Non c’è niente da fare, i fatti hanno la testa dura. Ricordato i “79.000 nuovi posti di lavoro” annuniati da Tito Boeri e subito dopo da Renzi come effetto del jobs act? Tutto falso, dissero in tanti – noi compresi – a quella notizia. In realtà non si trattava di assunzioni, ma di semplici richieste di informazioni dettagliate da parte delle aziende, che volevano capire quali vantaggi avrebbero avuto se avessero assunto qualcuno con il nuovo “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” (ovvero a tutele zero).
E il jobs act non c’entrava nulla, perché le richieste erano arrivate tra gennaio e febbraio, quando il jobs act non era ancora operativo, mentre lo erano già gli sgravi fiscali e contributivi concessi alle imprese con la legge di stabilità. Propaganda pura, assist fornito dal neopresidente dell’Inps, fresco di nomina e animatore di punto del think tank economico “Lavoce.info”, pensatoio renziano ante litteram (liberisti puri, ma con briciolo di puzza sotto il naso e smorfia di disgusto per quei brutaloni di destra stile Brunetta et similia).
La smentita è ufficiale ed ha del clamoroso, perché arriva direttamente dall’Inps; quin, idirettamente, dallo stesso Boeri (più probabilmente, non controlla ancora del tutto l’organismo che presiede). Ll’Osservatorio sul precariato dell’Inps, infatti, ha reso noti ieri i dati elaborati in base alle modificazioni occupazionali dei primi due mesi dell’anno. Il saldo finale è zero. Ovvero: non c’è un solo posto di lavoro in più rispetto a dicembre. Ovvero ancora: gli sgravi contributivi – elevatissimi – concessi dal governo non hanno convinto una sola impresa a fare una sola assunzione in più.
Ma un effetto lo hanno avuto: hanno reso talmente vantaggiosa l’assunzione con contratto “a tutele crescenti” che molti rapporti di lavoro precario (a termine, in primo luogo) sono stati trasformati dalle aziende in contratti “stabili”. Non è difficile capire perché. Senza articolo 18, cancellato dal jobs act, è diventato molto semplice licenziare un dipendente che no si comporta come il padrone dipende (per esempio: sciopera). Come se fosse un precario, dunque. In più, gli sgravi raggiungono cifre davvero considerevoli (anche 7-8.000 euro l’anno), e dunque vale la pena di riassumere le stesse persone – o altre, per sostituirle – con il nuovo contratto made in Ichino (Pietro).
A gennaio e a febbraio, spiega l’Osservatorio, i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono aumentati del 20,7%a confronto con gli stessi mesi del 2014. Di conseguenza, è salita anche la percentuale di lavoro “stabile” (dal 37,1% al 41,6%). In cifra assoluta, sono stati attivati 307.582 contratti a tempo indeterminato, mentre sono state 78.287 le trasformazioni di contratti a termine. Sull’altro piatto della bilancia, diminuiscono i contratti a termine (-7%) e in apprendistato (-11,3%).Il totale è quasi imbarazzante: i nuovi rapporti di lavoro attivati nei primi due mesi del 2015 sono stati 968.883, solo 13 in più rispetto ai 968.870 dei primi due mesi del 2014. Vedremo se Renzi salterà su a rivendicare questi tredici posti in più dopo un anno di massacro dei diritti del lavoro…
Una dimostrazione postuma, a consuntivo (quindi inconfutabile) che le forme contrattuali precarie servivano soltanto ad abbassare i salari e rendere ricattabile la forza lavoro. Una volta raggiunto il pieno controllo padronale su queste due variabili – livello del salario e della conflittualità potenziale – si può benissimo assumere col contratto “stabile”. Che garantisce qualcosa in più anche al lavoratore(ferie e malattia, ma con molta moderazione, sennò ti licenziano subito) e moltissimo al datore di lavoro (i super-sgravi ricordati prima), senza peraltro vincolarlo al mantenimento nel tempo del rapporto di lavoro.
La tabella riassuntiva dell’Osservatorio:
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