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Pd senza iscritti, la politica senza “la gente”

“Missione compiuta”. Ricordate lo striscione che Bush junior aveva fatto appendere sul ponte di una portaerei, pochi giorni dopo l’attacco all’Iraq di Saddam Hussein, nel 2003? Potrebbe appenderlo ora anche Renzi, sul portone della sede del Nazareno, ormai famosa più per l’immondo – e tuttora ignoto – “patto” stretto con Berlusconi che non per i fasti del Partito Democratico.

Una “inchiesta” di Goffredo De Marchis, peraltro sul giornale-sponsor del renzismo, ovvero Repubblica, scopre che in un solo anno gli iscritti al Pd sono scesi a mezzo milione a 100.000, l’80% in meno. In alcune regioni (cinque, tutte meriddionali) è praticamente scomparso; in altre fanno fatica a piazzare poche centinaia di tessere in mezzo a milioni di abitanti.

 “Mutazione genetica”, scrive già qualcuno della “famiglia” piddina.

Lasciamo perdere i mutamenti epocali della partecipazione politica, che naturalmente ci sono e hanno un peso grandissimo. Sono processi sui tempi lunghi, trasformazioni che corrono lungo un paio di decenni. Qui stiamo parlando della “scomparsa” del corpo sociale di un partito in meno di dodici mesi… Inutile insomma, invocare l’influenza di internet, twitter o quant’altro. Qui c’entra necessariamente Renzi e la sua corte di valletti/e, che si sono impossessati di un “brand” e hanno consapevolmente fatto tutto ciò che serviva per allontanare le persone fisiche.

Tempo fa, un compagno che aveva trascorso una vita di militanza in Cgil, raccontava come – trovandosi in radicale disaccordo con le scelte della segretaria generale e cercando di imbastire, insieme ad altri, una discussione politica interna – fosse stato affrontato da un dirigente locale che sventolava lo Statuto della stessa Cgil. In cui c’era scritto, inoppugnabilmente (anche se lui nonlo aveva mai letto), che i semplici iscritti non contano nulla. Un po’ come i soci farlocchi della Coop, insomma.

Ecco. Gli iscritti al Pd hanno finalmente “capito”, davanti al segretario-premier in odor di massoneria e puzzolente di sacrestia, di non contare assolutamente un tubo. E ne hanno tratto le conseguenze. Era così anche prima, ovviamente, ma non sembrava. Ora basta.

Non ci interessa davvero, qui, riproporre la stantia e fuorviante contrapposizione tra “base genuina” e “vertici corrotti”, che tanti guasti ha provocato a sinistra. Se uno era rimasto o entrato nel Pd nel corso di questi venti anni, aveva capito benissimo che non si trattatva più di un “camuffamento” dell’ex Pci. Anche se la sede era la stessa – come in “Arance e martello” – i meccanismi e soprattutto le finalità erano tutt’altre.

Quel che stiamo dicendo è che la selezione dei “quadri dirigenti”, del personale politico da presentare alle elezioni o nominare per ricoprire cariche, avviene ormai in altre sedi. Non si viene più “allevati” e “formati” nelle sezioni o nelle federazioni provinciali. Si arriva a diventare ministro perché hai “una faccia che funziona”, una parlantina sfacciata quanto basta; e soprattutto non capisci nulla (più precisamente: non te ne frega nulla) di democrazia, rappresentanza di interessi, questioni etiche. Sei fedele e basta, pronto a sfruttare il tuo quarto d’ora sulla scena per costruirti un pezzo di futuro. Hai introiettato la precarietà e capito che la nuova classe politica sarà fatta soltanto di uomini e donne da bruciare in una breve stagione. Che sei insomma una comparsa che per qualche mese ha un contratto da attore.

La “politica” al tempo della Troika è esecuzione di direttive comunitarie, recitazione davanti alle telecamere, relazioni con faccendieri che vengono a spiegarti quel che devi fare, magari con qualche slide per non perdere troppo tempo. Tu devi solo assorbire velocemente il copione e ripeterlo a pappagallo davanti a Floris o in aula (del Parlamento o del Comune, fa lo stesso).

La “partecipazione popolare” diventa un ingombro. Gente che cuoce le salcicce alle feste estive si può trovare anche pagando un briciolo di salario a termine. Sarà “personale retribuito” che non può proprio pretendere di metter bocca sulle scelte politiche. E nemmeno gli interessa farlo.

L’oligarchia si sgancia dal corpo sociale, non ha più bisogno di “rappresentarlo”, ma solo di amministrarlo. Non serve dunque più un “corpo intermedio” fatto di migliaia di sedi, centinaia di migliaia di attivisti che seminano tra la gente un modo di pensare, che raccolgono istanze e le trasformano in pressione sulle istituzioni. C’è spazio solo per le clientele e l’intermediazione con le imprese (di qualsiasi genere, anche criminali). Ma questo si fa molto più agevolmente nelle stanze del governo, centrale o locale.

Il messaggio è: gente, statevene a casa. Qui facciamo da soli e – soprattutto – non vi vogliamo tra i piedi.

p.s. Nessuno ci venga a consigliare di prendere esempio da questo modo di “far politica moderno”!

 

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