Spesso il senso comune porta a pensare che proprietà e libertà coincidano. In realtà le cose stanno diversamente, come quanto accaduto a Verona, qualche giorno fa, dimostra. A Verona Ross@ aderisce, già da mesi, al Comitato referendario per il NO alla controriforma costituzionale, voluta dal PD. Nell’ambito delle iniziative in calendario, ci siamo trovati a volantinare di fronte a un centro commerciale della grande distribuzione. Immediatamente siamo stati circondati dalla vigilanza privata che ci ha invitati ad allontanarci dallo spazio esterno al centro, invocando il principio della proprietà privata. A nulla è valsa una sentenza da noi esibita, emessa da un giudice del tribunale di Verona, affermante la perfetta liceità dell’azione di propaganda in ogni spazio aperto al pubblico, in relazione all’articolo 21 della Costituzione e alla limitazione del diritto di proprietà, secondo la preminente finalità sociale, definita dagli articoli 41 e 42. Nonostante le reiterate proteste, supportate dalla suddetta sentenza e dalla consapevolezza della compressione di un nostro diritto, siamo stati identificati e invitati ad allontanarci dall’area privata da una pattuglia di carabinieri.
Il fatto da solo è eloquente nel mostrare come libertà e proprietà privata non coincidano affatto, in quanto la concezione neoliberista della proprietà pretende di accompagnarsi alla denegazione di principi universali di natura civile, politica e sociale. L’articolo 41 della Costituzione, tuttavia, parla chiaro: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Bene aveva scritto Marx nei Manoscritti economico – filosofici quando affermava: “ Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è, dunque, l’oggetto in senso eminente”.
Quest’onnipotenza del capitale costituisce la trama e l’ordito della sistematica capitolazione dell’interesse pubblico e sociale, a vantaggio di quello privato. L’ILVA con i suoi guasti alla salute, alla sicurezza del lavoro e all’ambiente, ne è un esempio paradigmatico. La FIAT che persegue i sindacalisti non allineati e i grandi gruppi della distribuzione che fanno caricare i lavoratori della logistica, sono solo alcuni dei molti esempi di compressione del diritto al dissenso.
Questi che possono apparire episodi disarticolati, in realtà mettono in atto una ricetta ben precisa, già definita, nero su bianco, nel 2013 dal gigante della finanza globale JP Morgan: “I sistemi politici dei paesi europei del Sud e in particolare le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano caratteristiche inadatte a favorire l’integrazione. C’è forte influenza delle idee socialiste”. Le tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, dunque, la libertà di dissentire e protestare diventano scomodi per l’onnipotenza universale del capitale.
Questa visione feudale della proprietà e del mercato giunge oggi a negare persino i più elementari diritti politici, anche quelli tanto cari ai liberali ottocenteschi, come quello di dissentire. Se la controriforma renziana giungesse a concretizzarsi, anche l’ultimo argine allo strapotere del capitale verrebbe sfondato. Quella sul referendum costituzionale è dunque, oggi più che mai, la battaglia politica.
* Ross@ Verona
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