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Autostrade di governo

Le cose stanno così: l’inflazione ufficiale è a zero (anzi, un poco sotto), il costo del lavoro è fermo come un sasso, quello dell’energia è calato – in sei mesi – del 50%. Logica vorrebbe che anche le teriffe di alcuni servizi fossero in calo. Per le Autostrade non è così. E il governo – in virtù di chissà quali ragionamenti o raffazzonamenti dietro le quinte – proroga di altri sei mesi le concessioni e si mostra “comprensivo” verso la puntuale richiesta di aumento dei pedaggi.

Ragioni economiche, come detto, non ce ne sono. Di politiche non ne vengono adombrate pubblicamente. Restano poche ipotesi, e tutte da denuncia penale per i giornalisti che osassero avanzarle.

È appena il caso di ricordare che il presidente dell’Aiscat, associazione dei concessionari privati delle autostrade costruite con i soldi pubblici, si chiama Fabrizio Palenzona, è contemporaneamente anche vicepresidente di Unicredit (la prima banca italiana), nonché ex presidente della Provincia di Alessandria, teoricamente in quota Margherita (se qualcuno ricorda il fantasma di partitino rutellinìan-gentiloniano, poi confluito nel Pd per prenderne la proprietà innalzando Renzi).

Una colpa? No, certamente. Soltanto una lunga serie di fortunate coincidenze che rendono l’assai elitaria lobby dei concessionari autostradali (Benetton, Toto, Gavio, ecc) proprietaria degli argomenti che aprono il cuore dei governi da quando Massimo D’Alema premier decise che il monopolio statale sulle autostrade andava finalmente regalato ai “privati” in nome ovviamente della “libera concorrenza”. E’ una contraddizione in termini? Scusate, ma da quando in qua la politica di palazzo segue gli schemi della logica?

Un ingenuo si potrebbe domandare come mai Matteo Renzi il rottamatore non abbia avuto l’idea di “cambiare verso” sul tema. La lista delle poltrone occupate dai concessionari potrebbe essere una valida spiegazione.

Il decreto Milleproroghe approvato dal consiglio dei ministri la sera del 24 dicembre ha però già concesso qualcosa in più rispetto al solito, prima ancora di pronunciarsi sulla sostanziosa quanto consueta richiesta di aumentare i pedaggi. I sei mesi in più di concessione, infatti, sono quelli necessari – e chiesti dagli interessati – per presentare un piano di “integrazione” tra le diverse tratte (gestite da concessionari diversi), facilitata altresì da un’apposita norma del decreto “sblocca Italia” che prevede la possibilità di prorogare all’infinito – automaticamente e senza gara – le concessioni stesse. Basta “promettere” nuovi investimenti e il gioco è fatto. Chi di voi non li prometterebbe?

Naturalmente il 31 dicembre era una data troppo vicina per avere il tempo di mettere a punto dei piani finanziari credibili e quindi la “proroga” che prepara la concessione eterna era quasi scontata. Chi avrebbe avuto qualcosa da ridire su un’operazione che sembra disegnata apposta sulle Autovie Venete, l’Autobrennero e il gruppo Gavio – ma con il nulla osta di tutti gli altri gruppi teoricamente “concorrenti”, che si accontenteranno comunque dell’aumento dei pedaggi – era l’ineffabile Unione Europea. Che però difficilmente boccerà il suo omino di Pontassieve per un’infrazione così lieve (rapportata a quanto sta distruggendo grazie al jobs act).

Si potrà dire che non è la prima volta che i concessionari si vedono regalare qualcosa di consistente. Già nel 2011, un Mario Monti da pochi giorni a palazzo Chigi si mostrò molto sollecito nel posporre il potere dell’authority dei trasporti a decidere in materia di pedaggi, lasciandola “temporaneamente” al goveno (che immancabilmente diceva sì) e facendola decorrere a partire dalle “concessioni future”. Che non ci saranno mai, se gli “automatismi” diverranno legge.

Malizia di vecchi comunisti? Giudicate voi. In quindici anni, dal ’99 ad oggi, in presenza di un tasso di inflazione cumulato che supera di poco il 30%, le tariffe autostradali sono aumentate del 65. Ognuno può farsi il calcolo sulla propria busta paga per sapere quanto siano aumentati invece, nello steso periodo, i salari dei lavoratori dipendenti.

Miracoli della concorrenza, no?

 

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