La storia di “una rissa finita male”. Di “una tragica casualità”. Si fa e si dice di tutto pur di non definire l’omicidio di Emmanuel a Fermo come atto fascista e razzista. Esce fuori di tutto, dichiarazioni deliranti che fanno quasi ridere per la loro assurdità, anche se nei fatti dovrebbero far piangere.
L’aggressore, Amedeo Mancini, viene descritto dai suoi amici alla Stampa come «un simpaticone», perché usava «tirare noccioline ai negri». Ma non era razzista. No, assolutamente. Poi c’è la cosiddetta “supertestimone”, una che già era ascesa all’onore delle cronache un paio di anni fa per aver denunciato alcuni cinesi che stavano catturando dei gatti con un retino da pesca. La notizia ovviamente era falsa, e dunque non si capisce perché quando questa donna è spuntata fuori come testimone dell’omicidio di Emmanuel qualcuno abbia deciso di darle credito. Se non per una esigenza giustificazionista che si nutre anche di una versione completamente inattendibile, quella della “supertestimone che ribalta tutto!”, che dalle pagine di cronaca locali approda alla (purtroppo) popolare trasmissione radiofonica “La Zanzara”.
Le parole riportate dalla stampa locale sono riprese pari pari da un suo post su Facebook: «Purtroppo ho assistito alla scena ed ho visto che il giovane fermano, prima di sferrare il pugno, è stato letteralmente assalito dalla vittima e da sua moglie. Lo hanno picchiato per quattro o cinque minuti e lo hanno colpito anche con il palo di un segnale stradale. Ero presente e voglio precisare che quel povero ragazzo nigeriano, prima di cadere a terra per un pugno subito, si è reso protagonista di un vero e proprio pestaggio del 39enne fermano. Per quattro o cinque minuti è stato attaccato simultaneamente dal giovane di colore e da sua moglie. Lui (Emmanuel ndr) addirittura lo ha colpito con un segnale stradale facendolo cadere a terra e poi ha continuato a picchiarlo.Quando ho visto quella scena, ho chiamato la polizia perché temevo per l’incolumità del 39enne fermano che ha reagito con un colpo, purtroppo per la vittima, ben assestato. Qualcuno ha cercato di intervenire, ma è stato preso a scarpate dalla moglie del giovane di colore. Casualmente sono giunti sul posto gli agenti della polizia municipale, perché nel frattempo, la moglie di Emmanuel aveva fatto una telefonata ed erano arrivati una quindicina di nigeriani pronti ad entrare in azione. Diventa facile parlare di razzismo, ma dovevate esserci per capire la furia dell’aggressione ai danni di quel fermano».
Una versione che diverge addirittura da quella fornita dallo stesso Mancini alla polizia, oltre ad essere incoerente anche con le altre testimonianze raccolte dalle forze dell’ordine.
La cronaca si mischia con la diceria popolare e ci mette un attimo a diventare bufala: in attesa dei risultati dell’autopsia il dibattito è incentrato su chi per primo abbia preso un bastone, se Emmanuel o il suo assassino.
Non sul razzismo, non sul fascismo. A dire queste due parole in Italia si fa una grande fatica. Non conta che Mancini tirasse «le noccioline ai negri» o che indossasse una maglietta della band di estrema destra Zeta Zero Alfa (espressione di Casa Pound).
I fatti di Fermo sono “uno scherzo del destino”, e la speranza è che tutto passi in fretta e che si possa tornare al tran tran della provincia quanto prima. Perché a morire è stato solo un nigeriano, un «negro» come ce ne sono tanti. Per alcuni addirittura troppi.
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