Roma, 14 dicembre 2015, Nena News – Una giornata “molto positiva”, che ha confermato il “pieno sostegno internazionale al popolo libico” per implementare la stabilità e la sicurezza nel paese con la firma dell’accordo tra i due governi di Tripoli e Tobruk il prossimo 16 dicembre. Al termine della conferenza internazionale sulla Libia, organizzata ieri a Roma presso il Ministero degli Esteri, l’atmosfera era quasi euforica. I rappresentanti di 18 paesi, tra cui i noti sostenitori e finanziatori della cesura parlamentare libica – Turchia, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati – hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta con la Lega Araba, l’Unione africana e l’Unione Europea nella quale emerge l’impegno a portare avanti il processo di pacificazione della Libia sponsorizzato dalle Nazioni Unite.
Un governo di unità nazionale che prenda posto a Tripoli, capitale del paese, presieduto da Fayez al-Serraj – già premier di Tobruk – assieme a un Consiglio ministeriale di nove membri composto da rappresentanti di entrambi i parlamenti. Dopo la firma dell’accordo, prevista per mercoledì 16 dicembre nella città marocchina di Skhirat, il nuovo governo avrà 30 giorni di tempo per insediarsi. Parola d’ordine, quindi, è la celerità: lo ha ricordato anche il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni nella conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato Usa John Kerry e con il neo-inviato speciale Onu in Libia Martin Kobler, dichiarando che “il tempo è fondamentale per accelerare la soluzione della crisi libica e per contrastarne le minacce”. Kerry, invece, geograficamente più lontano dalle suddette minacce – Isis e flussi migratori – ha speso qualche parola anche per il popolo libico, che “merita tutto il sostegno della comunità internazionale” per implementare “il nuovo corso che comincia oggi”.
Eppure, mentre la stampa italiana si affanna a elogiare il compromesso raggiunto in questi giorni e a ricordare il ruolo dell’Italia nel new deal libico, non pochi media stranieri fanno notare come questo accordo sia stato spinto troppo velocemente dalle Nazioni Unite con quella che sembra una scarsa considerazione della reale situazione sul campo. Un pensiero condiviso anche dall’ex ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che in un articolo scritto con il presidente dell’International Crisi Group Jean-Marie Guehenno per il portale Politico ha definito la firma di mercoledì prossimo “una scommessa irresponsabile”. “Credere che la maggioranza dei libici – scrive la Bonino – sosterrà un’autorità nazionale spalleggiata solo da stranieri è una pia illusione. E stando alle attuali condizioni di sicurezza è anche improbabile che un tale governo possa insediarsi a Tripoli sano e salvo“. Un piccolo avvertimento è arrivato venerdì scorso, quando un un centinaio di persone è sceso in piazza a Tripoli per protestare contro l’accordo sponsorizzato dalle Nazioni Unite.
Non si tratta di un’opinione solitaria, vista la fluidità delle milizie attive sul suolo libico e data la sostanziale negligenza della questione della sicurezza su cui l’Onu avrebbe dovuto lavorare prima ancora di pressare una manciata di rappresentanti del frammentato spettro politico del paese a stringersi la mano. Claudia Gauzzini, analista di Libia per l’International Crisis Group, lo ha spiegato bene in un approfondimento prodotto da al-Jazeera sulla conferenza di ieri a Roma: c’è una sostanziale divisione tra quelli che ieri erano alla Farnesina e quelli che sono nel Paese. Non tutti si sentono rappresentati dai delegati dei due opposti governi e molti, in Libia, si sentono spinti ai massimi livelli dalla comunità internazionale e c’è il rischio di nuovi scontri armati. Al contempo, sul campo, le Nazioni Unite non avrebbero fatto nulla per ripristinare la sicurezza nel paese in vista dell’insediamento di un governo di unità nazionale, per cui in non pochi si chiedono come farà il nuovo esecutivo a prendere possesso del paese in mancanza di un esercito.
La risposta più plausibile è quella di un intervento militare straniero, già sussurrato da più parti – prima tra tutti la Francia, seguita dalla Gran Bretagna – e che sembra uno dei motivi principali dietro all’improvvisa accelerazione dell’accordo tra le parti libiche, anche se ancora non è chiaro con quali modalità. Solo due mesi fa, infatti, la maggioranza dei rappresentanti del governo di Tobruk rifiutava la proposta di accordo dell’allora inviato speciale Onu Bernardino Leon, una proposta che prevedeva lo stesso Serraj capo del governo di unità nazionale assieme a un consiglio composto da rappresentanti misti. Un mese dopo gli attentati di Parigi, invece, i delegati sembrano aver improvvisamente cambiato idea.
E l’Italia, che nei giorni scorsi frenava sull’intervento militare, ora si allinea vagamente alle altre potenze occidentali dietro lo scudo delle decisioni internazionali: “Ogni nostra azione – ha dichiarato il ministro Gentiloni, interrogato dall’inviato Rai – sarà intrapresa nel quadro delle decisioni Onu e su richiesta del governo libico”. Dopotutto, il nemico numero uno rimane l’Isis, che nella sua avanzata libica ha da poco circondato il sito archeologico di Sabratha, a metà strada tra Tripoli e il confine tunisino. Lo ha ricordato anche Kerry: “Coloro che impediscono alla Libia – ha dichiarato il segretario di Stato – di continuare sulla strada dell’unità nazionale dovranno pagare”. da www.nena-news.it
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