Parlano i genitori di Giulio Regeni, in un luogo istituzionale, una sala del Senato della Repubblica, in conferenza stampa. Presenti il presidente della Commissione per i Diritti Umani Luigi Manconi, gli avvocati Ballerini e Vitale e per Amnesty International, che ha lanciato la campagna di verità sul caso, Riccardo Noury. Ecco alcuni passi degli interventi. La madre Paola: “Forse è dal nazifascismo che in Italia non ci troviamo in una situazione di tortura com’è successo a Giulio. Giulio, però, non andava in guerra – e con questo stimo moltissimo i partigiani che sono stati uccisi sotto tortura – loro, ahimé, erano in guerra e lo sapevano. Giulio era andato a fare ricerca, era un ragazzo contemporaneo, come ne abbiamo visti tanti, invece è morto sotto tortura. E’ morto ucciso e torturato. Ritornando al caso isolato, invece, mi riferisco a quanto hanno detto gli egiziani, la parte amica degli egiziani. Hanno detto: l’hanno torturato e ucciso come fosse un egiziano. Allora noi come famiglia ci siamo detti: abbiamo educato i nostri figli perché s’aprissero al mondo, io son stata anche insegnante e abbiamo portato tutti insieme dei valori”.
Il papà Claudio: “Soltanto poche parole per ricordare la figura di Giulio. La storia del suo percorso di vita inizia a Fiumicello, nel suo paese, quando fu eletto sindaco dei giovani, all’età di dodici anni…. Poi a diciassette anni se ne andò in New Mexico, al college del ‘Mondo Unito’ dove incontrò ragazzi di ottanta nazionalità diverse, con le più svariate culture. Lì ha potuto apprezzare il valore della diversità, l’amicizia possibile e già poneva le basi per il successivo impegno universitario in Inghilterra dove ha cominciato a studiare l’arabo. E’ andato un anno al Cairo per portare avanti la conoscenza non solo della lingua, ma delle tradizioni, della cultura, e dove s’è ulteriormente appassionato a quest’argomento… Ha poi approfondito ulteriormente le relazioni internazionali lavorando per un anno come caporedattore di una rivista che univa e raccoglieva informazioni di Paesi emergenti di cultura araba, fino a tornare in Egitto per ultimare gli studi e il suo dottorato. Ciò resta nella partecipazione di persone provenienti da tante parti del mondo ai suoi funerali. Ringraziamo tutti per l’affetto e ringraziamo la vicinanza dell’Italia intera. Siamo qui perché vorremmo continuare a portare avanti i valori di Giulio, i suoi ideali”.
La mamma promette che se dal 5 aprile prossimo, quando gli investigatori egiziani saranno in Italia, non emergeranno novità, notizie certe sempre promesse e sempre occultate da penosi e provocatori depistaggi, nel percorso di ricostruzione dei fatti i legali della famiglia utilizzeranno le spaventose immagini del cadavere del ragazzo. I Regeni, come stanno già facendo, chiederanno conto della vicenda alla nostra politica, quella dei palazzi Chigi e Montecitorio. Visti i silenzi mostrati dalle massime autorità del Cairo, a iniziare dal presidente Al Sisi, proclamatore del nulla nella tristemente nota intervista “esclusiva” rilasciata al quotidiano La Repubblica e pubblicata i 16 marzo scorso.
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