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Una “riforma” contro il lavoro. Intervista all’avv. Carlo Guglielmi

Abbiamo in collegamento Carlo Guglielmi, del Forum diritti Lavoro. Buongiorno Carlo.

Buongiorno a voi.

Dunque, poco più di due settimane ci separano dal referendum. Vorremmo parlarne con te, io in particolare vorrei partire dal tuo contributo al numero speciale dei Quaderni del Forum diritti Lavoro. Un contributo in cui colleghi gli interventi che il governo ha portato avanti nel nel mercato del lavoro, alla riforma costituzionale che punta a sconfiggere in qualche misura anche i diritti costituzionali. La tesi che sostieni è che è impossibile battere i diritti costituzionali senza sconfiggere i diritti del lavoro. Ce ne vuoi parlare?

Intanto ti ringrazio sia del complimento che dell’invito a parlarne con voi. Io, nel mio contributo aggiungo, che è vero anche l’inverso; cioè che non è possiblie battere la Costituzione se non si batte il lavoro. Quando la Costituzione ha incontrato la democrazia – e stiamo parlando, diciamo, della Rivoluzione francese – non c’è stato un incontro immediato tra la Costituzione e il lavoro; nel senso che gli uomini liberi e di pieno diritto erano quelli che vivevano o di rendita o di profitto, non certo chi viveva di salario. Chi viveva di salario non era per definizione un uomo libero e quindi era fuori dal patto costituzionale. E’ stato l’ingresso delle masse che lavorano nel costituzionalismo a costruirlo, a fare sì che non sia un ferro vecchio, qualcosa di cui oggi ancora si parla. A fare sì che oggi ci sembra incredibile che fino al 1946 in Italia non votassero le donne, o che fino agli anni 20 non ci fosse un suffragio universale della popolazione. Fatta questa premessa, dico che il collegamento fra battere, distruggere, distorcere la Costituzione e battere i diritti del lavoro non è opera mia; è il collegamento che ha fatto la banca Morgan Stanley nel suo European Financial conference del 2013, riprendendo passo passo le lettere che sono arrivate in Italia, a partire da quelle famose del 2011, di Trichet e Draghi. Chiunque lo può verificare è un agile documento che si trova in rete di 13 pagine tradotto in italiano, la Morgan Stanley che dice: il limite dei paesi del sud dell’Europa è che hanno una Costituzione nata dalla lotta contro il fascismo. Italia, Spagna, Grecia… Questa Costituzione fa sì che ci sia una costituzionalizzazione dei diritti del lavoro, ci sia una – come dire – “eccessiva parlamentarizzazione”, per cui c’è un governo debole rispetto al Parlamento e c’è un Parlamento debole rispetto alle regioni. Se voi andate a vedere quale è il programma di governo di Renzi, prima con il Jobs Act e poi con questa riforma, vedete un collegamento perfetto tra l’una e l’altra cosa. Poi, ovviamente, si può entrare più nello specifico, perché dietro ogni legge c’è ovviamente un’antropologia, ovverosia c’è un’idea di uomo. L’idea di uomo del Jobs act è esattamente la stessa idea di uomo della nostra “riforma costituzionale”, e cioè un uomo completamente asservito; in un caso al potere totale, assorbente, dell’imprenditore, dall’altra al potere totale del leader, che vincendo con l’Italicum l’eventuale ballottagio, anche con una minoranza minuscola, incarna in sé la democrazia e decide al posto degli altri. Questo è l’esatto contrario del ruolo che la Costituzione dà ai lavoratori.

Quindi rinunciare a parte della rappresentanza e sacrificare la democrazia nel nome della governabilità… Un altro spunto che mi interessava sono i tre punti, da te citati, su cui si gioca la battaglia sulla Costituzione; quindi, i tre punti su cui resistere. Come dicevi: le limitazioni delle prerogative del parlamento e delle autonomie locali con un accentramento sempre maggiore del potere nelle mani dell’uomo solo al comando, la decostituzionalizzazione del diritto al lavoro e quella dei diritti al dissenso e al conflitto collettivo. In che modo questi tre punti possono essere per noi il modo per contrastare questo attacco alla Costituzione?

Provo, come dire, a prenderla da un altro punto di vista. Il dibattito degli ultimi giorni è stato dominato dalla vittoria di Donald Trump e dai rigurgiti della nostra destra nazionale, che si è ringalluzzita. Ecco qui gli alti lai della stampa mainstream sul “populismo”. E qua direi due cose. Come si collegano questi tre aspetti che tu mi hai detto in base a questo dato di modernità? Il dato di modernità è: che cos'è il populismo in realtà? Il populismo, in realtà, per dirla con una parola semplice, è un rapporto di consonanza immediata, totalmente disintermediato, tra un popolo genericamente inteso e un leader che lo incarna. Questo è il populismo. Quindi diciamo che da questo punto di vista il vero populista in Italia è Matteo Renzi e, ovviamente, il progetto populista in Italia è la riforma della Costituzione; che fa proprio questa operazione, una enorme disintermediazione. Che cosa voglio dire? Se andiamo a prendere i primi 3 articoli della Costituzione andiamo a scoprire quale è il ruolo che i padri costituenti davano al lavoro. Perché? Perché al primo articolo, al popolo davano il potere di esprimere la sovranità; all’articolo 2 all’uomo davano quello di garantire i suoi diritti inviolabili; all’articolo 3, al primo comma, dava ai cittadini il compito di essere uguali davanti alla legge, con pari dignità. All’articolo 3, secondo comma, alla persona umana, di avere la piena realizzazione. Ma, improvvisamente, qual'è l’altro diritto qualificante, tanto da essere nei primi 3 articoli della Costituzione, quello che qualifica la nostra democrazia? Ebbene: è il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscano la partecipazione. E la partecipazione di chi? La partecipazione dei lavoratori, questo dice la Costituzione. I lavoratori entrano nella nostra Costituzione in quanto detentori della partecipazione. Bene, questo vuol dire che i lavoratori, e lo schieramento dei lavoratori, è l’unico schieramento che è radicalmente non populista; cioè la partecipazione è la negazione del rapporto tra un popolo indistinto che si esprime ogni quattro anni e il leader che comanda. E come si esercita questa partecipazione? Questa partecipazione si esercita nel conflitto quotidiano e collettivo per i diritti di ciascuno e di tutti. E allora ecco che questa riforma costituzionale è una riforma contro la democrazia partecipativa, quindi contro il lavoro; e che per passare ha bisogno non solo di smontare gli organismi intermedi, ovverosia Parlamento, Senato e regioni. Ma al contempo ha bisogno di smontare i presidi della partecipazione dei lavoratori. Come? Intervenendo con il Job Acts nel posto di lavoro e intervenendo con i mille provvedimenti amministrativi e sanzionatori per i lavoratori, sia nativi che migranti, su quello che riguarda il conflitto fuori dall’azienda. Questi sono i tre punti dell’attacco; e al centro dell’attacco c’è il lavoro. Questo è il punto dello scontro che abbiamo oggi.

Uno scontro cruciale, la speranza è di riuscire ad affrontarlo nella maniera giusta. Grazie Carlo per essere stato con noi.

Grazie a voi e arrivederci.

da Radio Città Aperta

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