Che il Comune, anzi la Città Metropolitana di Roma Capitale abbia i suoi guai è ormai cronaca di tutti i giorni. Per le strade e i circoli che contano di Milano, la “capitale economica”, è diventato frequente ascoltare battute dal sapore antico sulla diversità tra le due grandi città. Roma è alle prese con l’inchiesta sulla corruzione e le infiltrazioni mafiose dentro i suoi uffici, tra i consiglieri comunali e qualche incaricato della giunta Marino. A Milano in questi anni le inchieste sul malaffare si sono abbattute invece sulla Regione (soprattutto nel settore “aziendalizzato” della sanità) e sull’Expo. Ma il Comune del sindaco di Pisapia, almeno su questo terreno, era riuscito a salvarsi. Ma, come abbiamo scritto spesso su questo giornale, la “amministrazione degli onesti” può non fare la differenza quando accetta di piegarsi ai diktat del Patto di Stabilità e alle logiche del pareggio di bilancio che da Bruxelles arrivano fino al più piccolo dei comuni della Brianza o del Salento, tanto per dire. E allora giù con i tagli ai servizi sociali e l’aumento delle addizionali locali dell’Irpef e se qualcuno protesta ti arriva addosso la longa manu della “legalità”. Eppure può non bastare, neanche a Milano.
I conti della Città metropolitana di Milano, secondo il Corriere della Sera, rivelano infatti una voragine da 90 milioni di euro che deve essere assolutamente chiusa entro il 31 luglio, altrimenti le alternative sono il pre-dissesto o ancor peggio l’arrivo del commissario. Il sindaco Pisapia, insieme al suo assessore al Bilancio, Sergio Romano, nei giorni scorsi sono volati di corsa a Roma per incontrare il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti (che ha preso il posto di Graziano Delrio) e presentargli il problema.
Nel bilancio preventivo 2015 c’è infatti un buco di 90 milioni di euro e nei prossimi anni non può che peggiorare perchè anche sul groppone del Comune di Milano arriveranno i debiti accumulati per l’Expo 2015. Eh sì, perchè una grossa parte di quei 320 milioni di euro spesi per acquistare le aree dove è sorto l’Expo (che si poteva fare magari all’ex Ortomercato, già di proprietà del Comune), ricadranno sul bilancio comunale. A questo si aggiungono i provvedimenti del governo e i vincoli del Patto di Stabilità.
Nel 2015 i tagli alle Città metropolitane erano fissati a un miliardo di euro e la ricaduta su Milano è stata di 27 milioni di euro, ma nel 2016 si raddoppia e si arriva a due miliardi di tagli, quindi Milano dovrà fare a meno di 54 milioni di euro di trasferimenti statali. Non solo, nel 2017 i tagli arriveranno a tre miliardi di euro e quindi a 81 miliardi in meno. Le previsioni mettono i brividi: nel 2016 il buco nel bilancio comunale raggiungerà i 163 milioni, per arrivare a 212 nel 2017, sempre senza tenere conto del buco di ritorno del debito post Expo. Su questo rinviamo ad un ottimo studio fatto da OffTopic, Expo significa debito e al recente convegno di Ross@ a Milano dedicato proprio all’Expo.
A complicare il tutto c’è poi la sussidiarietà alla rovescia, con le Città Metropolitane che finanziano lo Stato attraverso i proventi delle imposte provinciali (come l’imposta di trascrizione dell’auto e l’aliquota della rc auto) che finiscono al Mef, si tratta di 150 milioni di euro, pari al 42 per cento delle entrate fissate a 360 milioni di euro.
Per Milano dunque, nonostante non sia alle prese con gli affari di Mafia Capitale, si aprono due scenari niente affatto rassicuranti. Senza “una mano” dal governo si va al pre-dissesto oppure si arriva al dissesto vero e proprio e viene imposto un commissario, esattamente come l’aria che tira a Roma. Dire che la giunta Pisapia, quando si è imbarcata nell’operazione Expo, non avesse contezza di questi scenari è poco credibile, esattamente come non è la giunta Marino quando si rifiuta di trarre le dovute conclusioni – le dimissioni – a fronte di quanto rivelato dall’inchiesta su Mafia Capitale. Ma mentre il furbo Pisapia annuncia che quando i nodi verranno al pettine lui non ci sarà perchè non si ricandida a sindaco, Marino ha annunciato, con scarso buonsenso, che lui si vuole ricandidare e rimanere sindaco fino al 2023. C’è poco da ridere. Come abbiamo ripetuto da molto tempo, il totem delle “buone amministrazioni” non basta più, al massimo sono delle foglie di fico. Ma a noi interessano le esigenze popolari non le vetrine, a Roma come a Milano.
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