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Il governo racconta palle ai precari

Come si fa a coprire un decreto legge immondo facendolo passare per un’opera pia? Raccontando cazzate, si direbbe a Roma. Mentendo spudoratamente, si dice ovunque.

Vediamo allora le ultime menzogne del governo intorno alla falciatrice chiamata “Jobs act”.

Estendere il sussidio di disoccupazione anche a chi oggi ne è escluso. Non solo i collaboratori a progetto. Ma tutti coloro che non hanno i requisiti né per l’Aspi né per la mini-Aspi per via della carriera “discontinua con contratti sotto l’anno”, spiega il responsabile Economia e Lavoro del Pd, Filippo Taddei.

Per gli sponsor di Renzi, come Repubblica, non ci sono dubbi. Questa è proprio un’opera pia. Peccato che quando si comincia a vedere con quali e quanti soldi dovrà essere finanziata, i conti saltano subito. Il governo dice di aver “trovato” un miliardo e mezzo “in più”. Visto che la platea di possibili beneficiari è – secondo le stime più prudenziali – quasi di un milione e mezzo di persone, si fa presto a quantificare: 1.000 euro a testa, non si come distribuiti (300 euro al mese per 3 mesi? o 500 per due mesi? o 1.000 un atantum?). COmunque poca roba.

Se poi si prende sul serio – e lo si deve purtroppo fare . lo stesso governo quando dice di voler “mandare a regime” il nuovo sistema a partire dal 2016, eliminando tutti gli ammortizzatori sociali oggi esistenti, allora quella cifra basta per i fazzoletti di carta in cui far piangere milioni di disoccupati.

La Naspi, la nuova Aspi, secondo il progetto. dovrebbe infatti coprire tutti i lavoratori che possano vantare almeno tre mesi di contribuzione nell’ultimo anno lavorato. Se le parole hanno un senso, non la potrebbero avere tutti quegli ex lavoratori che nel 2015 prenderanno la “mobilità” per tutto l’anno (a meno che non resti fino a tutto il 2017, come era previsto addirittura dalla Fornero), oppure quelli in cassa integrazione straordinaria o in deroga. Un numero decisamente alto, milioni appunto.
Persino un esperto del ramo “fregature a chi lavora” – come Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, ex funzionario Cgil, oggi deputato pd in quota alla minoranza bersaniana – si mette a fare due conti facili facili. “Si tratta davvero di risorse in più o recuperate da un riciclo di quanto destinato alla cassa in deroga? E se fossero in più, cosa ci facciamo con un miliardo e mezzo? Poco. L’equivalente di un’indennità di 700 euro al mese lordi per un anno a 178.571 persone. Non basta”.

Secondo un calcolo appena più complicato, l’eliminazione degli attuali ammortizzatori sociali pagati soltanto dal Stato attraverso l’Inps “libererà” 4,5 miliardi (bisogna ricordare che la cig straordinaria è finanziata con trattenute pagate da lavoratori e imprese). Anche aggiungendoci il miliardo e mezzo “fresco” di Renzi, si arriva appena a 6.

Anche IlSOle24Ore (Confindustria) si mette a fare calcoli e capisce subito che non ci si arriva:

Due anni fa le prestazioni per Cig, disoccupazione e mobilità arrivarono a 12,6 miliardi e altri 11,9 vennero spesi in prestazioni per la famiglia, la malattia e l’indennità di maternità, una voce, quest’ultima, che il Jobs Act prevede di estendere a una platea di lavoratrici più ampia dell’attuale. A entrambi i numeri vanno però aggiunti i contributi figurativi, vale a dire i versamenti previdenziali previsti dalla legge e dai contratti e che quando scatta un ammortizzatore sociale sono a carico della fiscalità generale. Per gli ammortizzatori del 2012 i contributi figurativi arrivarono a 10,1 miliardi, per le prestazioni legate a famiglia, malattia e maternità a 438 milioni. I contributi figurativi non vengono considerati nel Def o nelle proiezioni della Ragioneria generale dello Stato come spesa per ammortizzatori ma come spesa pensionistica. Per questo anche l’anno prossimo non si andrà oltre l’1% del Pil con gli ammortizzatori. Nel 2012, considerando anche questo flusso di cassa, il costo vero degli ammortizzatori (compresa malattia, maternità e famiglia) è stato di 35,1 miliardi, il 12,9% in più rispetto al 2010.

Promesse e slogan renziani non reggono la prova dell’aritmetica, insomma. E se – come tutto ormai fa prevedere – non ci sarà nemmeno per il prossimo anno (e il successivo) alcuna “ripresa significativa, di quelle insomma in grado di aumentare l’occupazione, la spesa per gli ammortizzatori dovrà necessariamente o restare stabile oppure addirittura aumentare.

A meno di non aver disegnato – con la “riforma” – una coperta talmente corta da non coprire a sufficienza nessuno.

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