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La “fiducia” nella scatola vuota

Il cambio di regime si vede da queste cose, non da improbabili pattuglie di imbecilli che marciano a passo dell’oca… Il governo prepara un decreto che delega il governo stesso a cambiare totalmente il “mercato del lavoro” e chiede – si fa per dire – al Parlamento di votare la fiducia su quel decreto. Senza sapere cosa ci sarà dentro, oltre agli annunci verbali del premier, spesso smentiti qualche ora o il giorno dopo.

Una delega in bianco, insomma, per fare quel che vuole, di concerto con l’Unione Europea (che pretende la deregolamentazione del lavoro in tutto il continente), le imprese multinazionali (che dispongono di un apparato lobbistico più esteso del ceto politico e sicuramente meglio preparato sul piano tecnico), la finanza globale e Confindustria.

A voi sembra normale? AI padri pellegrini della democrazia borghese, no (a parte i tempi di guerra, in cui ovviamente le discussioni si riducono a zero). Ma la  liberal-democrazia è ormai un reperto del passato, e si avvia al museo delle cere per prendere posto di fianco al “socialismo reale”.

Regime, dunque. Non “potere di un uomo solo”, però, ma potere assoluto di una classe molto ristretta e che non si incontra per strada tutti i giorni, che ha avocato a se stessa la facoltà di disporre di un continente e affidato ad alcuni uomini di fiducia il compito di “recitare” lo spettacolo in panni solo vagamente somiglianti a quelli “democratici”.

La “fine della politica” conosciuta nel ‘900 sta in queste ore abbattendo ciò che resta del corpaccione informe chiamato “Partito Democratico”. I “nuovi barbari” stanno vincendo a mani basse su quei “riformisti cautelosi” che avevano sperato di governare trasferendo le antiche modalità “concertative” nella nuova situazione. Gente di formazione ex-Pci, per cui la tattica è tutto e le finalità nulla, disposti a trattare anche col diavolo pur di rimanere “dentro i giochi”; gente che non ha capito ancora bene che il gioco è cambiato e chi lo gestisce sa fare benissimo a meno di loro.
Che non rappresentano più nulla, socialmente parlando (come i sindacati complici, del resto), perché non sono più “terminale politico attivo” di istanze – riformiste, moderatamente, ma “popolari” – differenti da quelli delle imprese. E non sono neanche mai arrivati a esser visti come davvero “interni” al potere dominante. “Figli di un dio minore”, sentenziò una volta D’alema, parlando di se stesso e del destino di altri “post-comunisti” improvvisatisi liberal-liberisti e privatizzatori. Una del poche affermazioni sensate di “baffino”…

Questa gente non poteva e non può contrastare il “renzismo”. Il quale è affermazione piena, solare, dispotica, di un potere che capisce di non aver più bisogno della “mediazione sociale” (il welfare) e quindi neanche più di quella politica. Un potere che perciò elimina i “concertatori” dalla sala comando, riempiendola di personale “ggiòvane”, incompetente (a stabilire cosa fare ci sono “i tecnici”), già consapevole di vivere un’avventura a tempo determinato ma ben retribuita.

Chi si era illuso che i Fassina, i Civati o i Bersani-D’Alema potessero reggere lo scontro sul Jobs Act, magari tirando la corda fino al punto di rottura, minacciando o praticando la scissione del Pd, non ha capito nulla di questo nuovo mondo, né del vecchio. Sono gli stessi che vagheggiavano, l’altro pomeriggio a Santi Apostoli, un “nuovo contenitore”, ovviamente “più largo e includente”, con cui dar corpo a un progetto che non c’èe non si propongono neppure di costruire. Sono quelli che pensano unicamente alla prossima tornata elettorale, col terrore di chi sa che stavolta non ce la può fare e che il “miracolo greco” non si può ripetere. E’ stato un equivoco, è durato un attimo e per lo spessore di un pelo (lo 0,03%), Gli stessi che l’avevano accettato controvoglia l’hanno svuotato un attimo dopo. Amen.

Dalla vecchia classe politica riformista non ci si può mai attendere una resistenza, neanche minima. Specie durante i cambi di regime. Inevitabilmente si divide – è accaduto monotonamente anche questa volta – tra chi “strappa” a parole per alzare il proprio prezzo individuale e chi “media nei corridoi”, per “non restare fuori”. Poi finisce fuori lo stesso, con la faccia nel fango, come certi ubriaconi dal saloon, nei vecchi western.

La politica possibile è solo Resistenza, ormai. Fuori e contro l’arco di forze che si rimescolano continuamente e cambiano nome per candidare qualche cacicco senza futuro e senza idee.

 

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