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Richiesta d’arresto per Azzollini (Ncd), una mina per Renzi

Il governo della precarietà universale – per chi lavora – si scopre precario. E non gli piace affatto.

L’ultima grana è la richiesta di arresto della Procura di Trani per il senatore Antonio Azzollini, vecchio esponente berlusconiano passato con Alfano pur di restare in area governativa e far pesare il suo voto in una situazione – al Senato – dove la maggioranza è risicata. Azzollini è indagato per il crac della Divina Provvidenza (anche la scelta dei nomi per le società rivela un immaginario da presa per i fondelli), una catena di case di cura mandate in bancarotta per totale di 500 milioni euro. Sai quanti esodati della Fornero ci potevi sistemare…

L’inchiesta ha portato per ora all’arresto di dieci persone, comprese due suore (garanti per la provvidenza celeste?), con l’accusa di associazione a delinquere a fini di bancarotta fraudolenta. Manca solo l’arresto di Azzollini, appunto, per il quale sono stati comunque richiesti gli arresti domiciliari, senza passaggio per le patrie galere (mica è un pericoloso valsusino, lui…). Tra gli indagati a piede libero c’è anche un altro deputato, purtroppo per il Pd eletto grazie al Pd, il  il deputato Raffaele Di Gioia (Psi-Gruppo misto).

Gli altri arrestati sono invece un ex direttore generale, amministratori di fatto, consulenti e dipendenti dell’Ente.

Il presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Dario Stefano (Sel), ha convocato per oggi alle 14 l’ufficio di presidenza per calendarizzare la richiesta, che  ha deciso di esaminare la richiesta martedì 16 giugno alle ore 20. Inevitabile dover decidere in fretta, perché il governo sta venendo in questi giorni preso in una tenaglia puzzolente, tra gli sviluppi di Mafia Capitale e altre inchieste minori, e le opposizioni – quella vera del Movimento 5 Stelle, quelle finte della destra smandrappata – non mancheranno di cogliere l’occasione per alzare i toni.

Ma la rogna per Renzi è maledettamente insidiosa. Al Senato i numeri sono ballerini e risicati, per la sua maggioranza. E anche un solo voto in meno può diventare determinante. Se dicono sì all’arresto si espongono al rischio numerico, se dicono no si danno la zappa sui piedi politicamente, incrementando la fuga degli iscritti e soprattutto quella del consenso sociale residuo.

La situazione è complicata dal valzer continuo dei cambiamenti di schieramento. Pochi giorni fa gli esponenti di Gal (ciò che restava del vecchio gruppo di parlamentari guidati da Mario Monti) si erano sfilati dalla maggioranza di governo, anche se soltanto alcuni (gli altri avevano preferito mantenere le poltrone da sottosegretario). Restano importanti in Commissione Affari Costituzionali, ma anche in altre commissioni la maggioranza non è tale, tra fuoriusciti dal Pd, da Forza Italia e dall’Ncd alfaniano.

Quest’ultima formazione è ormai una tela strappata, dove ognuno lavora per il proprio futuro (chi verso la Lega, chi verso il post-berlusconismo). E dove bisognerà vedere fino a che punto sarà tollerabile la pressione dello scandalo Mafia Capitale, che ha coinvolto Giuseppe Castiglione – l’uomo di Alfano in Sicilia, unico insediamento territoriale serio dell’Ncd – per le vicende del Cara di Mineo, hub della distribuzione dei migranti in tutta Italia.

Tanto più che lo stesso Azzollini è, eufemisticamente, una vera mina vagante. L’anno scorso, in occasione di un’altra richiesta di indagine da parte della magistratura, tenne sospeso il parere su Italicum e Jobs Act fin quando la Giunta non si pronunciò a suo favore. Ora potrebbe fare agevolmente il bis con il decreto sulla scuola o le altre riforme ora al Senato.

Il precedente più famoso è quelo di Clamente Mastella, che nel 2008 rimase coinvolto in un’inchiesta giudiziaria assieme alla moglie e, non ottenendo solidarietà dal governo, votò contro la fiducia chiesta da Prodi, risultando determnante per la sua caduta.

Sarebbe divertente che il “rottamatore”, dopo aver avuto successo nel rendere totalmente “liquido” il Parlamento, seguisse la stessa strada, affogandovi. Ma cercherà di non farlo, rischiando magari un poco ma riaprendo subito le “iscrizioni” alla maggioranza (in fondo, non fu D’Alema a regalare un posto di sottosegretario al “fascistissimo” Misserville pur di varare il suo governo?).

E infatti: “Mi pare abbastanza evidente. Credo che di fronte a una richiesta del genere si debbano valutare le carte ma mi pare che sia inevitabile votare a favore dell’arresto”. Così il presidente del Pd Matteo Orfini ha risposto alle domande su “che farà il Pd?”

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La “classe e lo stile” del personaggio sono sufficientemente resi chiari dall’ordinanza dei giudici, specie nella parte in cui minaccia le suore. Dall’Agenzia Ansa apprendiamo infatti:

“Da oggi comando io. Se no, vi piscio in bocca”. Nel luglio del 2009 il presidente della Commissione bilancio del Senato Antonio Azzollini irruppe nella sede della Casa della Divina Provvidenza e si rivolse in questi termini alle suore: da quel momento divenne il “capo” indiscusso dell’associazione che ha portato al “saccheggio” delle casse dell’Ente. Trasformando la Congregazione in un “vero e proprio feudo” oggetto di “dominio incontrastato” esercitato, ancora oggi, attraverso uomini di fiducia. Sono accuse pesanti quelle che il Gip di Trani rivolge al senatore Ncd, tanto da richiederne l’arresto alla Giunta per le immunità del Senato. Associazione a delinquere e induzione indebita a dare o promettere utilità sono i reati ipotizzati nei suoi confronti dal giudice che lo ritiene autore di un “colpo di stato” attraverso il quale è stata messa in piedi una “gestione parallela e occulta” della Congregazione: è il “capo indiscusso e indiscutibile dell’associazione a delinquere che imperversa sulla Casa della Divina Provvidenza da almeno cinque anni”. Il suo controllo inizia proprio in quel luglio 2009, quando fa irruzione nella sede della Divina Provvidenza a Bisceglie.

L’episodio lo racconta ai pm Attilio Lo Gatto, dipendente di una delle ditte che lavoravano con la Congregazione e che quel giorno era presente. “Belsito (uomo di fiducia di Azzollini, ndr) si intrometteva in tutte le cose che accadevano e imponeva ciò che il senatore Azzollini gli diceva di fare – ha messo a verbale l’uomo – posso usare le parole che ho sentito…io ho sentito il senatore dire queste parole: ‘da oggi in poi comando io, se no, vi p… in bocca’. Io ero nella stanza di mio padre e Azzollini è andato dentro la direzione generale e, gridando ha detto queste parole”. Il senatore, però, nega. “Mai pronunciate frasi di questo tipo, ci mancherebbe altro”. Quel che è certo, per la procura di Trani, è che da quel momento le cose cambiano. Azzollini affida il controllo a tre ‘fedelissimi’: prima a Angelo Belsito e Rocco Di Terlizzi, poi, dal luglio 2013 a Giuseppe Domenico De Bari. “Il gruppo di potere – scrive il Gip – ha imposto le decisioni relative ai più importanti atti della congregazione. L’istituto diventa dunque una merce di scambio per ottenere favori di varia natura e un fertile humus per interessi illeciti a tutti i livelli della società, dal mondo della sanità a quello dell’imprenditoria, dal mondo politico a quello religioso”.

Sono quindi il senatore e i suoi uomini che si occupano ad esempio di chi deve essere assunto. Lo racconta ai pm un ex dirigente dell’Ente. “Hanno fatto assunzioni selvagge…dal 2007 al 2010-11 hanno assunto circa 260 persone…non si erano limitati a un numero, diciamo così, che poteva essere accettabile”. Ma non solo. Azzollini e gli altri scelgono i fornitori, compiono “epurazioni per compiacere i politici”, dettano linee strategiche e impartiscono ordini, gestiscono i rapporti con le banche. E selezionano il personale da tagliare: “quello vuole vedere i cazzi dei nomi, sempre…” dice al telefono il direttore generale Dario Rizzi all’avvocato Battiante, che risponde in modo chiarissimo. “Cercate di evitare i molfettesi, solo questo ha chiesto”. Niente di tutto questo è stato fatto per salvare la Divina Provvidenza. “Azzollini non ha operato quale benefattore, bensì esclusivamente per mantenere in vita un Ente che per lui costituiva un importante fucina di consenso politico-personale”.

Assunzioni e favori in cambio di voti, dunque. Ed è sempre questo il motivo che lo spinge a promuovere provvedimenti “ritagliati” ad hoc per la Congregazione, come la proroga della sospensione degli oneri fiscali e previdenziali. Il suo ‘potere occulto’, stando alle accuse, non si è ancora esaurito. Perché il presidente della Commissione Bilancio starebbe “orchestrando manovre”, scrive il Gip, per “affiancare” al commissario straordinario nominato dal Mise altri due soggetti “di suo gradimento”. E perché “continua ad operare sulla gestione dell’ente, conservando immutato il proprio incisivo e penetrante controllo su tutte le decisioni”. Ecco perché , secondo i giudici, deve essere arrestato.

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