in pole position le forze politiche della destra, sia nella versione leghista che nazionalista. Ross@, ad esempio, ha provato a rompere questa trappola ponendo una “bomba tra i piedi” alla politica e ai gruppi parlamentari depositando il dispositivo per un referendum di indirizzo sui Trattati Europei.
Ma l momento l’unica variante, parziale ma variante, è quella del Movimento 5 Stelle che, per peso specifico ed elettorale, ha la possibilità di catalizzare il voto e di ingaggiare, quasi alla pari, la sfida del referendum con e su Renzi. Al contrario, nonostante i sondaggi e il senso comune di crescente ostilità popolare verso l’Unione Europea, il M5S ha abbassato di parecchio i toni proprio su questo tema, rinunciando a “cogliere l’occasione” di essere il catalizzatore anche sul terreno dello scontro con la Troika e le oligarchie europee. Lo scenario dunque non è affatto allettante, pur essendo ricco di possibilità e aspettative che però, stando così le cose, saranno ancora una volta disattese.
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