Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, è ovvio e sicuramente giusto. Quando però i figli diventano più “importanti” dei padri, e risultano collegati ai loro affari (prima della “discesa in politica” o magari anche dopo), diventa complicato mettersi lì a dire che una cosa non c’entra con l’altra.
Era accaduto già con il padre di Matteo Renzi, il signor Tiziano, indagato dalla procura di Genova per bancarotta fraudolenta della società Chil, la classica azienda di famiglia in cui aveva lavorato anche il futuro premier. Società di distribuzione dei giornali, soprattutto di quel “Giornale della Toscana” diventato famoso in tutta Italia per essere un inserto del “Giornale” di Feltri-Belpietro (in diversi periodi) e soprattutto per il suo proprietario: Denis Verdini, factotum berlusconiano considerato ricco di frequentazioni massoniche (dalla P2 alla P4, a dare retta alle cronache).
Accade di nuovo con il papà del ministro addetto alla demolizione della Costituzione nata dalla Resistenza, la specialista in sorrisi innocenti Maria Elena Boschi, anche lei casualmente tosca, di Montevarchi. La Banca d’Italia ha commissariato la Banca popolare dell’Etruria e del Lazio (Bpel), il cui vicepresidente era fino a ieri il dr. Pierluigi Boschi.
La parentela non sarebbe neanche interessante se la Bpel non avesse deciso, nello scorso agosto, di trasformarsi da “banca popolare” (dove azionista conta un voto, indipendentemente dal numero di quote possedute) in “società per azioni” (dove si vota con peso proporzionale alle azioni). E soprattutto se l’dentica trasformazione non fosse stata annunciata – il 20 gennaio scorso – dallo stesso presidente del Consiglio come misura obbligata per tutte le altre.
Un cambiamento “strutturale” assai gradito ai mercati finanziari (queste banche dventeranno “scalabili”, quind possono essere pggetto di speculazione forsennata come le altre), tanto da tradursi in guadagni di borsa molto consistenti per tutti gli azionisti.
Fino al 60% in più, nel caso della Bpel (davvero “innovativa”, al punto di anticipare di qualche mese una decisione governativa), di cui il ministro detiene – pare – una quota pressoché insignificante. Il padre ne ha ovviamente molte di più, visto il ruolo che ricopriva.
Il motivo del commissariamento da parte di Bankitalia è però, ovviamente, un altro: “Gravi perdite del patrimonio, dovute alle consistenti rettifiche sul portafoglio crediti”. Insomma: perdite gravi. Gli “accertamenti ispettivi” tuttora in corso hanno accertato una marea di “affidamenti e prestiti”elargiti con molta generosità ma che ora sono diventati “crediti in sofferenza”, ovvero prestiti che non tornano indietro.
“E’ la crisi”, si potrebbe pensare. In fondo, ad Arezzo, chiamano la Bpel la “banca degli orafi”. Facie immaginare tanti prestiti a piccole e medie imprese rovinate poi da un mercato in caduta libera.
No. La Banca d’Italia ga accertato che questi prestiti “sofferenti”, per singoli importi sempre “notevoli”, erano stati concessi di preferenza a un giro molto ristretto di clienti privilegiati. Ai “soliti noti”, si potrebbe dire senza tema di sbagliare. Nomi non ne girano, per ora; ma basta essere pazienti…
In compenso, nei giorni scorsi, la stessa dirigenza della Bpel aveva annucniato – per “rimettere a posto i conti” – almeno 410 licenziamenti (con tutti gli ammortizzatori sociali, per carità…). Poi è arrivata via Nazionale a chiarire le ragioni dei buchi nei conti: non un eccesso di personale, ma un eccesso di favori personali…
La ministra contro la Costituzione ha provato a tirarsi fuori dall’impiccio… con un tweet: “Smetteranno di dire che ci sono privilegi? Dura lex, sed lex”. Come dire: visto che anche un padre di ministro può essere indagato? Come siamo egualitari, noi… La nostra domanda è invece opposta: quale curriculum poteva vantare la signorina Boschi – 33 anni – al momento della nomina? Così, per indicare a tanti giovani precari un esempio positivo, una strada da seguire per mettere a frutto il merito…
Naturalmente è solo una sgradevole coincidenza. Ma antiche inchieste della magistratura stabilirono che Banca Etruria era stata per il versamento delle quote di iscrizione alla P2.
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