Allora, il gioco cambia davvero? Grillo e Casaleggio – in perfetta solitudine e senza chiedere alcun consiglio “alla Rete” – hanno oggerto a Renzi il cosiddetto “dialogo sulle riforme”, a partire da quella elettorale. Portano come base di discussione un testo che ripropone di fatto il sistema proporzionale, in linea con la sentenza di gennaio della Corte Costituzionale, sideralmente all’opposto dell’”Italicum” concordato tra lo stesso Renzi e Berlusconi, esplicitamente diretto ad eliminare tutte le forze politiche minori e a restringere lo spazio della politica parlamentare soltanto ad un paio di soggetti (o tre, secondo gli attuali rapporti di forza).
I nostri lettori sanno che siamo poco appassionati di questi andrivieni febbrili tra attori sulla scena, certi come siamo che “la ciccia” delle decisioni importanti venga cucinata altrove, tra Bruxelles, Francoforte e Washington. Comunque qualche considerazione questa svolta la merita.
In primo luogo perché mette fine – o prova a farlo – a quell’orgoglioso isolamento del Movimento Cinque Stelle caratterizzante la fase “ascendente” della meteora grillina. Già la tribolata scelta di alleanza con l’Ukip di Farage in sede di parlamento europeo era un segno rivelatore dell’identico problema: ora che l’ascesa elettorale si è interrotta, ben al di qua del dichiarato “51%”, cosa si fa della forza di cui si dispone?
Per proseguire nella corsa solitaria, anche se non più secondo una progressione lineare, bisognerebbe avere in mente e articolato nella società un vero progetto “rivoluzionario”, che persegua un rovesciamento totale dei pilastri su cui si regge l’economia, la politica, l’informazione, ecc, di questo paese. Ma se così non è – al di là delle parole da comizio – quel consenso va in qualche modo “giocato” nell’interlocuzione, anche strumentale, con gli avversari esistenti. A partire naturalmente dal governo e dal Pd. Altrimenti quel consenso finisce per percepirsi come “inutile”, sprecato, umorale. E finisce per svanire.
Qui si verifica per l’appunto l’inesistenza di un progetto di cambiamento davvero radicale. L’ascesa grillina, che aveva rimesso in gioco tanti astensionisti, è avanzata sulla base di poche idee-forza: cacciare la casta, fare piazza pulita dei corrotti, sostituire la classe dirigente più inamovibile del mondo. Corrotti a parte, cui sta pensando come sempre la magistratura, le altre cose le ha dette e fatte Renzi. Si può e si deve ovviamente contestare che Renzi abbia davvero “cacciato la kasta”, che probabilmente sta ora pasteggiando ancor meglio di prima, ma l’aver riempito il palinsesto mediatico di facce nuove, persino “ggiovani”, facendo precipitare nel dimenticatoio gli over 60, è stato venduto piuttosto facilmente come un “rinnovamento”.
Per scoprire che è vero il contrario bisognerebbe concentrarsi sui programmi, le singole leggi e “riforme” tanto quanto il loro insieme. Cosa che ben pochi sono in grado di fare.
Grillo e Casaleggio, dunque, in assenza di un progetto diverso dal “rinnovamento delle facce”, cominciano a sentirsi stretti in un angolo, come accade spesso a chi dimostra grande capacità distruttiva e ben poca disposizione alla costruzione. Nella storia della sinistra accade lo stesso a tanti “movimentisti”, capaci di cavalcare qualsiasi onda, ma perennemente impossibilitati a infrangersi infine sulle rocce.
Non dubitiamo neppure che l’intenzione profonda della mossa grillina – come sembra sospettino anche al Nazareno – sia di “aprire contraddizioni” nel fronte governativo e piddino (area in sofferenza estrema, come dimostrano i casi di Mineo e Chiti, nonostante la compravendita di qualche ex “giovane turco”). Ma implica comunque la fine della “diversità del movimento” rispetto alla scena della politica di palazzo.
Ascoltare i parlamentari pentastellati esprimersi come vecchi democristiani, appena coperti dalla ripetizione all’infinito della parola “sfida”, ci sembra più illuminante di un complesso ragionamento analitico.
Dal nostro punto di vista, la cosa più importante è comunque la morte improvvisa del mantra “decide la Rete”. Ovvero di quella illusione ipnotica per cui l’assenza di progetto può esser surrogata dall’affidamento al sondaggio perenne. Non solo per l’evidente contraddizione esistente tra un movimento che dice di voler cambiare tutto, come se avesse davvero una chiara visione dei problemi generali, ma che chiede continuamente ad altri la strada da seguire. È l’idea stessa di “democrazia della Rete” che finisce nella spazzatura.
Non è una gran perdita, diciamocelo tranquillamente. Solo gli scemi possono pensare che le “consultazioni in Rete” siano non manipolabili. Un briciolo di cultura informatica consente di sapere che “il sovrano”, in questi casi, è sempre chi scrive il software, mai chi clicca “mi piace”. Un po’ come avviene in qualsiasi sondaggio, dove è chi scrive le domande a decidere quali siano le risposte “accettabili” e quelle neanche ammesse; ma su una scala di arbitrarietà molto più alta.
Prepariamoci dunque a fibrillazioni, proposte e controaccuse, avvicinamenti impensabili e rotture violentissime (a parole), a decisioni “irrevocabili” revocate a distanza di poche ore.
Ma, se possibile, vediamo piuttosto di cogliere il malessere di quella parte di società – il nostro blocco sociale, tutto ancora da costruire – che aveva temporaneamente parcheggiato le proprie speranza nel garage ermetico di Grillo e Casaleggio. Ad una assenza di progetto capace di aggregazione, infatti, non si può rispondere solo con lo scherno o l’insulto. Bisogna invece entrare in campo. E mostrarsi migliori. Cominciamo il 28 giugno.
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