Doppia protesta, lundì scorso, contro il comune di Bologna. Lo “sciopero della mensa ” dei genitori dei bimbi contro i costi, la scarsa trasparenza e qualità del servizio mensa, è stato seguito dalla protesta degli educatori che anche la prossima estate si ritroveranno senza stipendio.
Un gran successo la protesta proposta dall’Osservatorio cittadino mense scolastiche, a cui aderisce USB e Cobas, che con il motto “Questa mensa non ci piace” ha coinvolto scuole comunali e statali di Bologna, dalle scuole dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado. Oltre un bambino su due delle scuole di Bologna a pranzo ha mangiato il panino portato da casa non fruendo della servizio mensa, mediamente più del 50% di adesioni quindi con punte del 100% in un paio di scuole. Il successo si è avuto nonostante i tentativi, da parte del Comune, di limitare la protesta creando difficoltà organizzative per le scuole e soprattutto per i genitori, a cui è stato imposto di andare a riprendere i figli che non usufruivano della mensa, per poi riportarli a scuola dopo il pranzo.
Motivo della “sciopero” è la gestione delle mense scolastiche che da 11 anni è nelle mani della partecipata Seribo che coinvolge il Comune di Bologna e le ditte CAMST e Concerta-Elior. L’appalto di 10 anni, già scaduto, ha avuto una proroga accompagnata anche da un aumento delle tariffe già parecchio alte rispetto al resto d’Italia. Dal confronto su cinquanta città italiane, anche a parità di valori ISEE, a Bologna il costo giornaliero del pasto arriva a toccare 6,60 euro superando di oltre 1,50 euro la tariffa di Firenze che segue Bologna. Un aumento ingiustificato per i genitori dell’Osservatorio considerato che gli utili di Seribo, di oltre 6 milioni di euro in 3 anni e superiori alla media del settore, non hanno determinato un miglioramento della qualità del cibo né la realizzazione dei 3 Centri Pasto previsti, dei quali ne è stato realizzato solo uno in 10 anni e per il prossimo si dovrà aspettare fino al 2017. Peraltro al costo più elevato del pasto non corrisponde una migliore qualità del cibo e del servizio. L’utilizzo di alimenti biologici nelle mense bolognesi è di appena il 18%, molto più basso di quanto previsto dalla legge regionale e di altri comuni dell’Emilia Romagna in cui, a costi sensibilmente più bassi, si arriva oltre il 70% di alimenti biologici.
I genitori dell’Osservatorio mense chiedono trasparenza nella tracciabilità degli alimenti utilizzati, ma soprattutto nei dati economici relativi all’aumento della tariffazione, agli utili e al contributo integrativo del comune. L’amministrazione comunale, anche dopo il successo di ieri, promette miglioramento della qualità con aumento di cibi biologici, uso di piatti in porcellana, ma sugli aspetti economici sembra ancora nicchiare. I genitori aspettano risposte e intanto hanno un documento pronto per il prossimo bando che chiedono di riaprire al più presto e per il quale vogliono essere coinvolti.
Sempre ieri, nel pomeriggio, l’amministrazione comunale bolognese ha ricevuto anche la contestazione degli educatori della cooperativa Quadrifoglio. Almeno una cinquantina in aula consiliare, al termine della commemorazione di Maurizio Cevenini, hanno esposto lo striscione con la scritta “R-ESTATE DISOCCUPATI” contestando l’appalto sui centri estivi che lascerà circa 400 persone senza stipendio. L’appalto prevede l’utilizzo di volontari (40%), non garantisce la continuità educativa e segue mesi di trattative con il comune che ha disatteso le garanzie date ai lavoratori. Anche ieri l’assessore Pillati e il sindaco hanno voltato le spalle alle richieste di attenzione degli educatori che hanno proseguito la protesta con un’assemblea a cui seguiranno altre contestazioni.
La protesta degli educatori è strettamente connessa con lo “sciopero del pasto”, a cui gli stessi hanno dato supporto. In base a quanto previsto dall’Amministrazione, gli educatori, che lavorano fianco a fianco con insegnanti e collaboratori e che assistono i bambini, non hanno diritto al pasto delle mense bolognesi. Un’assurdità che deriva dalla esternalizzazione dei servizi fatta inevitabilmente con l’unico obiettivo di svendere i servizi con bandi al di sotto del limite della decenza e che finalmente cominciano ad essere contestati su tutti i fronti.
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