“Il voto di oggi sulla fiducia al Jobs Act riguarda evidentemente l’articolo 18″. Con poche parole viene spazzata via tutta la discussione mistificante montata in questi mesi.
La sottolineatura proviene infatti da Palazzo Chigi, che ci tiene a vincolare i sì e i no all’oggetto più importante del “jobs act”. Che non è – a questo punto viene ammesso – “riformare il mercato del lavoro per ridare slancio alla crescita economica”, ma semplicemente eliminare le residue tutele dei lavoratori nei confronti dell’impresa.
Del resto, sedendo a “Che tempo che fa”, sulla poltrona del compiacente Fabio Fazio, Renzi era stato chiaro fino all’autolesionismo: “non voglio che tra i lavoratore e i datore di lavoro ci sia più un giudice”. Ovvero che ci sia una legge. La quale, come dovrebbe essrere scontato, “tutela il più debole”, ovvero il lavoratore.
La delega, spiegano da palazzo Chigi, attribuisce al Governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza la direzione. “Che la delega sul lavoro riguardi l’articolo 18 lo si è spiegato per mesi ovunque, persino nelle sedi di partito. Chi vota la fiducia al testo vota la fiducia al presidente del Consiglio e al Governo, che sostengono la necessità di riformare l’intero mercato del lavoro, come è esplicitato nella delega”.
Ma la delega è in bianco, obiettano i pochi che ancora credono che l’Italia sia una repubblica parlamentare. Chissenefrega, rispondo dall’anticamera di Renzi: “In quanto delega non può che avere la portata definita dal testo normato”.
“L’emendamento è pronto. Attendiamo la fine della discussione generale per presentarlo in Aula”, ha subito precisato anche la giovane sorridente, al secolo il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi.
Capito? Prima si discute, poi il governo presenta il suo “maxiemendamento” preparato in precedenza, e quindi si vota la fiducia. Tradotto: dellla discussione parlamentare non ci interessa un fico secco.
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