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Il prezzo e i finti risparmi delle mega-fusioni Asl

Chi ha a che fare con la sanità pubblica – se possiede un minimo di cervello – si rende subito conto di esser capitato in un baraccone che nessuno governa davvero (tradotto:  si preoccupa di gestire al meglio le risorse a disposizione) e che funziona soltanto per il “senso di missione” che anima il personale dipendente, dai medici agli infermieri, ai portantini. Come dappertutto ci sono anche i posapiano e i menefreghisti, ovviamente, ma se l’insieme ancora funziona, salvando un numero di vite enormemente più alto degli strombazzatissimi episodi di “malasanità” (qualche decina l’anno, comunque troppi, ma vengono usati per rovesciare la realtà quotidiana), lo si deve a chi fa questo lavoro.

Ma il comandamento della Troika è “tagliare la spesa pubblica”. Non sapendo dove mettere le mani, gli incompetenti al governo (tutti i governi degli ultimi venti anni) procedono a tentoni, con “pensate” che in genere si limitano a recepire le indicazioni di manager provenienti da tutt’altri settori. E che in genere non capiscono davvero un tubo di sanità.

L’idea principale, fin qui, “per risparmiare”, è stata quella di diminuire il numero di Asl e di aziende ospedaliere, mediante fusioni o chiusure. In questo modo si va – a dispetto di un servizio sociale che dovrebbe adattarsi alle diverse realtà territoriali (con popolazioni di età media anche molto differente e quindi con percentuali di patologie non uniformi) – verso un modelllo ultra-centralizzato, fondato su poche grandissime “aziende”, dove la complessità sparisce a favore di una “semplificazione” che esiste solo sulla carta.

Difficile impegnarsi, come piccola redazione, in una inchiesta delle dimensioni che sarebbero necessarie. Ma possiamo sempre segnalarvi le denunce che arrivano da operatori attenti e competenti, addirittura senza alcuna “connotazione politica” e per questo forse, come in questo caso, ancora più illuminanti.

Quello che segue è un articolo che riprende una relazione del direttore del Flaso (Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere), pubblicato su http://www.panoramasanita.it/.

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“Una dimensione ideale dell’Azienda sanitaria, valida sempre e ovunque, non esiste. Ma è difficile immaginare che le mega-Aziende che stanno nascendo con gli accorpamenti siano il modello ottimale per gestire un sistema complesso come l’offerta sanitaria. Si potrebbe pensare di risparmiare sugli stipendi dei vertici, ma i dati ci dicono che dopo le le fusioni rischiamo di spendere addirittura di più”.

È quanto afferma il direttore Fiaso Nicola Pinelli in un suo intervento sulla Newsletter della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere N° 1, Gennaio-Febbraio 2015.

“Le Aziende sanitarie e ospedaliere” spiega Pinelli “sono organizzazioni complesse, come emerge dall’analisi di alcuni indicatori: il 35% dei loro dipendenti, ovvero circa 240mila professionisti su un totale di 683mila, è laureato, una proporzione riscontrabile in poche realtà del settore privato, mentre il fatturato medio, già prima degli ultimi accorpamenti, si aggirava intorno agli 800 milioni di euro. Un volume produttivo a cui corrispondono, sempre nel privato, retribuzioni del management più che doppie rispetto a quelle delle Asl e delle Ao, che sono però organizzazioni in evoluzione tecnologica e clinica continue, in cui l’attività programmatoria è particolarmente difficile, e finalizzate alla produzione di un bene pregiato e complesso come la salute. Questa complessità che non può essere efficacemente governata ampliando a dismisura la dimensione delle Aziende. Nel 1995 il numero complessivo di Asl e Ao era di 347 e, ancora nel 2001, di 311: 183 Asl e 95 AO. Questo dato si è progressivamente ridotto, fino ad arrivare alle 248 del 2013: ciò significa che un quarto delle Aziende sono state riassorbite in altre, con un -29% di Asl e un -20% di Aziende ospedaliere totali.

Negli ultimi anni, se non mesi, i processi di accorpamento hanno subito una nuova accelerazione, spesso motivata dall’esigenza di conseguire risparmi e di fare cassa. Nonostante l’assenza di qualunque indicatore economico o di studi scientifici che dimostrassero l’esistenza di una correlazione tra grande dimensione e ottimizzazione della spesa. Mega-aggregazioni sono state progettate o messe in atto in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Friuli, Sardegna e Toscana, con la nascita di Aziende dal perimetro sovradimensionato. La neonata Ausl della Romagna, ad esempio” prosegue Pinelli, “conta una popolazione di un milione e 105mila assistiti e un valore di produzione di 2 miliardi e 406 milioni di euro. In Toscana la mega-azienda Nord-Ovest si assesterebbe su cifre simili, mentre la Asl Centro servirebbe una popolazione di un milione e 589mila assistiti con un valore della produzione pari a 2 miliardi e 890milioni, numeri a cui si avvicinerebbe anche l’Azienda Sud-Est.

Aziende di queste dimensioni dovranno continuare a garantire la gestione della complessità e della qualità aziendale, accountability, trasparenza e legalità, nonostante mega-bilanci sempre più difficili da interpretare. Dovranno inoltre essere in grado di mantenere vivo quel senso di identità e appartenenza fondamentali per motivare i professionisti e migliorare il clima organizzativo che, come dimostrato anche da alcuni studi della nostra Federazione, influenza la produttività in modo rilevante. Una dimensione ideale dell’Azienda sanitaria, valida sempre e ovunque, non esiste.

Ma è difficile immaginare di ottemperare a tanti e tali compiti con la gestione di bilanci plurimiliardari e un’utenza di un milione e mezzo di assistiti. A meno che gli accorpamenti non si riducano a una mera operazione di riduzione dei costi del management. Ma non solo la tenuta finanziaria non passa per qualche stipendio in meno, ma la riduzione di posizioni apicali nelle Aziende sanitarie non produrrebbe alcun risparmio. In Toscana, ad esempio, tutti i Direttori generali sono in aspettativa da altri incarichi pubblici e il 75% di loro sono dirigenti di struttura complessa. Lasciando la direzione della Asl tornerebbero ai loro incarichi, guadagnando lo stesso o, nella maggior parte dei casi, più di quanto percepiscano ora.

“Lo stesso discorso” conclude il Direttore Fiaso “vale per i Direttori sanitari, il 91% dei quali dirigenti di prima fascia, mentre tre Direttori amministrativi su quattro tornerebbero alle dipendenze di un altro ente pubblico, nel 33% dei casi con il ruolo di dirigente di struttura complessa. Non ci sarebbe dunque nessun guadagno per le casse pubbliche, ma solo un tentativo, dal sapore demagogico, di mascherare i veri problemi della sanità pubblica italiana, a partire dall’ennesimo taglio di due miliardi di euro che sta rendendo sempre più difficile l’impegno delle Aziende, che continuano a “fare meglio con meno””.

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