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La miseria della dissidenza Pd

Corradino Mineo, nato con la rivista Praxis, nel giro de ilmanifesto per qualche anno, poi approdato a Rai fino a diventare direttore delle News24, quindi senatore in quota Pd, dissidente su tutto con Renzi, ha rischiato ieri di prendere schiaffi a pochi passi da Palazzo Madama. Gli insegnanti e gli Ata che manifestavano contro la “buona scuola” – in quel momento al vaglio del voto di fiducia nell’aula del Senato – proprio non sono riusciti a condividere il bizantinismo politico per cui si può non essere d’accordo su nulla e astenersi, invece che, come logica coerenza e dignità vorrebbero, votare contro.

Non è successo nulla, grazie anche all’intervento di Piero Bernocchi, sempiterno leader dei Cobas della scuola. Ma la contrapposizione a brutto muso è sicuramente servita a chiarire che la cosiddetta “sinistra Pd” non ha alcuna credibilità al di fuori dei diretti interessati.

E’ finita l’epoca in cui ognuno poteva stare un po’ più a sinistra di qualcun altro, in una specie di catena di Sant’Antonio che legava tutti insieme democristiani di lungo corso ed esponenti dell’ex Pci, socialisti sopravvissuti a Tangentopoli e ex sessantottini imbiancati. In quell’epoca ognuno poteva farsi portatore di interessi concreti ma limitati, contrattare dentro le alleanze parlamentari un tot per cento di soddisfacimento di quegli interessi, da cui trarre voti personalizzati alle elezioni successive e prolungare così una carriera politico-istituzionale incentrata sul concetto di utilità (per alcuni gruppi sociali, ma soprattutto per i singoli parlamentari).

In quel mondo c’era abbondante spazio per una lunga e arzigogolata serie di scambi (io voto la cosa che interessa a te purché tu mi voti quella che interessa a me, votiamo contro la proposta di quelli e a favore di quegli altri, così che poi al prossimo giro forse ci ricambiano il favore, ecc).

Qualche piccolo spazio clientelare è rimasto, ma ormai su quelli c’è la concorrenza diretta di alcune mafie, capitali o meno che siano.

Il problema è chiaro da anni: la politica economica e il taglio delle “riforme strutturali” viene deciso dalla Troika (chiedere ad Alexis Tsipras per conferma), e a chi siede nei parlamenti nazionali resta solo una scelta: votare a favore o contro. Rischiando il proprio futuro seggio. Lo “stile” renziano è una conseguenza diretta del fatto che “certe cose” devno essere fatte rapidamente, senza mediazioni vere, senza scambi lungi o corto miranti.

Perciò anche quel modo di “far politica” da sinistra Pd – perfettamente ugiale a quello praticato a lungo dalla Rifondazione bertinottiana – è diventato letteralmente impossibile. Oltre che distruttivo per la “cultura politica” della sinistra, anche solo “riformista”.

Ma non sembrano averlo ancora capito, né i Mineo e i Cuperlo, né la pletora di “sinistri radicali” – rifondaroli e non, a livello locale – che alle ultime regionali hanno dato vita a liste collegate al Pd pur dichiarandosi contro tutte le singole scelte fatte dal Pd.

Ma gli strati sociali non ci stanno più. E te lo dicono in faccia.

Se poi si scopre, come si può fare oggi, che il voto di fiducia sulla riforma della scuola verrà “compensato” da Renzi con qualche modifica all’abolizione del Senato, tale da garantire qualche poltrona anche chi si presenterà in “listini” collegati a quello del premier, beh… Forse è meglio che da quei palazzi usciate da una porta sotterranea, via catacomba.

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