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Basta un Colle, e Lassie torna a casa

Se dobbiamo dar retta alle dichiarazioni ufficiali, il “patto del Nazareno” si sarebbe rotto, ridotto, azzoppato, sepolto. La corsa al Quirinale, con Sergio Mattarella candidato ufficiale (ma solo dalla quarta votazione), avrebbe dunque segnato la fine dell’asse privilegiato che ha fin qui retto l’attacco portato a Renzi alla Costituzione materiale (col jobs act, la delegittimazione del sindacato, ecc) e formale (lo svuotamento del Senato, la riforma elettorale super-porcellum, il premierato assolutista che ne deriva, ecc).

Qualche perplessità davanti a questa notizia ci sembra inevitabile. Non stiamo parlando di uno dei tanti accordicchi di giornata che costellano la politica di palazzo, ma appunto dell’unica maggioranza vera esistente in Parlamento, per quanto articolata tra una maggioranza di governo ufficiale (col solo Alfano e frattaglie varie) e una “per le riforme”. Sappiamo tutti che, di fronte ai passaggi più rischiosi, la seconda ha fatto tranquillamente da argine ai possibili inciampi di un premier specializzato nel farsi nemici.

Ora l’incanto si sarebbe rotto intorno al nome di un vecchio democristiano silenzioso, peraltro uno dei pochi che abbia almeno una volta dimostrato concretamente – dimettendosi da ministro, oltre 20 anni fa – di non esser disposto a mettere le istituzioni al servizio del Caimano. Difficile dunque, a prima vista, affermare che sarà lui il presidente della Repubblica che cancella con la grazia l’incandidabilità di Berlusconi in conseguenza di una sentenza definitiva. Ma mai dire mai, con i democristiani… Sarebbe anche nella posizione dell’insospettabile che prende una decisione “sofferta” per “puro scrupolo”, per “l’interesse della patria in un momento difficile” e via formulando frasi ad hoc.

Le cronache a là Repubblica ci raccontano insomma di un Renzi che si sarebbe improvvisamente liberato dai vincoli di reciproca convenienza con l’uomo di Mediaset, mettendolo all’angolo o rifilandogli un’inattesa fregatura.

Nulla ci viene detto sulle ragioni della rottura tra i due mentitori seriali. Ma, appunto, ci dobbiamo ricordare che si tratta di due professionisti dell’inganno.

Non ci siamo mai appassionati per i toni alla Dinasty con cui ci viene racontata la politica di palazzo. E consigliamo sempre di non credere a quanto ci viene sventolato sotto il naso. Sappiamo bene, infatti, che siamo noi del “mondo di sotto” il torello da far fesso.

In attesa di sviluppi che non possiamo prevedere (la scelta di un singolo uomo che faccia da garante davanti all’Unione Europea, e da “buon padre premuroso” agli occhi del popolino, ha troppe variabili casuali per poter esser calcolata da chi, come noi, è fuori dai giochi), possiamo constatare che “la svolta” renziana ha cancellato in pochi minuti ogni minaccia di scissione del Pd, azzerato l’entusiamo dei vendoliani per il “terremoto Tsipras”, ricondotto all’ovile un branco sparso di personaggi che da mesi storcevano il naso nel ritrovarsi – dopo un quarto di secolo buttato a far girotondi e “agende rosse” – “guidati da Verdini”. Ossia nelle mani della più recente evoluzione della P2 o come si chiama adesso.

Se qualcuno si stupisce della rapidità di questa conversione – neanche quattro giorni sono passati dai festeggiamenti sotto il palco di Atene, dai toni hollywoodiani di “the human factor”, ai sorrisetti compiaciuti per essere di nuovo “dentro i giochi” diRoma – non ha ancora capito con chi ha a che fare. E neanche la differenza tra questi rottami della ex “sinistra radicale” e quanto sta avvenendo in Grecia e in Spagna.

Negli altri due paesi mediterranei è cresciuto un movimento di rifiuto delle politiche della Troika capace di unificare nel merito soggetti sociali, sindacali, frammenti politici. Un movimento che ha fatto della rottura con i socialdemocratici storici (Pasok in Grecia, Pse in Spagna) il passaggio indispensabile per unire la resistenza sociale all’austerità. In nessuna elezione Syriza o Podemos si sono presentati insieme agli equivalenti italiani del Pd (e non importa se in versione bersaniana o renziana; i governi Prodi-D’AlemaBersani-Treu hanno provocato disastri sociali incalcolabili, hanno preparato la strada all’attacco finale ora condotto da Renzi). Non sarebbero mai diventati terminali credibili dell’incazzatura popolare se avessero “amministrato” le politiche lacrime-e-sangue insieme ai fedelissimi di Bruxelles.

L’esatto contrario di quanto è avvenuto in Italia, con Sel e Rifondazione e Pdci sempre in anticamera del Pd a pietire un accordo elettoralistico che garantisse loro qualche poltrona e un po’ di finanziamento pubblico. Renzi li aveva infine cacciati dalla porta, obbligandoli ad atteggiarsi da “oppositori”.

Abbiamo definito sia Syryza che Podemos movimenti “riformisti dei bisogni”, ovvero espressione di strati sociali che sentono sulla propria pelle il bisogno immediato di un’altra politica economica, pur non avendo – o rifiutando esplicitamente – una qualsiasi visione complessiva della trasformazione sociale. Ma questo livello di coscienza politica è stato prodotto dalla realtà della crisi, non dalla decadenza di vecchie visioni socialdemocratiche e/o riformiste. Fossimo in Sudamerica, insomma, farebbero probabilmente parte dell’arco di forze che collaborano nel dar vita all’Alba, quel “mercato comune solidale” e senza moneta unica che si è affrancato dall’egemonia statunitense e prova ad allentare la stretta del capitale multinazionale.

Movimenti non comunisti né rivoluzionari, insomma, ma espressione conflittuale – spesso anche confusa e confusionaria – di una necessità di rottura col presente del capitalismo in crisi. Non però deprimenti “contenitori” pensati per aggregare caporali senza esercito, abituati a svendere il programma politico-sociale con qualche poltrona individuale (Bertinotti, in questo mestiere, ha fatto davvero scuola, imprintando un’intera leva di “dirigenti della sinistra”).

Dai movimenti reali c’è sempre qualcosa da imparare, pezzi di strada da sperimentare, battaglie comuni da fare. Dalla corte dei miracoli fuori alla porta di Renzi o Bersani, invece, non c’è che da pretendere una cosa: sparite.

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