Cosa succede quando un organo dello Stato “forza” il codice penale estendendo a “fattispecie” non gravi una propria personalissima interpretazione della normativa pensata per coprire tutt’altro genere di fattispecie?
In genere due cose: a) un altro organo dello stesso Stato – superiore al primo – interviene per riportare la dinamica all’ordinarietà, cassando e limitando le interpretazioni “creative” (è il compito del Tribunale del riesame o in extrema ratio quello della Corte Costituzionale); b) si allarga di continuo il campo di applicazione della “interpretazione creativa”, costruendo di fatto un altro diritto.
Prendiamo il caso della ValSusa e dell’ormai famoso incendio di un volgare generatore nel cantiere di Chiomonte, un anno e mezzo fa. Per quell’atto ci sono quattro compagn in carcere con l’incredibile accusa di “terrrorismo”. Ieri la stessa procura – quella di Torino – ha esteso l’aggravante per “terrorismo” ad altri tre compagni, già in carcere dal 14 maggio 2013 e accusati per lo stesso episodio.
Un breve cenno di nota va fatto anche per gli organi di (dis)informazione padronali, che descrivono la burocratica notifica dell’atto contenente “l’aggravante” – all’interno di una cella – come “tre nuovi arresti”, quasi una nuova “operazione in grande stile” dai mirabolanti effetti.
I tre sono Lucio Alberti, 24 anni, Francesco Sala, 26 (entrambi di Milano) e Graziano Mazzarelli 23 anni, leccese. I tre erano stati fermati in macchina, la notte dell’incendio al generatore, e arrestati perché “dotati di materiale compatibile” con quello utilizzato a Chiomonte. Secondo l’accusa formulata allora, dovevano rispondere di fabbricazione e porto d’armi di armi da guerra e congegni esplosivi, danneggiamento, incendio e violenza a pubblico ufficiale.
Non poco, diciamolo. Ma senza la “finalità di terrorismo” avrebbero tra pochissimo raggiunti il limite della “scadenza termini”, e quindi sarebbero stati rimessi in libertà in attesa del processo. Con l’aggravante, invece, il limite dei “termini” viene spostato molto più in là.
Il gip di Torino, Federica Bompieri, ha infne accolto la tesi formulata dalla Digos di Torino e dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, contestando loro i reati 280 e 270 sexies: attentato per finalità terroristiche e condotte con finalità di terrorismo. Dove risiederebbe questa “finalità”? Non certo nei mezzi usati (un po’ di benzina…), né negli obiettivi (un generatore elettrico non proprio di ultima generazione). E quindi? Quel danneggiamento avrebbe leso “la democrazia” creando, anche grazie a un clima di «panico» e di «intimidazione» diffusi, «un grave danno al Paese e all’Unione europea». I tre – più i quattro già accusati di “terrorismo” – avrebbero voluto «imporre con la forza un cambio di rotta su un progetto ritenuto di rilevanza strategica». L’assalto del 14 maggio 2013 sarebbe quindi stato «un attacco alla legalità democratica della decisione stessa, relativamente a un progetto che è stato valutato di preminente interesse per il Paese e per l’Europa intera». E quindi motivato da un «chiaro tentativo di piegare le istituzioni». Non basta. Tutti gli accusati di aver partecipato all’assalto, avrebbero anche «attentato alla vita e all’incolumità» dei 14 operai che quella notte lavoravano al cantiere (da sottolineare che nessuno è rimasto coinvolto, tantomeno ferito). E, per chiudere, quel danneggiamento limitato viene descritto come un’azione «paramilitare condotta con professionalità».
Boom…
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa