Dev'essere una fatica di Sisifo guidare il governo italiano nelle strettoie imposte dall'Unione Europea. Specie se si ha a che fare con un furbastro capace di più giravolte al minuto e si si hanno oltre 90 primavere sulle spalle.
Giorgio Napolitano non riesce ad andare in pensione, o perlomeno non gli è concesso dalla dabbenaggine o dall'eccesso di confidenza del cosiddetto premier, peraltro da lui stesso instalato a Palazzo Chigi.
La fluviale intervista data al quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, è un disperato tentativo di istruire a (relativa) distanza il guitto di Rignano sull'Arno, apparentemente incapace di afferrare la differenza fonamentale tra affari inetrni e affari europei. A cominciare dalle modalità stesse con cui si deve agire nei due contesti. Insomma, se nel lessico politico italico è ormai sdoganata e socialemnte accettata una dose straripante di volgarità e “ce l'ho più lungo io”, nel felpato contesto delle relazioni diplomatiche infraeuropee bisogna fare decisamente più attenzione. Specie se si vuole influire o scontrarsi con Francia e Germania, meglio attrezzate e determinanti dell'Italia.
La sparata renziana a Bratislava deve aver fatto squillare qualche centinaia di campanelli d'allarme negli uffici di presidenza di mezza Italia (tanto in sede politica che industriale o finanziaria): “dove vogliamo andare, da soli?”. La solitudine “minacciata” da Renzi, ad esempio sulla questione dei migranti, arrivava a poche ore dalla sfuriata contro il documento finale del vertice in Slovacchia, che non lasciava molto spazio alla “flessibilità” sui conti pubblici chiesta dal suo governo. Il rischio di ritrovarsi con un atteggiamento molto più duro della Commissione Europea sui conti, e nel deserto delle proposte sul tema immigrazione, configura in realtà una solitudine assai meno eroica e praticabile di quanto sbraitato dal premier.
Così in molti devono aver sollecitato “il presidente” – il vero baricentro delle geometrie impazzite degli ultimi quindici anni – a consigliare un attegiamento più prudente in quello che, per poco o tanto che sia, è ancora il volto pubblico dell'Italia nelle relazioni globali.
Certo, il “consulto informale” di Bratislava è stato “piuttosto ancora lo specchio di “due opposte visioni dell’Europa che si affrontano”». Ma non è il caso di dargli troppa importanza, meglio concentrarsi sul “documento 2016 sullo stato dell’Unione presentato da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione, al Parlamento europeo. Lì gli interessi nazionali in allontanamento si avvertono meno, e soprattutto si delinea un'agenda che porta al vertice di Roma 2017, anniversario degli omonimi trattati. In quella sede, insomma, il governo italiano – se non altro perché memebro fondatore della Ue e padrone di casa – potrebbe strappare qualcosa di meglio. Per esempio proprio in materia di flessibilità sui conti (applicazione “non dogmatica” delle regole dell'austerità, aveva scritto Juncker) e della gestione dei flussi migratori (“investimenti paneuropei, all’istituzione di un piano di investimenti per l’Africa e il vicinato mediterraneo come parte integrante di una risposta alla pressione migratoria crescente verso l’Europa”).
Calma e gesso, insomma. Niente spasmi di bile per una retrocessione evidente di Renzi nella gerarchia europea (dal vertice di Ventotene a Bratislava, poche settimane sono sebrati anni luce). Vero è che “l’Europa è scossa, come sappiamo, nelle sue istituzioni in uno con i suoi fondamenti ideali e con le sue politiche”, ma il buco nero a livello istituzionale è il Consiglio europeo (che riunsce i capi di stato o di governo), in cui c'è sempre la “persistente prevalenza delle ottiche politiche nazionali su indirizzi di europeizzazione della politica”.
Vero è anche che la Germania è in questo momento anello debole, stretta tra crescita di xenofobia ed euroscetticismo mentre si avvicinano le elezioni politiche del 2017. Angela Merkel è giorno dopo giorno un'anatra più che zoppa, incapace di esercitare leadership persino sui paesi che più sono “contoterzisti” nelle filiere produttive tedesche (Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, paesi baltici).
Ma proprio per questo, suggerisce Napolitano, è controproducente aggiungersi alla schiera dei vocianti. Meglio concentrarsi, con piglio “istituzionale”, sul necessario ridisegno della struttura dell'Unione Europea, “si imponga a tal fine o no una revisione dei Trattati”.
L'ammissione sulla necessità di “revisione” non ha però nulla a che fare con le illusioni “riformiste” tipiche di certa sinistrella europeista italica (o anche greca, spagnola, portoghesee, ecc). Perché la direzione di marcia indicata da Napolitano – e qualche giorno prima da Jens Weidmann, presidente della banca centrale tedesca – è quella di una “Unione più stretta”, di trattati più vincolanti, di maggiore o semitotale “trasferimento di sovranità” dagli Stati a Bruxelles.
Stessa direzione peraltro sostenuta da Mario Draghi, che pure si era speso per recuperare un concetto che i vertici Ue non tengono troppo in considerazione: “coniugare efficacia e legittimazione” delle decisioni sovranazionali.
La crisi ha prodotto, al contrario, il minimo di efficacia e il massimo di delegittimazione dell'Unione Europea agli occhi delle popolazioni del Vecchio Continente. E di questo passo le tendenze alla disgregazione diventano molto più forti, forse ingovernabili (se in Germania gli euroscettici di destra dell'Afd dovessero registrare un successo paralizzante per il Reichstag, verrebbe meno il collante che fin qui ha tenuto assieme spinte opposte).
Una insicurezza rispetto alle condizioni di vita e al futuro dei figli (in inglese, grosso modo, safety, ossia benessere) che Napolitano prova immediatamente a convertire in “richiesta di maggiore sicurezza” (security, ossia più polizia e poteri eccezionali ai governi). Spiega infatti che ci si deve “concentrare sugli interventi che portano risultati tangibili e immediatamente riconoscibili” per recuperare fiducia tra i cittadini dell’Unione, che gli interventi necessari dell’Unione debbono “essere visibilmente connessi ai timori immediati dei cittadini”: tra i quali rientrano in particolare i settori dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa». Polizia agli angoli delle strade e limitazione delle libertà fondamentali, così sentiremo meno i morsi dell'indigenza e della disoccupazione…
Su questi punti, consiglia sempre Napolitano, Renzi dovrebbe fare il “tessitore”, altro che fanfaronare un impossibile “facciamo da soli”.
Somiglia un po' tanto a uno degli ultimi consigli dati a un allievo disattento e frettoloso. E sembra confermare che nelle sedi più importanti sono già in corso i casting per trovare un nuovo inquilino per Palazzo Chigi
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